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Morire di malattia in carcere. Non è un film, ma l’inerzia delle istituzioni

Pubblichiamo il testo di Vincenzo Donvito, Presidente dell’ADUC

| Scritto da Redazione
Morire di malattia in carcere. Non è un film, ma l’inerzia delle istituzioni

Firenze. 24 novembre 2014. Un tossicodipendente in cura metadonica, recluso nel carcere fiorentino di Sollicciano, si è suicidato. Pare (notizie di stampa) che fosse quasi a conclusione della sua terapia e che sia rimasto sconvolto dalla notifica di una sentenza definitiva, ovviamente per spaccio di droga.

Come lui, in cura presso il Sert del carcere fiorentino, ce ne sarebbero circa altri duecento. L’indignazione non ha mancato di esternarsi negli addetti ai lavori, garanti dei detenuti a livello comunale e regionale in primis; in diversi, tra gli indignati metodici, mancano ancora all’appello, ma non dubitiamo che, complice anche la scarsa e stereotipata informazione della domenica e del lunedì mattina, si faranno leggere e ascoltare nelle prossime ore, tra il diffuso disinteresse dei più. Del resto, cosa può fregare al cittadino medio di un tossicodipendente, in carcere per spaccio di droga, che decide di farla finita? Niente più di un puntino nero in un mare di petrolio melmoso... che è il problema generale, percepito e vissuto dai più, e che rende insignificante e di routine qualunque puntino, foss’anche la vita di una persona.

Il suicida era un malato, e anche se qualche giudice, politico e sanitario ci ricorderà che era tale perché se l’era cercata, non riusciamo a levarci dal cervello il cosiddetto giuramento di Ippocrate, che a nostro avviso non deve valere solo per i medici ma per tutti coloro che hanno a che fare con servizi di utilità pubblica. E quelli del carcere, della pubblica amministrazione ecc. sono servizi come quello sanitario. Per cui, chi è “malato” non deve e non può essere lasciato in balia degli ordinari esecutori di questi servizi, per quanto dotati di strumenti per far fronte alla specifica situazione (il Sert del carcere, nella fattispecie). Se un contribuente è incapace di far fronte ai propri debiti, per esempio, non deve essere l’ente creditore a curarlo (decidere come e se farlo pagare a rate, per esempio), ma un organismo indipendente e di tutela del “malato” creditore. Lo stesso dovrebbe valere per il tossicodipendente che deve scontare una pena: va levato dal carcere e curato da chi è preposto esclusivamente al suo benessere sanitario. Logica e metodo che, ovviamente, valgono solo se al primo posto mettiamo la salute, e il diritto alla salute, dell’individuo e non quello della specie umana e sociale nel suo complesso.

Il suicidio di Sollicciano non è purtroppo un film, ma il risultato dell’assenza e dell’insufficienza di politiche in questo senso, cioè dell’inerzia delle istituzioni. Ne faremo tesoro o dovremo leggerci al prossimo caso?

Vincenzo Donvito, Presidente ADUC

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