Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 10.03

Perché anche nei mammiferi selvatici le femmine vivono più a lungo dei maschi

E un altro studio conferma l’ipotesi ''unguarded X'' per tutti gli animali

| Scritto da Redazione
Perché anche nei mammiferi selvatici le femmine vivono più a lungo dei maschi

In tutte le popolazioni umane, le donne vivono in media più a lungo degli uomini e 9 ultracentenari – le persone che superano i 110 anni – su 10 sono donne. Ma cosa succede in natura tra le altre specie di mammiferi? Lo spiega lo studio “Sex differences in adult lifespan and aging rates of mortality across wild mammals”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team internazionale di ricercatori guidato da Jean-François Lemaître, ricercatore del CNRS al Laboratoire biométrie et biologie evolutive dell’Université Claude Bernard Lyon 1, che ha messo insieme I dati demografici di 134 popolazioni di 101 specie di mammiferi che vanno dai pipistrelli ai leoni passndo per le orche e i gorilla. Ne è venuto fuori il più esteso e preciso studio su questo argomento mai pubblicato prima.

I ricercatori dicono che «Nel 60% dei casi, le femmine vivono più a lungo dei maschi: la loro longevità è in media superiore del 18,6% di quella dei maschi (la differenza è solo del 7,8% tra gli esseri umani)».

Ma perché, con l’età, nei maschi il tasso di mortalità aumenta più velocemente? Secondo gli scienziati no è sempre così: «Per circa la metà delle popolazioni studiate, questo aumento è anche più pronunciato tra le femmine. Ma quest’ultime conservano comunque a tutte le età della vita un rischio di mortalità più bassa di quello dei maschi».

Lemaître spiega che «L’entità della durata della vita e dell’invecchiamento tra le specie è probabilmente un’interazione tra le condizioni ambientali e le variazioni genetiche specifiche del sesso». Lo scienziato francese fa l’esempio delle pecore selvatiche Bighorn (Ovis canadensis)  per le quali i ricercatori dispongono di dati su diverse popolazioni: «Laddove le risorse naturali erano costantemente disponibili, c’era poca differenza nella durata della vita. Tuttavia, in un luogo in cui gli inverni erano particolarmente rigidi, i maschi vivevano vite molto più brevi. I maschi di bighorn utilizzano molte risorse per la competizione sessuale, per la crescita di una grande massa corporea e potrebbero essere più sensibili alle condizioni ambientali. Così, chiaramente, l’entità della differenza nella durata della vita è dovuta all’interazione di queste genetiche specifiche per il sesso, al fatto che i maschi dedicano più risorse a funzioni specifiche rispetto alle femmine e alle condizioni ambientali locali».

Anche il recente studio “The sex with the reduced sex chromosome dies earlier: a comparison across the tree of life”, pubblicato su Bology Letters da un team di ricercatori dell’università del New South Wales – Sydney afferma che le differenze genetiche tra maschi e femmine sono fondamentali anche negli esseri umani.

I ricercatori australiani hanno analizzato tutta la letteratura accademica disponibile sui cromosomi sessuali e la durata della vita e hanno cercato di stabilire se esisteva un modello per di un sesso che sopravviveva all’altro che si ripete in tutto il regno animale. In particolare, hanno voluto testare l’”unguarded X hypothesis” secondo la quale «il cromosoma Y nei sessi eterogametici – quelli con cromosomi sessuali XY (maschi) anziché XX (femmine) – sia meno in grado di proteggere un individuo dai geni nocivi espressi sul cromosoma X. L’ipotesi suggerisce che, poiché il cromosoma Y è più piccolo del cromosoma X, e in alcuni casi assente, non è in grado di “nascondere” un cromosoma X che porta mutazioni dannose, che possono in seguito esporre l’individuo a minacce per la salute – spiegano i ricercatori – Al contrario, non esiste un tale problema in una coppia di cromosomi omogametici (XX), in cui un cromosoma X sano può sostituire un’altra X che ha geni deleteri per garantire che quei geni dannosi non vengano espressi, massimizzando così la durata della vita per l’organismo».

La principale autrice dello studio, Zoe Xirocostas, ha sottolineato che «Dopo aver esaminato i dati sulla durata della vita disponibili per una vasta gamma di specie animali, sembra che l’ipotesi unguarded X sia più concreta. Questa è la prima volta che gli scienziati hanno testato l’ipotesi su tutta la linea nella tassonomia degli animali; in precedenza era stata testata solo in alcuni gruppi di animali. Abbiamo esaminato i dati sulla durata della vita non solo nei primati, in altri mammiferi e uccelli, ma anche, tra gli altri, nei rettili, pesci, anfibi, aracnidi, coleotteri, cavallette, scarafaggi, farfalle e falene. E abbiamo scoperto che in tutta quella vasta gamma di specie, il sesso eterogeneo tende a morire prima del sesso omogametico e che è in media il 17,6% prima». Una media molto vicina a quella dei soli mammiferi presi in esame nell’altro studio.

È interessante notare che i ricercatori hanno osservato questo stesso modello nelle classi di animali che possiedono la loro unica coppia di cromosomi sessuali che sono il contrario di tutti gli altri animali: «Negli uccelli, farfalle e falene, è il maschio della specie che ha i cromosomi sessuali omogametici (indicati con ZZ) mentre la femmina ha i cromosomi eterogametici (ZW) – spiegano ancora – Le femmine di uccelli, farfalle e falene di solito muoiono prima dei maschi, dando credito unguarded X, anche se a rigor di termini, in questo caso è una Z unguarded»

Ma mentre lo studio australiano conferma che l’ipotesi unguarded X è una spiegazione ragionevole del motivo per cui in media un sesso sopravvive più dell’’altro, dai dati è emersa una statistica che ha sorpreso la Xirocostas:

In poche parole, i maschi eterogametici (XY) muoiono prima delle femmine eterogametiche (ZW) rispetto al sesso opposto nella loro specie. Questo significa che c’è qualcosa che abbrevia comunque la vita nei maschi di qualsiasi specie? La Xirocostas ritiene che potrebbe essere proprio così ed elenca gli effetti collaterali della selezione sessuale, il grado di degradazione del cromosoma Y e le   dinamiche dei telomeri come possibili spiegazioni per questa tendenza sorprendente: «Mi aspettavo solo di vedere uno schema del sesso omogametico (XX o ZZ) che vive più a lungo, quindi è stata una sorpresa interessante vedere che il tipo di sistema di determinazione del sesso (XX / XY o ZZ / ZW) potrebbe anche svolgere un ruolo nella longevità di un organismo. Studi futuri su questo fenomeno dovrebbero verificare un’ipotesi sollevata nella ricerca secondo cui la differenza nella durata della vita tra i sessi è proporzionale alla differenza nella lunghezza del cromosoma tra i sessi, il che potrebbe aiutarci a comprendere ulteriormente i fattori che influenzano l’invecchiamento. Ma per ora l’ipotesi unguarded X è valida».

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