Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 16.21

Perché l’accordo globale sulla tassazione delle multinazionali non è giusto

Un arretramento difensivo, una specie di soccorso alle multinazionali, presentato come un attacco

| Scritto da Redazione
Perché l’accordo globale sulla tassazione delle multinazionali non è giusto

I ministri delle finanze del G7 ( Stati Uniti, Giappone, Francia, Canada, Germania, Regno Unito e Italia), insieme a rappresentanti della Commissione europea, dell’Eurogruppo, della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale e dell’Organizzazione per la cooperazione economica, dopo essersi incontrati virtualmente il 28 maggio e a Londra il 4 e 5 giugno hanno «concordato azioni concrete per affrontare le sfide storiche di oggi e come parte del nostro rinnovato e urgente sforzo verso una più profonda cooperazione economica multilaterale».

Il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha commengtato: «Saluto con grande soddisfazione l’accordo sulla tassazione delle multinazionali raggiunto oggi a Londra dai Ministri delle finanze del G7. E’ un passo storico verso una  maggiore equità e giustizia sociale per i cittadini».

Infatti, della dichiarazione finale approvata ha fatto particolare rumore il punto 16, “Plasmare un futuro sicuro e prospero per tutti”:  «Sosteniamo con forza gli sforzi in corso attraverso il quadro inclusivo G20/OCSE per affrontare le sfide fiscali derivanti dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione dell’economia e per adottare una tassa minima globale. Ci impegniamo a raggiungere una soluzione equa sull’assegnazione dei diritti di tassazione, con i paesi di mercato assegnati diritti di tassazione su almeno il 20% del profitto che supera un margine del 10% per le imprese multinazionali più grandi e redditizie. Forniremo un adeguato coordinamento tra l’applicazione delle nuove regole fiscali internazionali e la rimozione di tutte le tasse sui servizi digitali, e altre misure simili pertinenti, su tutte le società. Ci impegniamo inoltre a una tassa minima globale di almeno il 15% paese per paese».

Faisal Islam, economic editor di BBC News spiegato che la discussione nel G7 è stata soprattutto sulla menzione o meno di un’aliquota minima globale dell’imposta sulle società del 15% e sull’uso della dicitura «almeno il 15%, per mostrare una certa ambizione, ma anche per fornire uno spazio di negoziazione alla riunione più ampia del G20 presieduta dall’Italia e che include paesi come Cina e Russia».

A quanto pare, a premere per un’aliquota fiscale minima del 15% sono state soprattutto Germania, Francia, Italia e Spagna che la vedono come «un inizio promettente», convinte che i Paesi del G7 devono raggiungere «una posizione comune su un nuovo sistema fiscale internazionale» e hanno aggiunto: «Siamo fiduciosi che creerà lo slancio necessario per raggiungere un accordo globale al G20 di Venezia a luglio. È alla nostra portata. Facciamo in modo che accada. Lo dobbiamo ai nostri cittadini».

Inizialmente, l’amministrazione Usa di Joe Biden chiedeva un’aliquota minima globale del 21% per la corporate tax ma ora è scesa al 15%, considerandola comunque come una base.

Mentre i media europei – e soprattutto italiani – presentano l’aliquota minima globale dell’imposta sulle società del 15% come una rivoluzione, diversi economisti e ONG pensano invece che in realtà sia la certificazione al massimo livello di una ingiustizia fiscale e redistributiva.

La direttrice esecutiva di Oxfam, Gabriela Bucher, ha commentato: «E’ ora che alcune delle economie più potenti del mondo impongano alle multinazionali, comprese quelle tecnologiche e giganti farmaceutici, a pagare la loro giusta quota di tasse. Tuttavia, fissare un’aliquota minima globale della corporate tax di appena il 15% è troppo basso. Farà poco per porre fine alla dannosa corsa al ribasso sull’imposta sulle società e ridurre l’uso diffuso dei paradisi fiscali. E’ assurdo che il G7 affermi che sta “revisionando” un sistema fiscale globale in pezzi, stabilendo un’aliquota minima globale per la corporate tax simile alle aliquote agevolate praticate da paradisi fiscali come Irlanda, Svizzera e Singapore. Stanno impostando un livello così in basso che le companies potranno semplicemente scavalcarlo».

I principali economisti e organizzazioni della società civile, tra cui la Independent Commission for the Reform of International Corporate Taxation (ICRICT) chiedono unna global minimum corporate tax rate of 25%.  Nel maggio 2019, l’OECD/G20 Inclusive Framework on Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) ha lanciato una nuova fase di riforme fiscali per affrontare l’elusione fiscale internazionale da parte delle multinazionali nell’era digitale. Quasi 140 Paesi stanno partecipando ai negoziati. Il pacchetto di riforma comprende due pilastri, il primo sulla distribuzione dei diritti di imposizione e il secondo su un’aliquota minima per la corporate tax. Il G20 dovrà discutere di questo e la decisione del G7, vista da queste richieste è senz’altro un arretramento difensivo, una specie di soccorso alle multinazionali presentato come un attacco.

I Paesi in via di sviluppo, che generalmente hanno aliquote nominali più elevate per la corporate tax, hanno presentato numerose proposte nell’ambito dei negoziati guidati dall’OCSE/G20. Poche settimane fa, a nome di 38 paesi africani, l’African Tax Administration Forum (ATAF) ha presentato una proposta per affrontare le disuguaglianze globali nella distribuzione dei diritti di tassazione. Anche il G24 ha presentato proposte dettagliate nel corso dei negoziati, chiedendo un sistema fiscale più equo.

Oxfam ricorda che «in un mondo afflitto da una pandemia, in un momento di così disperato bisogno, il G7 ha guardato i bilanci delle multinazionali gonfiarsi fino all’inverosimile e ha immediatamente distolto lo sguardo». Mentre salgono i peana per la lungimiranza del G7 e degli organismi finanziari internazionali, la Bucher ricorda che in realtà. «Il G7 non è riuscito ad aiutare a spianare la strada per riempire le casse dei governi devastate dal Covid e sostenere le persone in tutto il mondo con la promessa di migliori servizi pubblici, posti di lavoro e opportunità future. Il G7 ha avuto la possibilità di stare al fianco dei contribuenti. Hanno scelto invece di stare al fianco dei paradisi fiscali. Fermare l’esplosione della disuguaglianza causata da Covid-19 e affrontare la crisi climatica sarà impossibile se le aziende continueranno a pagare praticamente nessuna tassa. Porre fine alla dannosa corsa al ribasso sulla corporate tax e ridurre l’utilizzo diffuso dei paradisi fiscali richiede un’aliquota fiscale effettiva minima globale davvero ambiziosa. Il 21% el presidente Biden, sebbene lontano dall’essere sufficiente, è stato il tasso più alto proposto, e alcuni Paesi europei, impegnati nei loro paradisi fiscali nazionali, hanno difeso ferocemente un tasso ancora più economico, inferiore al 15%. Questo non è un accordo equo. Allo stato attuale, questo patto fiscale dall’alto verso il basso mediato da soli sette paesi, in vista dell’accordo globale previsto entro l’estate, andrà a vantaggio in modo schiacciante dei paesi ricchi e aumenterà la disuguaglianza. Miliardi di dollari di entrate perse ogni anno nei paradisi fiscali confluirebbero nei Paesi ricchi dove hanno sede la maggior parte delle grandi multinazionali come Amazon e Pfizer, indipendentemente dal fatto che le loro vendite e profitti siano effettivamente realizzati nei Paesi in via di sviluppo. Il G7 non può pretendere che la maggior parte dei Paesi del mondo accetti le briciole del suo tavolo».

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