Giovedì, 18 aprile 2024 - ore 15.47

Prima del Covid-19, quando studiare i pipistrelli era uno spreco di ricercatori vampiri di denaro pubblico

Un vecchio articolo del Giornale, le fake news e il futuro dell’informazione sulle scienze ecologiche

| Scritto da Redazione
Prima del Covid-19, quando studiare i pipistrelli era uno spreco di ricercatori vampiri di denaro pubblico

In questa che sembra ormai un infinito confinamento che è diventato planetario, è difficile star dietro ai velocissimi cambiamenti di umore di leader politici e dei social-network che ne sono sia lo specchio che la fonte che loro stessi alimentano, ma fin dall’inizio, fin dal mercato di selvaggina di una megalopoli cinese che nessuno – tranne un sostanzioso pugno di imprenditori padani – conosceva, l’attenzione si è subito concentrata su animali in Italia tanto negletti quanto circondati da stupide superstizioni e ataviche paure: i pipistrelli (con il corollario dell’esotico pangolino che avrebbe fatto da “ponte” verso l’uomo) che avrebbero sparso la zoonosi che ci costringe in casa e all’ospedale e purtroppo a volte, porta al cimitero. Il tutto condito con sondaggi tipo quello “In tavola. Voi lo mangereste mai un topo o un pipistrello?”, lanciato sul sito web di Libero dopo l’uscita del presidente leghista della Regione Veneto sui cinesi che mangiano topi vivi.

Per alcuni giorni – prima di passare nuovamente ai rosari e alla Svizzera che regala mezzo milione di Franchi/Euro a tutti mentre Conte fa il tirchio – l’attenzione e l’allarme erano stati spasmodici e alcuni giornali, e ancor più siti, blog e social network, si sono spinti a ipotizzare un pericolo di trasmissione del Covid-19 da pipistrelli che in Italia non esiste. Biologi e zoologi imploravano di lasciare in pace questi mammiferi volanti importantissimi per l’equilibrio della biodiversità, mentre la solita politica del giorno dopo si chiedeva perché non ci fossimo occupati di questo rischio, fino ad arrivare all’allarme lanciato in separata campagna Facebook/Twitter ma all’unisono dai due leader della destra neo e vetero – Salvini e Meloni – sul complotto comunista cinese del super-virus costruito in laboratorio (stranamente insieme a capitalistici ricercatori statunitensi) nel 2015 che sarebbe il padre dell’attuale Coronavirus (o forse proprio quello) che ha infettato il mondo. Nonostante la notizia fake sia stata smentita da tutti, a partire da TG3 Leonardo che aveva trasmesso l’impeccabile servizio su cui si è poi basata la campagna mediatica “de paura”, in molti, a partire da una scandalizzata opposizione, si chiedevano perché mai l’Italia avesse sottovalutato il rischio pipistrelli e non si fosse resa conto che gli altri Paesi li stavano studiando non solo come prevenzione in quanto vettori di malattie zoonotiche, ma anche per utilizzarli come armi biologiche delle quali i poveri italiani potrebbero essere le vittime sacrificali.

Mentre leggevamo con un filo di orripilato divertimento tutto questo agitarsi e sbattere di ali, ci ronzava in mente qualcosa che alla fine abbiamo messo a fuoco. Una di quelle cose che si dimenticano e che chi le scrive e ispira spera che si dimentichino.

Nel 2009, l’allora indimenticato ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione Renato Brunetta pubblicò con grande scandalo ed evidenza un dossier che, proseguendo la sua pervicace campagna contro gli sprechi ambientalisti delle amministrazioni pubbliche, denunciava «spese pazze per gamberi e lepre». Una campagna che Il primo febbraio 2009 Francesco Cramer rilanciava con grande evidenza sul Giornale nell’ormai dimenticato ma comunque memorabile articolo intitolato “Sprechi Bestiali. Pagato dalla Regione per ululare nei boschi”. Dopo aver spulciato l’indagine dell’implacabile Brunetta, Cramer denunciava con irridente disgusto “sprechi” per la ricerca scientifica sulla fauna in diverse regioni italiane, alcuni per contributi di poche centinaia o migliaia di euro. E la cosa che lo stupiva di più, nella sua visione ideologico-disneyana della natura, era che si buttassero soldi dalla finestra non solo per studiare le lepri variabili «Bestiole graziose, dal pelo bianco, il cui studio risulta maggiormente attraente ai più, rispetto a quello assegnato a Elena Patriarca: sei mesi ininterrotti per “l’attività di monitoraggio demografico e l’inventario dei chirotteri presenti in valle”». Insomma, la Patriarca era colpevole di studiare i pipistrelli, gli stessi animali che oggi l’area politica di riferimento del Giornale indica come armi biologiche cinesi. Finita nel mirino di Brunetta e poi dell’implacabile Giornale, la Patriarca, venne fatta passare per un vero e proprio vampiro del pubblico denaro, per aver succhiato dalle casse pubbliche addirittura 6.000 (seimila) euro per 6 mesi di attività di monitoraggio demografico e per fare l´inventario dei chirotteri, allora considerati superflui fino al ridicolo.

I commenti dei lettori dal Giornale (molto probabilmente gli stessi che oggi accusano su Facebook Conte, Di Maio, il PD, Soros e la Spectre e gli scienziati italiani di essersi volutamente disinteressati del notissimo ed esiziale rischio rappresentato dai pipistrelli) rappresentavano già allora vere e propri perle: si andava dal «se mi insegnano a squittire e mi pagano bene, vado a fare le derattizzazioni negli ospedali e negli uffici pubblici senza usare alcun flauto magico… l’assurdo del nostro paese è nell’invenzione di mestieri che non hanno alcun senso», alla presentazione della ricerca di base (e quella naturalistica in particolare) come una burletta, all’è tutto un magna magna: «E poi le regioni o le province autonome si lagnano della mancanza di fondi; ma per dare sfogo alla loro illimitata fantasia, riescono sempre a trovare soldi. E le varie corti dei conti pare non intervengano mai!!!! Ma che ci stanno a fare???” oppure “è scandaloso vedere i ns soldi buttati via in questo modo ……..sarebbe ora di mettere fine a queste vergogne……!».  «Come si fa ad essere ingaggiati per non far nulla percependo una vagonata di euro».

Molto puntuta e ironica fu la risposta che dette allora a Cramer il pisano Andrea Gazzola dell’università di Sassari, esperto di lupi e individuato come l’ululatore del titolo di quello sfortunato articolo del Giornale che forse voleva essere spiritoso ma che si rese ridicolo nel tentativo di far passare per sprechi le scarse risorse destinate alla ricerca naturalistica, che oggi in tutto il mondo viene invocata come strumento preventivo indispensabile per prevenire le zoonosi prossimo venture. Dopo aver corretto puntigliosamente una serie interminabile di strafalcioni, errori scientifici e di nomenclatura e disinformazioni contenute nell’articolo del malcapitato Cramer, Gazzola concludeva: «Per i motivi sopraccitati, non reputo il suo articolo un affronto alla mia persona o alla mia professionalità, piuttosto alla sua. Se vuole, posso inviare alla redazione del suo giornale una versione corretta del suo lavoro. Cordiali Saluti, e si impegni, la prossima volta farà di meglio».

Ma epica e da manuale fu soprattutto la risposta data dalla Patriarca al maldestro fustigatore degli sprechi zoologici italici che invocava i fulmini di Brunetta in un articolo checome scrivemmo 11 anni fa, «svela bene l´abisso che corre tra il “buonsenso” populista e semplificatorio di alcuni giornali e la necessità e le ragioni “complicate” della ricerca scientifica e ambientale che allo sfottente Giornale sembra un costoso ed inutile trastullo».

Come spiegava con pacata ironia la ricercatrice, quella che stava studiando, e tutelando da dei lavori in corso in un importante edificio, era «una colonia di repellenti rinolofi maggiori (…). E´ l´ultima colonia riproduttiva di tale specie di pipistrelli conosciuta sull´intero territorio piemontese-valdostano. Le altre, grazie al cielo, sono andate incontro all´estinzione per cause antropiche o non sono ancora state “scoperte” da noi aringhe, cosicché non abbiamo potuto sperperarci sopra soldi pubblici; al riguardo Le va riconosciuto il merito di avere, con l´articolo, diminuito le probabilità che qualcuno sia pagato per scoprire tali colonie ed incrementato la probabilità che vengano distrutte senza che l´opinione pubblica lo sappia, perfetto corollario del tipo di informazione da Lei promosso. Non paga delle nefandezze di cui sopra, avevo in programma anche una giornata di formazione, in cui istruire degli scagnozzi al fine di organizzare meglio futuri sperperi di denaro pubblico, sempre per i pipistrelli. Pensavo al Corpo Forestale, al personale dei Parchi e, più in generale, a quelli che in Valle d´Aosta sprecano tempo con la gestione degli ambienti rilevanti per la tutela dei chirotteri – ambienti forestali, zone umide, agroecosistemi, ambienti ipogei ed edifici monumentali – o che si occupano (mi vergogno a dirlo) di divulgazione naturalistica».

Rispondendo al Giornale a nome dell’Associazione Teriologica Italiana, Marco Apollonio, parlava di «Ignoranza a livello legislativo» e ricordava che pochi giorni prima, su un grande quotidiano nazionale, Beppe Pisanu, ex deputato e sottosegretario DC, ex ministro degli Interni dal 2002 al 2006, allora presidente della Commissione Antimafia ed esponente di spicco di Forza Italia/Popolo delle Libertà, sosteneva che «Non possono essere le osterie padane a dettare la politica sull’immigrazione». Apollonio concludeva: «Verrebbe da dire, parafrasando Pisanu, che lo stesso vale per l’informazione. Ci sono infatti redazioni che ostentano la stessa demagogia, la stessa ignoranza e la stesso rozzo populismo di chi fa dell’ignoranza un merito. Purtroppo».

E purtroppo da allora le cose sono peggiorate. Se c’è una cosa che speriamo ci abbia insegnato il Coronavirus è che tra le spese assolutamente necessarie per sopravvivere e vivere meglio nel mondo di domani che intravediamo nella tragedia planetaria del Covid-19 ci sono quelle per la ricerca scientifica, per capire come “funziona” la comunità vivente della quale facciamo parte e quali misure dobbiamo prendere per ri-costruire un mondo più resiliente dove ristabilire un patto con la natura. E anche articoli come quelli pubblicati dal Giornale nel 2009 e i molti che sono seguiti su diverse testate e rilanciati epidemicamente sui social network su inesistenti o normali pericoli nel rapporto tra uomo e animali fatti passare per inconcepibili o trattati in maniera sensazionalistica e/o scandalistica, speriamo diventino un ricordo del passato. Questa tragedia che stiamo vivendo ci insegna che anche per il mondo dell’informazione, e soprattutto dell’informazione che a ha a che vedere con le scienze ecologiche, c’è un prima e un dopo il Covid-19.

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