Mercoledì, 24 aprile 2024 - ore 18.18

Quattro scenari possibili nello sviluppo della guerra in Ucraina

| Scritto da Redazione
Quattro scenari possibili nello sviluppo della guerra in Ucraina

“Nessun piano sopravvive al contatto col nemico”. La massima ottocentesca dello stratega prussiano Von Moltke si applica molto bene oggi ai piani di guerra del Cremlino, che due mesi fa puntava a prendere Kyiv e rovesciare lo stato ucraino in pochi giorni, e finora è riuscito a conquistare solo Kherson e Mariupol pagando un prezzo altissimo in termini di vittime e feriti tra i propri soldati, perdite di mezzi militari, e danni economici causati dalle sanzioni occidentali.

I fallimenti di Putin e l’incertezza del conflitto

Fallito il piano iniziale del blitzkrieg su Kyiv, Mosca è passata al piano B consistente nel bombardamento pesante e assedio delle principali città del Nord e dell’Est per piegare la resistenza ucraina, fallendo una seconda volta. Ritiratesi dal settentrione del Paese lasciando dietro di sé stragi di civili come a Bucha, le forze russe stanno attualmente concentrando la loro offensiva sul fronte del Donbass da Mariupol a Izyum in quello che è il terzo e probabilmente ultimo piano a disposizione di Putin.

Resta tuttora l’incertezza sull’esito del conflitto, la “nebbia della guerra” teorizzata da un altro stratega ottocentesco – Von Clausewitz – dovuta all’interazione imprevedibile di molteplici fattori umani e materiali che molto hanno inciso finora sul conflitto: dalla leadership di Zelensky agli errori di Putin, dagli aiuti militari occidentali alla resistenza straordinaria del popolo ucraino – entrata nella storia con l’assedio di Mariupol. Detto questo, azzardando una speculazione logica, è possibile ipotizzare quattro scenari per il conflitto, sulla base di due variabili fondamentali: le capacità militari russe e quelle ucraine.

Nucleare: uno scenario remoto

La prima variabile riguarda l’impiego della forza bellica russa, che potrebbe tendere teoricamente verso due scenari opposti, estremi ed improbabili. Un primo scenario estremamente remoto vedrebbe l’uso da parte di Mosca di armi nucleari tattiche per annichilire la leadership ucraina. Tale scenario è estremamente remoto in quanto contrario agli interessi stessi del Cremlino. L’uso dell’arma atomica renderebbe infatti inutilizzabile per decenni regioni che si vogliono invece occupare, sfruttare economicamente, ed utilizzare per rafforzare la postura militare russa sul Mar Nero.

Inoltre, un uso dell’arma atomica nella zona del fronte investirebbe inevitabilmente le stesse forze russe, un prezzo probabilmente inaccettabile per l’apparato militare che appoggia Putin, a meno che non fosse usata a distanza di sicurezza su Kyiv o un’altra grande città dell’Ucraina occidentale come Leopoli o Odessa.

L’impiego dell’arma atomica contro una metropoli europea sarebbe un fatto militare, politico, storico di tale enormità da portare all’immediato e totale embargo del gas russo da parte di tutto l’Occidente e all’esclusione completa delle banche russe dal sistema SWIFT, il che a sua volta porterebbe verosimilmente al collasso del vertice statuale russo causa default economico. In altre parole, l’escalation atomica causerebbe una escalation di guerra economica da cui la leadership di Putin uscirebbe a pezzi.

Perché è molto improbabile una liberazione di tutta l’Ucraina

L’impiego della forza bellica russa potrebbe tendere teoricamente verso lo scenario opposto, quello di un progressivo calo dell’efficacia delle forze impiegate in battaglia, a causa dei noti problemi quanto a carenza di rifornimenti, peggioramento del morale delle truppe, ed erosione dello stock di equipaggiamenti militari, fino al punto da non riuscire a tenere le posizioni conquistate in Ucraina di fronte ai contrattacchi di Kyiv, e doversi quindi ritirare verso i confini russi.

Questo scenario è molto improbabile, sebbene non impossibile, perché per quanto tali problemi siano reali e gravi sono compensati dalla quantità di risorse militari e umane mobilitabili da Mosca, anche a prezzo di grandi sacrifici cui il popolo russo è storicamente pronto: come notava Stalin, la quantità è una qualità di per sé.

Inoltre, per le forze ucraine è relativamente più facile tenere le posizioni attuali che riconquistare Mariupol, in quanto attaccando in profondità le posizioni russe dovrebbero affrontare le stesse difficoltà tattiche e operative sperimentate dagli aggressori nei mesi scorsi, dalla contraerea ai campi minati, alle insidie di una battaglia urbana.

Esclusi i due scenari più improbabili, restano altri due scenari che vedono un impiego della forza bellica russa più o meno simile a quanto visto finora: bombardamenti aerei e missilistici senza tuttavia raggiungere la piena superiorità aerea o navale, concentrazione della potenza di fuoco e della manovra terrestre sul fronte del Donbass, sostanzialmente una guerra di attrito per distruggere man mano le posizioni ucraine sperando in un qualche sfondamento e aggiramento delle truppe del Paese aggredito.

Il fronte del Donbass e la guerra di attrito

Stante la posizione russa bisogna considerare la seconda variabile, ovvero la forza militare ucraina. Le forze armate di Kyiv hanno subito forti perdite umane, ma hanno anche visto un significativo arruolamento di volontari. I mezzi persi in due mesi di guerra sono stati in buona parte sostituiti dagli aiuti militari occidentali, che in alcuni casi hanno anche aumentato e/o migliorato determinati assetti rispetto allo status quo ante 24 febbraio.

Il morale ucraino oggi è sicuramente superiore sia a quello di 1-2 mesi fa, quando era possibile la caduta Kyiv, sia a quello attuale della controparte russa. Inoltre, buona parte del fronte del Donbass è stato fortificato in 8 anni di conflitto a bassa intensità post invasione russa del 2014, cosa che renderà un’avanzata delle forze russe ancora più difficile di quanto lo sia stata nel nord dell’Ucraina.

È quindi ipotizzabile un impiego della capacità militare ucraina simile a quello visto nelle ultime settimane: forze armate ben organizzate in grado di resistere, manovrare, contrattaccare, condurre con successo attacchi dall’alto valore simbolico come l’affondamento del Moskva, e limitare i danni dei bombardamenti russi lontano dal Donbass rendendo sostenibile la vita socio-economica sul fronte interno. Tale variabile può muoversi di misura in due direzioni opposte. Nel caso migliore, oltre a tenere il fronte orientale le forze ucraine potrebbero riconquistare alcune zone, ad esempio vicino Kherson. Nel caso peggiore, dovrebbero arretrare verso il fiume Dniepr quale naturale “linea del Piave” della difesa ucraina.

Se questo è l’equilibrio tra le forze in campo si prefigura una guerra di attrito, potenzialmente lunga, in cui Kyiv potrà contare su crescenti rifornimenti occidentali, che ultimamente hanno visto anche l’addestramento di forze ucraine in Paesi europei, mentre la Russia raschierà il fondo del barile dei propri arsenali continentali. In un quadro del genere, a livello operativo e tattico saranno possibili conquiste più o meno limitate, e magari temporanee, di porzioni di territorio nel Donbass da parte di entrambi gli schieramenti.

Conflitto a bassa intensità o armistizio?

In una tale guerra di attrito e logoramento tra forze nel complesso comparabili, in un teatro operativo abbastanza circoscritto, restano due scenari maggiormente possibili per l’esito del conflitto. Il primo è quello di una guerra che non finisce, come non è finita nel 2014 la prima guerra russo-ucraina in Donbass che ha causato circa 14.000 vittime fino al 23 febbraio 2022. Le operazioni belliche russo-ucraine continuerebbero ad intensità più o meno limitata, prevenendo strutturalmente l’Ucraina da qualsiasi adesione a Nato o Ue che non potrebbero certo accogliere un Paese in guerra con la Russia entrando così direttamente nel conflitto.

Il secondo scenario consiste in una qualche forma di armistizio che sancisce di fatto la situazione sul terreno, con la Russia che occupa una parte dell’Ucraina maggiore di quanto già facesse il 23 febbraio e ha il pieno controllo della costa del Mar d’Azov, mentre Kyiv mantiene l’accesso al Mar Nero tramite la regione di Odessa. Le operazioni belliche cesserebbero ma la linea del fronte verrebbe fortemente militarizzata da entrambe le parti per congelare il nuovo confine de facto. L’Ucraina potrebbe avvicinarsi a Ue e Nato quanto ad accordi di cooperazione, ma anche in questo scenario l’adesione sarebbe impossibile data l’esistenza di un contenzioso territoriale aperto con Mosca.

La scelta di Putin

La scelta tra questi due scenari maggiormente possibili – guerra a bassa intensità o armistizio su un nuovo confine di fatto – è nelle mani di Putin, ma anche dell’Ucraina e dell’Occidente. L’attore principale resta il Cremlino, che ha deciso per motivi propri una guerra di aggressione senza alcun casus belli o reale minaccia alle porte, e che di nuovo per motivi propri – o meglio legati al futuro della propria leadership politica – può decidere di porvi termine e proclamare vittoria.

Il controllo pressoché totale dell’informazione verso la popolazione russa permetterebbe a Putin di propagandare il successo della sua guerra già adesso con la presa di Mariupol e di tutto il Mar d’Azov, se solo lo volesse. E potrebbe volerlo solo nel momento in cui valutasse che non conseguirà ulteriori risultati militari sul campo, mentre continuerebbe a pagarne un prezzo elevato in termini di sanzioni. Tanto più quindi Kyiv terrà il fronte del Donbass, tanto più Mosca potrebbe prendere in considerazione un armistizio.

La posizione dell’Occidente

Nel conflitto il ruolo dell’Occidente continua ad essere indiretto ma importante. Gli ucraini combattono per loro stessi e il proprio Paese, la loro libertà, democrazia e indipendenza nazionale, ed hanno dimostrato di voler e poter combattere casa per casa, metro per metro. Sta a Europa e nord America aiutarli il più possibile a difendersi restando sotto la soglia di una escalation del conflitto tra Russia e Nato. Fornire armi e mezzi ha aiutato l’Ucraina a salvare Kyiv, e quindi il proprio Stato, e la aiuterà nel difficile compito di tenere il fronte del Donbass. Il graduale aumento quantitativo e qualitativo degli aiuti militari occidentali a Kyiv va esattamente in questa direzione.

E in questa direzione dovrebbe andare anche il dosaggio delle sanzioni economiche da parte di Ue e G7. Sanzioni il cui obiettivo è e dovrebbe restare quello di incentivare Putin a trovare più conveniente un armistizio rispetto alla guerra, non quello di puntare al default della Federazione Russa tramite un embargo totale del gas russo che costituirebbe un atto di guerra economica dalle conseguenze militari imprevedibili.

Dal 24 febbraio 2022 Putin ha scelto un approccio diretto al conflitto con l’Ucraina, che finora ha perso la battaglia decisiva di Kiev. Stati Uniti ed Europa hanno invece scelto un approccio indiretto per mantenere la sicurezza dei Paesi Nato aiutando per quanto possibile l’Ucraina: una strategia che ha contribuito al risultato ottenuto dagli ucraini, col proprio sangue, di salvare gran parte del loro Paese dall’occupazione russa.

A due mesi dall’inizio del conflitto, di fronte ai rapporti di forza militari sul terreno e alla prospettiva di una guerra di logoramento, è il momento per Europa e nord America di articolare una nuova iniziativa diplomatica coordinata – magari in ambito Osce vista la membership pan-eruopea dell’organizzazione nata dalla distensione della Guerra Fredda – che costituisca un ulteriore incentivo per Putin per accettare che non potrà vincere questa guerra, e quindi per interromperla.

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