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Risalire dall’abisso di Auschwitz / Il ricordo della FIVL

Padre Kolbe ed Edith Stein: risalire dall’abisso di Auschwitz / Il ricordo della FIVL

| Scritto da Redazione
Risalire dall’abisso di Auschwitz / Il ricordo della FIVL

 vicentino, Presidente della FIVL, la Federazione che riunisce le Associazioni partigiane di ispirazione cattolica e patriottica, ricorda come nel mese di agosto il calendario proponga la commemorazione di due santi dei nostri giorni, accomunati dal fatto di aver entrambi trovato la morte nel campo di concentramento di Auschwitz: Edith Stein (il 9 agosto) e padre Massimiliano Kolbe (il 14 agosto).

Di seguito le sue riflessioni.

“Nati a pochi anni di distanza uno dall’altra (nata nel 1891 la Stein, nel 1894 padre Kolbe), avevano entrambi radici che li avrebbero resi personaggi odiati dal nazismo: Edith Stein di origine ebraica, padre Kolbe, che pure aveva il padre di origine tedesca apparteneva alla nazione polacca.

Le storie personali di Edith Stein e di padre Kolbe sono assai diverse. Edith Stein nasce a Breslavia, (città all’epoca tedesca e oggi polacca con il nome di Wroclaw), e si orienta fin da giovane verso una posizione atea, affascinata dalle teorie di Edmund Husserl che decise di seguire presso l’università di Gottinga dove il celebre fenomenologo teneva le sue lezioni, diventandone poi assistente. Si dedicò anche all'attività politico-sociale, impegnandosi nel Partito Democratico Tedesco a favore del diritto di voto alle donne.

La sua conversione al cattolicesimo si formalizzò con il battesimo celebrato il 1° gennaio 1922, al termine di un percorso che ebbe inizio osservando una donna "qualsiasi” che con le borse della spesa era entrata in una chiesa per pregare; ma fu solo dopo aver letto l'autobiografia della mistica Santa Teresa d’Avila, durante una vacanza nel 1921, che abbandonò l'ateismo e si convertì.

Realizzando un desiderio che da tempo portava nel cuore, Edith Stein entrò nel monastero carmelitano di Colonia nel 1934 e prese il nome di Teresa Benedetta della Croce. Per proteggerla dalla minaccia nazista, il suo ordine la trasferì al convento carmelitano di Echt in Olanda.

Edith non era al sicuro neanche nei Paesi Bassi: la conferenza dei vescovi olandesi il 20 luglio 1942 fece leggere in tutte le chiese una lettera contro il razzismo nazista. In risposta, il 26 luglio Adolf Hitler ordinò l'arresto di tutti gli ebrei anche convertiti (che fino a quel momento erano stati risparmiati). Edith e sua sorella Rosa, pure lei convertita, vennero catturate e internate ad Auschwitz dove furono uccise nelle camere a gas il 9 agosto 1942.

Rajmund Kolbe nacque a Zdunska Wola, cittadina oggi polacca, ma che all’epoca apparteneva all’Impero Russo. Fin da fanciullo la sua vita fu indirizzata verso la vocazione sacerdotale che egli coltivò nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, assumendo il nome di Massimiliano. La sua formazione culturale maturò a Roma, ottenendo due lauree, e si completò nel 1919, una volta ordinato sacerdote e aver ottenuto il dottorato di teologia. Egli maturò e approfondì uno dei tratti essenziali della sua esperienza spirituale, che caratterizzerà poi il suo impegno pastorale. Kolbe era consapevole di doversi impegnare in un periodo storico difficile, caratterizzato dall'emergere di ideologie totalitarie, dalle sfide sociali poste dalla industrializzazione, dal materialismo e dallo sviluppo dei mass media.

Rientrato in Polonia nel 1919, seppur malato di tubercolosi, iniziò una intensa attività: nel 1927 fondò, non lontano da Varsavia, un convento chiamato Niepokalanów dotato di una tipografia e di un seminario missionario. Divenne uno dei conventi cattolici più grandi al mondo, ed era quasi una città autonoma. Gli anni successivi (1930-1936) lo videro impegnato in Giappone e India dove avviò nuove opere formative. Rientrato in Polonia, Kolbe si dedicò al rafforzamento di Niepokalanów impegno interrotto da brevi periodi in Italia e in Lettonia.

Gli eventi in Europa però precipitarono: la Polonia venne occupata dalla Germania e dall’URSS. Kolbe fu arrestato dalle truppe tedesche il 19 settembre 1939 insieme ad altri 37 confratelli, venendo liberato solo tre mesi dopo. Rientrò a Niepokalanów, ma la sua libertà durò poco: Il 17 febbraio 1941 Kolbe venne nuovamente e definitivamente arrestato dalla Gestapo.

Il 28 maggio 1941 Kolbe giunse ad Auschwitz, e venne addetto a lavori umilianti come il trasporto dei cadaveri. Venne più volte bastonato, ma non rinunciò a dimostrarsi solidale nei confronti dei compagni di prigionia. Nonostante fosse vietato, Kolbe in segreto celebrò due volte una messa e continuò il suo impegno come presbitero.

La fuga di uno dei prigionieri causò una rappresaglia da parte dei nazisti, che selezionarono dieci persone della stessa baracca per farle morire nel cosiddetto bunker della fame. Quando uno dei dieci condannati, Franciszek Gajowniczek, scoppiò in lacrime dicendo di avere una famiglia a casa che lo aspettava, Kolbe uscì dalle file dei prigionieri e si offrì di morire al suo posto. In modo del tutto inaspettato, lo scambio venne concesso: i campi di concentramento erano infatti concepiti per spezzare ogni legame affettivo e i gesti di solidarietà non erano accolti con favore. Kolbe venne quindi rinchiuso nel bunker del Blocco 11. Dopo due settimane di agonia senza acqua né cibo la maggioranza dei condannati era morta di stenti, ma quattro di loro, tra cui Kolbe, erano ancora vivi e continuavano a pregare..

La calma professata dal sacerdote impressionò le SS addette alla guardia, per le quali assistere a questa agonia si rivelò scioccante. Kolbe e i suoi compagni vennero quindi uccisi il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell'Assunzione di Maria, con una iniezione di acido fenico. I loro corpi vennero cremati il giorno seguente, e le ceneri disperse.

Secondo la testimonianza di Franciszek Gajowniczek, Padre Kolbe disse a Hans Bock, il delinquente comune nominato capoblocco dell'infermeria dei detenuti, incaricato di effettuare l'iniezione mortale nel braccio: «Lei non ha capito nulla della vita...» e mentre questi lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «...l'odio non serve a niente... Solo l'amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria». Franciszek Gajowniczek riuscì a sopravvivere ad Auschwitz. Tornato a casa, trovò sua moglie viva, ma i suoi due figli erano rimasti uccisi durante un bombardamento russo. Morì nel 1995.

Per entrambi il processo di beatificazione e canonizzazione si è compiuto entro la fine del XX secolo: Kolbe fu beatificato il 17 ottobre 1971 da papa Paolo VI e canonizzato il 10 ottobre 1982 da papa Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla fu particolarmente legato anche alla figura di Edith Stein: il processo di beatificazione si concluse il 1° maggio del 1987 e la canonizzazione l’11 ottobre 1998.

Colpiscono il ruolo e l’importanza che la Chiesa ha riservato a queste due figure: il giorno della canonizzazione di Kolbe, papa WojtyÅ‚a nell'omelia lo definì “santo martire, patrono speciale per i nostri difficili tempi, patrono del nostro difficile secolo” e “martire della carità”.

Giovanni Paolo II indicò sempre lo sterminio antisemita come un abisso dell'umanità, e volle onorare Edith Stein definendola, "una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea".

Edith Stein il 1° ottobre 1999 fu nominata dal Papa anche "compatrona" d'Europa affermando che: “Teresa Benedetta della Croce ... non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d'Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l'adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell'uomo nell'immane vergogna della "shoah". Ella è divenuta così l'espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo”.

Il martirio di Edith Stein e di padre Massimiliano Kolbe rappresenta una testimonianza ineguagliabile della possibilità degli uomini di risalire l’abisso dei campi di concentramento nazisti, dove hanno perso la vita milioni di uomini e donne. Un abisso che purtroppo si è ripetuto e si ripete ancora oggi nella storia della umanità, a volte con altrettanta ferocia”. (aise) 

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