Giovedì, 25 aprile 2024 - ore 08.12

Russkij Mir: genesi, evoluzioni e utilizzo della formula politica della Russia putiniana

| Scritto da Redazione
Russkij Mir: genesi, evoluzioni e utilizzo della formula politica della Russia putiniana

Negli anni Novanta la Federazione Russa si è trovata in un ambiente internazionale dove era guardata a tutti gli effetti come un Paese “vinto”. Per chi ne assunse le redini questa idea era difficile da accettare. Sia perché l’Urss non era incappata in una débâcle militare. Sia perché non si erano materializzate variazioni significative in quei fattori oggettivi e strutturali la cui interazione con le preferenze delle élite e le qualità delle istituzioni nazionali solitamente è all’origine della politica estera di uno Stato. Nel 1992, infatti, la Russia restava il Paese con il territorio più vasto al mondo e il sesto per popolazione. Possedeva forze armate che a livello globale erano le seconde per numero di effettivi nonché le prime per numero di testate nucleari e carri armati a disposizione. Controllava, infine, le prime riserve mondiali di gas e le ottave di petrolio.

Il progressivo ripristino dell’ordine in Caucaso settentrionale e il rilancio dell’economia, hanno costituito per Vladimir Putin e i siloviki la precondizione per l’ambizioso progetto che puntava a far nuovamente riconoscere la Russia come una grande potenza. Tale status ha tradizionalmente trovato uno dei suoi elementi distintivi nella creazione di una sfera di influenza. Al suo interno la potenza contraddistinta da capacità tali da non potere essere sfidata dagli altri Stati che vi appartengono, cerca solitamente di dotare il suo potere di una qualche forma di legittimità, in modo da diminuirne il costo dell’esercizio.

Se all’inizio degli anni Duemila Mosca possedeva tutti gli strumenti necessari per rilanciare il suo hard power, maggiori problemi incontrava nella ridefinizione di una qualche formula di legittimità per la sua azione esterna. Questo obiettivo, tuttavia, non risultava così lontano dal modo di pensare della nuova élite al potere, convinta – come era successo di sovente in passato – che la Russia non sia una potenza come tutte le altre ma abbia una qualche responsabilità “speciale” nei confronti dell’umanità. L’eccezionalismo russo, d’altronde, aveva già trovato compimento durante il XIX secolo nella “missione civilizzatrice” lungo i confini orientali e meridionali dell’Impero zarista e nel panslavismo lungo quelli occidentali, mentre nel XX secolo era stato declinato nella promozione globale del comunismo da parte dell’élite sovietica.

Risultando inservibili le formule politiche del passato, l’élite putiniana ne ha individuato una nuova nel Russkij Mir (“mondo” – ma anche “pace” – russa). Gli elementi essenziali di questo concetto erano già stati abbozzati nel 1992 da Sergej Karaganov (si veda qui), quando però il Paese aveva scarse risorse a disposizione e una serie di priorità strategiche che gli impedivano di affinare i suoi strumenti di politica estera. Secondo il politologo e consigliere presidenziale sia di Eltsin che di Putin, Mosca avrebbe dovuto rinsaldare i legami con la diaspora russa e russofona presente nelle quattordici repubbliche divenute indipendenti dopo il 1991. Avrebbe dovuto, inoltre, proporsi quale garante dei loro diritti nel caso in cui le peculiarità etniche o linguistiche di queste persone fossero state all’origine di discriminazioni da parte delle nuove autorità nazionali.

La preservazione di un legame saldo con comunità anche numericamente rilevanti, come in Ucraina o in Kazakistan, ne avrebbe assicurato la fedeltà alla Russia e, quindi, l’influenza sulle principali scelte politiche ed economiche dei Paesi in cui esse risiedevano. Negli anni Duemila il sistema di appartenenze a cerchi concentrici del Russkij Mir è stato progressivamente esteso, arrivando a includere i cristiani ortodossi e, più in generale, i cristiani d’oriente. Successivamente, in un quarto cerchio sono ricaduti i cosiddetti “compatrioti”. Inizialmente questo termine indicava i cittadini di altri Paesi che possedevano anche la cittadinanza russa, moltiplicatisi negli anni Duemila grazie alla politica della “passaportizzazione” ovvero la concessione agevolata del passaporto russo. Successivamente, però, l’idea del “compatriota” ha assunto un’accezione via via più ideologica e, potenzialmente, universalista, ricomprendendo quanti avvertono un legame spirituale e culturale con la Russia.

Dopo una prima fase di elaborazione teorica, il Russkij Mir ha trovato una collocazione ufficiale nella politica russa. Nel 2007 la Fondazione omonima è stata istituita dai ministeri russi degli Affari Esteri e dell’Educazione in collaborazione con la Chiesa ortodossa e oggi opera in tutto il mondo con l’obiettivo ufficiale di diffondere la lingua e la cultura russa. Nel 2016, invece, il Russkij Mir ha avuto anche una consacrazione “dottrinaria”, risultando integrato nel Concetto di politica estera della Federazione Russa, dove si legge che «le attività di politica estera dello Stato devono mirare ad assicurare una protezione onnicomprensiva ed effettiva dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini russi e dei compatrioti residenti all’estero».

Nel frattempo, tuttavia, il concetto era già stato utilizzato dalla Russia per invocare una qualche “responsabilità a proteggere” gli osseti del sud contro le autorità georgiane nel 2008, la popolazione della Crimea con l’annessione nel 2014 e le minoranze cristiane con l’intervento in Siria nel 2015. Questo inverno, invece, il Cremlino vi si è parzialmente appellata per giustificare il sostegno ai secessionisti del Donbass e l’invasione dell’Ucraina. Il legame identitario, tuttavia, non ha funzionato come previsto. Le truppe di Mosca, infatti, hanno incontrato la resistenza più dura proprio in aree – come quelle di Kharkiv o di Mariupol – dove in teoria i legami culturali con la Russia sono più forti. Sono così usciti allo scoperto i punti di forza, ma soprattutto quelli di fragilità del Russkij Mir. Mai come in questo caso, avrebbe detto Lenin, «ci sono dei decenni in cui non accade nulla e poi delle settimane in cui accadono decenni».

(Gabriele NataliziaGeopolitica.info)

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