Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 06.03

Sardegna, Siberia, Canada, Usa: un pianeta devastato dalle fiamme

Sardegna, Siberia, Canada, Usa: un pianeta devastato dalle fiamme

| Scritto da Redazione
Sardegna, Siberia, Canada, Usa: un pianeta devastato dalle fiamme

Duecento persone a Santu Lussurgiu, 150 a Cuglieri, 400 a Scano Montiferro: in Sardegna sono oltre 1.500 ad aver dovuto abbandonare le proprie case, in fuga dall’incendio che sta devastando la zona del massiccio di Montiferru, nell’Oristanese. A lottare contro le fiamme, un esercito di oltre 7.500 persone, tra corpo forestale, vigili del fuoco, protezione civile, volontari, Croce Rossa e forze dell’ordine. Ma nonostante l’imponente spiegamento di forze, il fuoco continua ad avanzare, alimentato dalle temperature estive e dal forte vento.

La Sardegna non è l’unica località colpita da incendi. Dalla Siberia al Canada, dagli Stati Uniti al Sudafrica, il fuoco continua a devastare il pianeta. Colpa dei cambiamenti climatici, ovviamente, che in molte aree del mondo stanno creando con frequenza sempre maggiore le condizioni perfette per simili catastrofi. Dopo un 2020 da dimenticare, vediamo quali sono al momento i peggiori incendi scoppiati quest’anno.

L’incendio in Sardegna

Per il momento, l’incendio nell’Oristanese ha devastato circa 25mila ettari di boschi e pascoli, minacciando da vicino molti piccoli centri della zona. Si tratta del rogo più grande di quest’anno sull’isola, ma non è il solo: in totale, infatti, il territorio distrutto dalle fiamme dall’inizio dell’anno ha già raggiunto quota 40mila ettari, classificando il 2021 come una delle peggiori annate degli ultimi decenni.

L’incendio è divampato sabato, in un’area compresa tra i paesi di Bonarcado e Santo Lussugiu. Un tratto di entroterra già protagonista di un simile disastro nel 1996, quando un incendio (doloso in quel caso) cancellò i boschi di Seneghe, Bonarcado, Cuglieri, Santu Lussurgiu e Scano Montiferro, fermandosi però a circa 12mila ettari di terreno bruciato. Le origini dell’incendio di quest’anno non sono ancora note, ma che sia stato un atto deliberato, qualche contadino sprovveduto alle prese con le stoppie (fuori stagione), una sigaretta o un innesco naturale, poco importa.

Quel che è certo è che una corretta manutenzione dei territori (con lo sfoltimento dei cespugli e la pulizia delle zone frangifiamma che dovrebbero contenere la diffusione del fuoco in caso di incendi) avrebbe reso ben meno drammatica la situazione. Proprio lo scorso 7 giugno, un comitato di cittadini aveva chiesto al sindaco di Cuglieri (tra i paesi dell’area più colpiti dagli incendi) di provvedere agli interventi necessari per la messa in sicurezza del territorio. Ma evidentemente non è bastato.

Le fiamme in Siberia

Se i 40mila ettari bruciati in Sardegna sono un’area importante per il nostro paese, impallidiscono di fronte alle notizie che arrivano dalla Russia. In Siberia, e più precisamente nell’area della Sacha (o Jacuzia, più familiare per gli amanti di Risiko), da inizio estate le fiamme hanno divorato ben un milione e mezzo di ettari di boschi, sulla spinta di temperature da record che hanno tenuto per giorni i termometri intorno ai 39 gradi centigradi.

Le fiamme hanno raggiunto diverse città della regione, costringendo il governo a bloccare i voli in partenza e in arrivo dall’aeroporto del capoluogo della Sacha, Jakutsk. L’aviazione russa ha tentato di contenere la diffusione dei roghi scaricando sulle fiamme oltre 36 tonnellate di acqua, e utilizzando anche l’inseminazione delle nuvole, che avrebbe dovuto scatenare nell’area forti piogge (praticamente assenti quest’anno dall’inizio dell’estate). Per ora però nulla sembra in grado di fermare il colossale incendio.

Oltre ai danni ambientali e ai pericoli per le persone della zona, gli incendi che colpiscono la taiga siberiana sono particolarmente dannosi anche per un altro motivo: rilasciano nell’atmosfera quantità enormi di anidride carbonica immagazzinata nel suolo (spesso composto da torba) e nella vegetazione, e spesso possono sopravvivere all’arrivo dell’inverno bruciando nel sottosuolo, invisibili, pronti a tornare in superficie con l’arrivo dei primi caldi della stagione estiva.

Il 2021 drammatico del Canada

L’ondata anomala di calore che ha colpito il Canada a fine giugno non ha provocato solamente decessi causati dalle temperature da record, vicine ai 50 gradi. Il clima impazzito ha creato le condizioni perfette per gli incendi. Al 14 di luglio le autorità forestali canadesi contavano già 226 roghi incontrollati attivi su tutto il territorio del paese, con un picco proprio nelle zone della British Columbia colpite dall’ondata di calore, dove l’intera cittadina di Lytton (piccolo centro a 240 chilometri da Vancouver) è stata distrutta dalle fiamme, costringendo all’evacuazione i 250 abitanti.

Se per il Canada (paese che ospita circa il 9% delle foreste del pianeta) gli incendi estivi non sono una novità, il 2021 si sta però rivelando particolarmente drammatico, con 3.925 incendi registrati fino ad oggi, che pongono l’annata in corso su numeri ben al di sopra della media dell’ultimo decennio, e fanno segnare un aumento del 450% rispetto al 2020.

La colonna di fumo negli Stati Uniti

Lo stato dell’Oregon al momento è interessato dal più grande incendio attivo su territorio americano. Le fiamme sono partite dalla contea di Klamath il 6 luglio, probabilmente a causa di un fulmine, e hanno trovato le condizioni perfette per espandersi. Al momento, hanno già devastato un territorio di oltre 165mila ettari, e stanno mettendo a dura prova i tentativi di contenimento dei 20mila pompieri mobilitati dalle autorità americane, a causa del clima secco e dei forti venti che continuano ad alimentarle.

Il fumo sollevato da questo enorme incendio è visibile (e annusabile) da New York, a migliaia di chilometri di distanza. E il Bootleg fire (così è stato battezzato dai media americani) non è purtroppo l’unico incendio attivo negli States: le autorità federali ne contano attualmente 86, per un totale di oltre 600mila ettari in fiamme.

Il caso del Sudafrica

Se per dimensioni non è paragonabile agli incendi descritti fin qui, quello scoppiato ad aprile nel parco nazionale di Table Mountain, nei pressi di Cape Town, la seconda città più popolosa del Sudafrica, ha lasciato comunque un marchio indelebile nella storia del paese. Espandendosi in direzione della periferia cittadina ha infatti incontrato sul suo cammino le strutture dell’Università di Cape Town, danneggiando la storica Jagger Library, una biblioteca dei primi anni ’30 che custodiva un’importante collezione di opere africane e documenti riguardanti la storia del paese.

L’impianto antincendio della struttura sembra aver mitigato i danni, ma l’università ha confermato che parte dell’archivio è irrimediabilmente distrutto. Pochi mesi prima, un altro grande incendio aveva interessato l’area, bruciando oltre 13mila ettari di foresta sulle montagne nei pressi di Cape Town, e provocando il ferimento di alcuni dei pompieri intervenuti per domarlo.

(Simone Valesini, Wired cc ny nc nd)

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