Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 12.46

Se il Coronavirus colpirà i campi profughi, potrebbe essere una strage

Garantire il diritto alla salute di rifugiati, migranti e apolidi per tutelarci tutti dalla pandemia

| Scritto da Redazione
Se il Coronavirus colpirà i campi profughi, potrebbe essere una strage

In un comunicato congiunto, il 31 marzo Office of the High commissioner for human rights (Ohchr), International organization for migration (Iom), United Nations high commissioner for refugees (Unhcr) e Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno ricordato che «Di fronte alla crisi che rappresenta la propagazione del Covid-19, siamo tutti vulnerabili. Il virus ha dimostrato di non fare alcuna distinzione tra le persone, ma numerosi rifugiati, profughi interni, apolidi e migranti sono esposti a un rischio accresciuto. I tre quarti dei rifugiati e numerosi migranti in tutto il mondo si trovano in regioni in via di sviluppo o dove i sistemi sanitari sono spesso insufficienti e già sovraccaricati. Molti vivono in dei campi, in dei siti di installazione, in dei ripari di fortuna o in dei centri di accoglienza sovrappopolati s dove non hanno un accesso soddisfacente ai servizi sanitari, all’acqua potabile e a un sistema igienico adeguato».

Poi c’è la situazione ancora più terribile dei migranti tenuti prigionieri in luoghi de detenzione formali e informali, in condizioni insalubri e nelle quali manca tutto. Per questo le agenzia Onu, «tenuto conto delle conseguenze mortali che avrebbe un’epidemia di Covid-19 in questo contesto» chiedono che vengano liberati senza ulteriori ritardi: «I migranti minori e le loro famiglie, così come le persone detenute senza una sufficiente base legale, dovrebbero essere immediatamente liberati».

Ohchr, Iom, Unhcr e Oms, evidenziano che «Questa malattia può essere tenuta sotto controllo solo se viene adottato un approccio inclusivo per proteggere i diritti di ciascun individuo alla vita e alla salute. I migranti e I rifugiati sono particolarmente suscettibili a essere vittime di esclusione, stigmatizzazione e discriminazione, in particolare quando sono senza documenti. Per evitare una catastrofe, i governi devono attuare tutto quel che serve per proteggere i diritti e la salute di ciascuno. La protezione dei diritti e della salute di tutti permetterà in realtà di tenere sotto controllo la propagazione del virus. E’ essenziale che ognuno, compresi tutti i migranti e i rifugiati, possa beneficiare di un accesso uguale e garantito ai servizi sanitari e sia effettivamente incluso nelle risposte nazionali alla pandemia di Covid-19, il che comprende la prevenzione, i test e il trattamento. Questa inclusione contribuirà non solo a proteggere i diritti dei rifugiati e dei migranti, ma anche a proteggere la salute pubblica e a ostacolare la propagazione mondiale del Covid-19.  Anche se numerosi Paesi proteggono e accolgono delle popolazioni di rifugiati e di migranti, non sono sempre attrezzati per rispondere a delle crisi quali quella del Covid-19. Per garantire ai rifugiati e ai migranti un accesso appropriato ai servizi sanitari nazionali, alcuni Stati possono aver bisogno di un sostegno finanziario aggiuntivo. E’ su questo punto che le istituzioni finanziarie mondiali possono svolgere un ruolo di primo piano mettendo a disposizione dei fondi».

Il comunicato congiunto prosegue facendo notare che «Mentre i Paesi chiudono le loro frontiere e limitano i movimenti transfrontalieri, è importante ricordare che esistono dei modi di gestire queste restrizioni in maniera da rispettare le norme internazionali in materia di diritti umani e di protezione dei rifugiati, compreso il principio di non-respingimento, per esempio basandosi sula quarantena e e sui controlli sanitari. Più che mai, dato che il Covid-19 rappresenta una minaccia per tutta l’umanità, dobbiamo concentrarci sulla protezione della vita, qualunque sia lo status di ciascuno. Questa crisi esige un approccio internazionale coerente ed efficace che non lasci nessuno indietro. In questo momento cruciale, dobbiamo riunirci tutti intorno a un obiettivo comune, la lotte contro questo virus mortale. Numerosi rifugiati, profughi interni, apolidi e migranti possiedono delle competenze e dei mezzi che possono anche far parte della soluzione. Non possiamo lasciare che la paura e l’intolleranza mettano a rischio i diritti o compromettano delle risposte messe in opera per lottare contro la pandemia. Siamo tutti sulla stessa barca. Potremo vincere il virus solo se ciascuno di noi è protetto».

E i team dell’Onu sono al lavoro sul terreno, nei campi profughi m nel nord-est della Nigeria che ospitano milioni di sfollati interni (IDP) fuggiti di fronte alla violenza omicida dei jihadisti di Boko Haram L’Onu sta aiutando gli Stati nigeriani di Borno, Adamawa e Yobe (BAY) a sviluppare piani di emergenza per impedire che l’epidemia faccia una strage. Edward Kallon, coordinatore umanitario Onu in in Nigeria, ha siegato che «I partner umanitari stanno installando stazioni di lavaggio delle mani nei campi IDP e assicurando la fornitura di acqua pulita. I partner stanno anche distribuendo sapone e insegnando alle donne come produrlo da sole. Più che mai, è fondamentale per le persone vulnerabili avere accesso non solo all’acqua, al sapone, ai rifugi, ma anche al cibo, all’istruzione e alla protezione».

10 anni di violenza islamista e dell’esercito negli Stati di BAY hanno fatto sì che nella regione del Lago Ciad ci siano oggi 7 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria, la maggior parte donne e bambini, il 25% dei quali di meno di 5 anni. «Non aspetteremo che il Covid-19 raggiunga i campi per gli sfollati interni prima di agire – ha detto Kallon – Hanno già sofferto abbastanza per il conflitto decennale e la nostra priorità è garantire la fornitura continua di assistenza salvavita, in particolare i servizi sanitari, alle donne, ai bambini e agli anziani più vulnerabili che necessitano di particolare attenzione».

In Nigeria il Coronavirus ha colpito 12 Stati (ieri c’erano 131 casi registrati), ma si teme che la popolazione colpita sia molto di più e l’Onu vuole importare attrezzature e strumenti sanitari vitali per prevenire e curare la malattia respiratoria.

Un altro fronte che preoccupa molto l’Onu – e dovrebbe preoccupare ancor più l’Italia – è quello arabo-mediterraneo: l’United Nations economic and social commission for Western Asia (Escwa) ha detto che il Covid-19 sprofonderà nella povertà altri 8,3 milioni di persone e potrebbe anche far aumentare il numero di persone denutrite di circa 2 milioni. Attualmente nella regione ci sono circa 101,4 milioni di persone che vivono già in condizioni di povertà e circa 52 milioni di denutriti.

La segretaria esecutiva dell’Escwa, Rola Dashti, è convinta che «Le conseguenze di questa crisi saranno particolarmente gravi per i gruppi vulnerabili. In particolare per donne e giovani adulti e coloro che lavorano nel settore informale che non hanno accesso alla protezione sociale e all’assicurazione contro la disoccupazione. A causa di un’elevata dipendenza dalle importazioni di cibo nel mondo arabo, un’interruzione delle forniture mediche globali per far fronte alla pandemia, avrà anche un grave impatto sulla sicurezza alimentare».

L’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, ha detto: «sono vivamente preoccupato per questa pandemia senza precedenti e per il suo impatto sui rifugiati e le loro comunità di accoglienza. La crisi causata dal Covid-19 ha già avuto delle conseguenze importanti sulle nostre operazioni, obbligandoci ad aggiustare rapidamente i nostri metodi di lavoro. Però, non risparmiamo alcuno sforzo per aiutare e proteggere i rifugiati meglio che possiamo in queste circostanze difficili. La nostra priorità assoluta nel quadro di questa crisi del Covid-19 è quella di fare in modo che le persone presso le quali interveniamo siano incluse nei piani di risposta e siano correttamente informate, sostenendo allo stesso tempo gli sforzi di prevenzione e di risposta dei governi ovenque questo sia necessario».

Fino a ieri in Europa non era stato segnalato nessun caso di Covid-19 tra i rifugiati, salvo in Germania, dove i casi confermati sono 10. In Grecia, l’Unhcr ha intensificato il suo sostegno alle autorità per rafforzare il sistema di approvvigionamento di acqua e gli impianti igienico-sanitari, per fornire articoli per l’igiene personale, mettere in campo ed equipaggiare unità mediche e posti dove fare i test per il Coovid-19, per l’isolamento e la quarantena. Anche in Grecia dei rifugiati si impugnano volontariamente a spiegare agli altri la gravità della situazione e come prevenire la diffusione dell’epidemia. Ma la situazione nelle isole e al confine terrestre crec-turco è terribile e l’Unhcr ha chiesto accoratamente alle autorità greche di intensificare i trasferimenti dai centri di accoglienza sovrappopolati delle isole, dove 35.000 richiedenti asilo vivono ammassati in infrastrutture precarie pensate per ospitare meno di 6.000 persone.

Anche se nel resto del mondo il numero dei casi di infezione segnalati e confermati tra i rifugiati resta basso, più dell’80% della popolazione mondiale dei rifugiati e quasi tutti i profughi interni, vivono in Paesi a basso o medio reddito, molti dei quali con sistemi sanitari, idrici e igienici insufficienti e hanno bisogno di un sostegno urgente. Grandi fa notare che «Numerosi rifugiati vivono in campi densamente popolati o in zone urbane sfavorite dove le infrastrutture sanitarie e gli impianti di trattamento dell’acqua e igienico-sanitari sono insufficienti. Le misure di prevenzione sono di un’importanza capitale».

L’Unhcr è al lavoro insieme alle altre agenzie Onu e alle ONG anche per trovare delle soluzioni ai problemi logistici causati dalla diminuzione delle capacità produttive e dalla chiusura delle frontiere, in particolare intensificando gli acquisti a livello locale e regionale e organizzando ponti aerei. E’ così che l’Onu è riuscito a inviare 100 tonnellate di materiale medico e di soccorsi di emergenza via aereo in Ciad e in Iran.

In Brasile le agenzie Onu e le ONG stanno realizzando una zona di isolamento a Boa Vista per accogliere i casi sospetti tra i rifugiati e i migranti venezuelani e tra la popolazione locale. Intanto, stanno distribuendo 1.000 kit igienici alle popolazioni indigene di Belem et Santarem.

Intanto l’Unhcr è al lavoro nei campi profughi, come in Bangladesh, dove è stata avviata la formazione del personale che lavora nei centri sanitari che assistono i rifugiati rohingya, fuggiti dalle persecuzioni della destra buddista e dei militari del Myanmar, circa 850.000 persone che vivono in condizioni di grande promiscuità. Qui più di 2,000 rifugiati lavorano volontariamente con i loro capi comunitari e religiosi per comunicare l’importanza delle misure di prevenzione. Attività che vengono completate con la diffusione di spot radio, video, manifesti e brochure in lingua rohingya, birmano e bengali. Altre iniziative in corso puntano a fornire a tutti l’accesso all’acqua e al sapone e ad aumentare i posti dove ci si può lavare le mani. L’Unhcr sta sostenendo anche la realizzazione di nuove strutture di isolamento e trattamento per i rifugiati e le comunità di accoglienza.

In Giordania, viene effettuato il controllo della temperatura all’entrata dei campi di rifugiati siriani di Zaatri e di Azraq, dove sono in corso anche campagne di sensibilizzazione. E’ stato migliorato l’approvvigionamento di elettricità e i supermercati stanno aperti più a lungo per facilitare il distanziamento sociale.

Dispositivi per lavarsi le mani e di controllo della temperatura corporea sono stati installati anche ai punti di ingresso e nei centri di transito, nei centri di accoglienza e nei centri sanitari e nei dispensari dei campi profughi in Etiopia e in Uganda.

In Sudan, l’Unhcr ha rifornito di sapone più di 260.000 rifugiati, profughi e appartenenti alle comunità di accoglienza. Le agenzie Onu e le ONG stanno conducendo insieme al ministero della sanità del governo di transizione una campagna di sensibilizzazione di massa in diverse lingue e sono stati inviati circa 15.000 SMS ai rifugiati urbani che vivono a Khartoum per dar loro consigli su prevenzione e pratiche per restare in salute.

Misure di prevenzione sono state attuate anche nei campi di rifugiati e nei siti per gli sfollati interni in Burkina Faso e nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) e anche qui comprendono punti per il lavaggio delle mani, la distribuzione di sapone e di prodotti per la pulizia, sensibilizzazione dell’opinione pubblica con manifesti, brochures, spot radio e social network e reti comunitarie.

Ma è proprio nella Rdc che la Pandemia rischia di ingigantire una tragedia sanitaria e umanitaria già in corso e che il mondo ha praticamente ignorato. Il 31 marzo l’Unicef in un rapporto spiegava che «Gli sforzi costanti dispiegati per bloccare l’epidemia di Ebola nell’est del Paese hanno distolto l’attenzione e i fondi precedentemente accordati a dei centri sanitari già indeboliti che fanno fronte a diverse malattie epidemiche mortali», Dall’inizio del 2019, nella Rdc un’epidemia di morbillo – la più grave al mondo – ha ucciso più di 5.300 bambini di meno di 5 anni e sono stati censit 31.000 casi di colera, i casi di Covid-19 si stanno moltiplicando rapidamenre e costituiscono un grosso problema in un Paese considerato come uno dei più esposti in Africa.

Nella Rdc manca personale medico e inffermieristico, in molti insediamenti non esiste accesso all’acqua pulita o a servizi igienici e nel 2019 il tasso di vaccinazioni, già basso, è crollato in diverse province. Nella Rdc hanno bisogno di cure sanitarie vitali 3,3 milioni di bambini e 9,1 milioni di minori (1 su 5) hanno bisogno di aiuto umanitario. Molti di questi bambin vivono in una delle 3 province della Rdc colpite dall’eterna guerra per le risorse del Congo e devastate dall’epidemia di Ebola. Nel 2019 bande armate hanno attaccato e distrutto diversi centri sanitari e costretto un milione di persone a lasciare le loro case. Nella Rdc le epidemie di malaria, morbillo, colera costituiscono già un pericolo mortale ovunque e i villaggi rurali sono ancora più vulnerabili. SE a questo si aggiungesse un’epidemia di Covid-19 gli effetti sarebbero devastanti non solo per la Rdc: l’onda d’urto si estenderebbe a tutti i Paesi vicini, portata anche dalle bande armate, e dai trafficanti di materie prime e fauna selvatica che attraversano impunemente i confini incontrollabili del Paese.

Grandi conclude. «Continueremo a rafforzare le nostre operazioni essenziali sul terreno, ma per farlo, oggi abbiamo bisogno di un sostegno finanziario rapido e flessibile, in particolare per coprire le operazioni umanitarie in corso. Un sostegno internazionale concertato è nell’interesse di noi tutti ed è assolutamente essenziale».

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