Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 13.12

Torture in Libia

| Scritto da Redazione
Torture in Libia

LIBIA: ENTRAMBE LE PARTI IN CONFLITTO DEVONO PROTEGGERE I DETENUTI DALLA TORTURA
Amnesty International si è appellata a entrambe le parti coinvolte nel
conflitto in corso in Libia chiedendo loro di proteggere i detenuti dalla
tortura. Una delegazione di Amnesty International, giunta in Libia martedì
23 agosto, ha raccolto testimonianze di detenuti che hanno subito torture
sia da parte dei soldati pro-Gheddafi che da parte delle forze ribelli
nella zona di Az-Zawiya.

Testimonianze di violenze commesse dalle forze ribelli

Contro soldati pro-Gheddafi

Martedì 23 agosto, Amnesty International ha incontrato rappresentanti
delle forze ribelli nei locali della scuola Bir Tirfas, usata ora come
centro di detenzione per i soldati pro-Gheddafi e per presunti mercenari e
civili fedeli al colonnello.

I rappresentanti delle forze ribelli hanno dichiarato che le violazioni
dei diritti umani commesse sotto il precedente regime non si ripeteranno.
Hanno aggiunto che tuteleranno il diritto dei detenuti a essere trattati
con dignità e che questi riceveranno processi equi.

Un ragazzo, intervistato da Amnesty International in una cella
sovraffollata in cui 125 persone riuscivano a malapena a muoversi e a
dormire, ha raccontato come ha risposto all’appello del governo di
Gheddafi a prendere le armi contro l’opposizione. Ha dichiarato di essere
stato trasportato a un campo militare di Az-Zawiya e che gli è stato messo
in mano un kalashnikov, che non sapeva minimamente come usare:

“Quando la Nato ha bombardato il campo, il 14 agosto, i sopravvissuti sono
fuggiti. Ho abbandonato il mio fucile e ho chiesto riparo in una casa nei
dintorni; ho raccontato ai proprietari cosa mi era successo e loro devono
aver chiamato i thuuwar (i rivoluzionari”), perché sono arrivati subito
dopo. Mi hanno chiesto di arrendermi e ho alzato le mani. Mi hanno fatto
inginocchiare e mettere le mani dietro la testa. Poi uno mi ha detto di
alzarmi. Quando l’ho fatto, mi ha sparato da corta distanza a un
ginocchio. Sono caduto per terra e hanno continuato a picchiarmi col
calcio dei loro fucili su tutto il corpo e in faccia. Mi hanno medicato
con tre punti dietro l’orecchio sinistro. Nel centro di detenzione, di
tanto in tanto continuavano a picchiarci, chiamandoci assassini”.

Un appartenente alle forze di sicurezza di Gheddafi ha riferito ad Amnesty
International di essere stato rapito da un gruppo di uomini armati, il 19
agosto, mentre stava portando rifornimenti alle forze pro-Gheddafi. Ha
affermato di essere stato picchiato su tutto il corpo col calcio dei
fucili, preso a pugni e a calci. Il suo aspetto rendeva credibile la
testimonianza. Ha proseguito dicendo che nel centro di detenzione, le
percosse erano meno frequenti e brutali ma dipendeva da chi era di
guardia.

Contro lavoratori migranti

Secondo i responsabili del centro di detenzione di Az-Zawiya, un terzo dei
prigionieri è costituito da “mercenari stranieri”, tra cui cittadini del
Ciad, del Niger e del Sudan.

Quando Amnesty International ha parlato con diversi di loro, hanno
affermato di essere lavoratori migranti, arrestati nelle loro case, sul
posto di lavoro o semplicemente a causa del colore della pelle.

Nessuno indossava uniformi militari. Hanno detto di temere per la loro
vita poiché i loro rapitori e le guardie li hanno minacciati di “essere
eliminati o condannati a morte”.

Cinque parenti di una famiglia del Ciad, tra cui un minorenne, hanno
dichiarato ad Amnesty International che il 19 agosto stavano guidando
verso una fattoria fuori Az-Zawiya per fare un po’ di raccolto, quando
sono stati fermati da un gruppo di uomini armati, alcuni dei quali in
divisa militare. Gli uomini armati hanno presunto che si trattasse di
mercenari e li hanno portati al centro di detenzione, nonostante il loro
autista avesse dato assicurazioni che erano lavoratori migranti.
Un uomo di 24 anni, del Niger, che risiedeva e lavorava in Libia da cinque
anni, ha raccontato ad Amnesty International di essere stato rapito dalla
sua abitazione da tre uomini armati il 20 agosto. Ha riferito di essere
stato ammanettato, picchiato e messo nel portabagagli di una vettura. “Non
sono minimamente coinvolto in questa guerra. Tutto quello che volevo era
trovare un modo di vivere. Ma a causa del colore della mia pelle, mi trovo
qui in carcere. Chi sa cosa mi accadrà ora…”

Testimonianze di violenze commesse dalle forze pro-Gheddafi

La delegazione di Amnesty International ha scoperto prove di stupri
commessi contro i detenuti nella famigerata prigione di Abu Salim, a
Tripoli. Ex detenuti hanno dichiarato di aver visto giovani uomini portati
fuori dalle celle di notte e rientrati diverse ore dopo con l’aspetto
stravolto.

Due ragazzi hanno riferito ai compagni di cella di essere stati stuprati
da un secondino. Secondo un ex detenuto, “uno dei ragazzi era in pessime
condizioni dopo essere stato riportato in cella. I vestiti erano
strappati, era quasi nudo. Ci ha detto che era stato stuprato. È accaduto
a quei due ragazzi per diverse volte”.

Migliaia di uomini, tra cui civili estranei ai combattimenti, sono
“scomparsi” durante il conflitto dopo essere stati presi dalle forze
pro-Gheddafi. Le loro famiglie vivono da mesi nell’angoscia di non
conoscere la loro sorte.

Coloro che sono stati liberati dalle carceri di Tripoli e di Sirte
raccontano storie di tortura. Hanno descritto ad Amnesty International di
essere stati picchiati con cavi di metallo, manganelli, bastoni e di
essere stati sottoposti a scariche elettriche.

I delegati di Amnesty International hanno anche incontrato uomini che
hanno riferito di essere stati feriti a colpi di pistola dai soldati
pro-Gheddafi dopo che erano stati catturati e dunque non costituivano più
alcuna minaccia. Un uomo catturato nei pressi di Ajdabiya il 21 marzo ha
raccontato che i suoi rapitori lo hanno bendato e lo hanno seviziato
inserendo una canna di fucile nel suo ano.

 

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