Dal 2011 al 2019 – scrive Libero il 25 luglio – i rimpatri dei “cervelli” sono più che triplicati, passando dai circa 4.100 di undici anni fa ai più recenti 13.700. Fino all’anno di imposta 2020 quando si è toccata quota 17mila.
I dati li fornisce il ministero delle Finanze e un motivo c’è: esiste una legge, approvata nel 2010, poi modificata nel 2015 e successivamente perfezionata nel 2019 con il Decreto crescita di quell’anno, che consente ai lavoratori che hanno vissuto almeno due anni all’estero, a condizione che si impegnino a restare in Italia per altri due anni secchi, di pagare l’Irpef, l’Imposta sul reddito delle persone fisiche, al 30% (addirittura al 10% qualora scelgano di trasferirsi al Sud).
A rientrare in Italia – spiega il quotidiano -, dopo un’esperienza lavorativa all’estero, sono i giovani con meno di trent’anni o gli over 37: “Il gap che va dai 30 ai 37 si spiega perché in genere, all’estero, quella è la fascia d’età in cui si fa più carriera”.
(NoveColonneATG)