Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 22.17

Artisti italiani per l'EXPO: José Dalì

Stanno ottenendo clamoroso successo le mostre di "Spoleto Arte" curate da Vittorio Sgarbi e organizzate dal manager Salvo Nugnes

| Scritto da Redazione
Artisti italiani per l'EXPO: José Dalì

D: Vuole illustrarci il segno che ha lasciato suo padre, Salvador Dalì, nella storia dell'arte del '900?

R: Non parlerei di un singolo segno bensì di un vero e proprio vortice: un eccesso estremo di vitalità in grado di spaziare dalla letteratura (ha scritto circa 16 libri) alla matematica pura, dalla capacità di attirare l'attenzione su di se al desiderio smodato di trasformare anche la propria vita privata in un' opera spettacolare. Ha più volte asserito, con ferma convinzione, che l'arte rappresentava per lui solo una minima parte del suo complesso talento artistico, e nemmeno la più importante. In realtà, il suo passaggio terreno ha lasciato un segno indelebile non solo nell'arte del '900. La sua immagine e la magia della sua pittura surreale è tutt'ora vivida e attuale agli occhi dei contemporanei, e credo lo rimarrà ancora per molto tempo.

D: Che influsso ha esercitato nella sua ispirazione artistica di pittore?

R: Credo sinceramente che la mia passione artistica, almeno inizialmente, non derivasse da quella specie di fuoco sacro che pervade più o meno chiunque si voglia dedicare alla conoscenza e conseguentemente alla creazione dell'arte. Sono state certamente la voglia di scimmiottare mio padre e l'attrazione fatale del colore a spingermi, con infantile curiosità, ad imbrattare qualche tela senza onore né gloria. Molto probabilmente, il primo vero influsso che affiora più chiaro tra tutti e che posso percepire come tale, tra le molteplici memorie della mia infanzia, è l'incitamento a scoprire, tra le varie rocce semi sommerse della Costa Brava, una vaga somiglianza con qualche figura umana o di qualche strano animale a volte inesistente. Lo chiamava il gioco delle metamorfosi. Poi, successivamente, dopo i primi "incubi" adolescenziali, derivanti da alcune oniriche visioni pittoriche paterne, la curiosità ha avuto il sopravvento... ed è seguita l'ammirazione e la velleità inevitabile di diventare più bravo di lui.

D: Vuole parlarci della sua recente mostra "La verità surreale", svoltasi a maggio presso la Milano Art Gallery?

R: È stato un tributo alla memoria di mio padre, progettato d'impeto e scaturito magicamente dalle infaticabili meningi del Dott. Nugnes, in concomitanza dei 110 anni dalla nascita del mio fantastico genitore Salvador Dalì. Un evento mirato, gestito magnificamente con passione e grande capacità professionale, che ha superato ogni più rosea aspettativa.

D: Attualmente Lei è ospite di "Spoleto Arte”, rassegna artistica curata da Vittorio Sgarbi in programma dal 27 giugno al 24 luglio. Il tema dominante di questa edizione è il futuro del mondo. Qual è la sua opinione in merito a questa attuale iniziativa?

R: Si! E ne sono onorato. Per quanto riguarda tale iniziativa, che personalmente ritengo a dir poco geniale, è apprezzabile che finalmente qualcuno si preoccupi seriamente del futuro del mondo attraverso la preziosa testimonianza di coloro che hanno vissuto in prima persona errori e orrori dei potenti di allora. Solo coloro che sono sopravvissuti a determinate esperienze ed hanno visto trascorrere i cosiddetti "tempi moderni" sulla propria esperienza, possono ricostituire una valida memoria storica da non dimenticare e un monito per il futuro.

D: Come è nata l'opportunità di partecipare a "Spoleto Arte"? È compiaciuto delle riflessioni sulle sue opere fatte dal curatore? Quali quadri sono esposti?

R: Tale opportunità, che oserei definire magica oltre che fortunata, è nata dall'incontro con il Dott. Nugnes. Forse compiaciuto non è il termine esatto. Oserei definire l'incontro con il Professor Vittorio Sgarbi e il suo peculiare eloquio, come il singolare e inaspettato incontro con l'unica verità assoluta, che talvolta nemmeno la forma d'arte più evoluta è in grado di esprimere autonomamente. Sono in esposizione alcune opere che ricordano vagamente il classico surrealismo paterno e altri lavori definiti "Metamorfosi": un "esperimento" o, per meglio dire, un tentativo di creare un surrealismo più leggero con delle sagome (profili umani o di animali) al cui interno si intravedono fiori e paesaggi.

D: Secondo lei, l'Esposizione Universale del 2015, che catalizzerà in sé milioni di turisti, soprattutto quelli provenienti dalle Nazioni estere, può rappresentare un'opportunità per far conoscere e far apprezzare ai visitatori l'arte italiana? A suo avviso, quali sono le modalità vincenti affinché ciò possa avvenire?

R: Per un artista, qualsiasi maniera di mostrare al pubblico la propria produzione, qualora abilmente gestita, può rappresentare una valida opportunità. Nel caso specifico della prossima Esposizione Universale del 2015, credo rappresenti un'imperdibile opportunità assolutamente irripetibile. A mio personale avviso, le modalità vincenti affinché ciò possa avvenire, sono quelle di affidarsi ad una valida, seria e competente organizzazione: dimmi con chi vai... ti dirò chi sei!

A cura di Christian Flammia

BIOGRAFIA DI JOSE' DALI'José Dalí nasce a Perpignan nella Catalogna il 17 febbraio 1940, figlio di Salvador Dalí Domènech, pittore tra i massimi esponenti del Surrealismo, e della sua consorte Elena Deluvina Diakonov, conosciuta come Gala. Frequenta le scuole comunali e a sette anni esegue le sue prime pitture. La vicinanza dei ‘fratelli’ acquisiti, figli della coppia che lo accudiva a Verona, non evita a José di essere un bambino difficile, solitario e incline a compiere stravaganze. Già a dieci anni, azzarda inconsuete sperimentazioni che precorrono talune avanguardie pittoriche, in quel periodo non ancora in embrione. Frequenta sempre in modo discontinuo corsi di disegno, scultura e incisione. Oltre a quella di Vermeer, José subisce l’influenza di alcuni pittori veristi italiani dell’Ottocento. Apprezza Ingres, Turner, Courbet, Van Gogh. Dopo un brevissimo approccio al Divisionismo e all’Impressionismo, viene fatalmente attratto dal Surrealismo che, malgrado lo scarso entusiasmo suscitato in Italia, riflette il carattere essenzialmente bizzarro e ribelle del giovane ragazzo. Nel 1958, per dedicarsi completamente alla pittura, sospende temporaneamente gli studi. Evita intenzionalmente di entrare nel giro dei galleristi e dei critici compiacenti e, per protesta, espone sporadicamente le proprie opere senza firma. Per arrotondare gli esigui introiti di pittore ‘non allineato’, sconfina nel cinema, interpretando piccoli ruoli. Ha modo di conoscere diversi personaggi del mondo cinematografico nazionale e internazionale, tra cui Alberto Sordi. Due anni dopo riprende gli studi, frequentando, con poca assiduità e scarso profitto, la Facoltà di Architettura. Dal 1963, sperimenta, per il solo gusto di farlo, innovazioni tecnico-pittoriche al limite del paradossale, senza perdere di vista la sua strada maestra. Difende due contrapposte realtà, quali: la sublime genialità di Gaudì e la naturale, intuitiva capacità di Le Courbusier. Con padronanza quasi assoluta delle tecniche tradizionali, influenzato dalla ‘conquista razionale della logica’, José tratta la superficie delle sue tele come un pittore fiammingo del Cinquecento, continuando a ispirarsi a Raffaello e a Velázquez. Dal 1969 al 1978 collabora alternativamente come illustratore, umorista, autore, pubblicista e fumettista. Nel 1970, la sua stravagante e spensierata esistenza viene scombussolata dalla sconcertante narrazione con cui il padre gli rivela crudamente infidi e subdoli retroscena che infangano il mondo dell’arte e non solo quello. Apprendere tale inconcepibile realtà e rendersi conto di aver vissuto parte del proprio tempo liberando, nel pieno rispetto del buon gusto, istinti e vocazioni; di aver coltivato la propria libertà espressiva, nel rigore e nella ricerca estetica – guardandosi bene dal collocare i propri escrementi sotto vetro e di farsi sponsorizzare dal potente del momento –, credendo ingenuamente nella cosiddetta libertà di pensiero, produce nel giovane pittore una crisi profonda, in seguito alla quale brucia in un falò tutti i suoi quadri assieme ad altri ricordi del suo movimentato passato. Nel 1973 conosce Barbara, che riesce ad attenuare l’agitazione da cui è pervaso e lo sprona a riavvicinarsi all’arte. Segue un periodo prolifico e particolarmente creativo per José Dalí, la cui pittura, pur evidenziando frequenti richiami daliniani, travalica il Surrealismo stesso e le varie ‘correnti’ pittoriche contemporanee. Nascono, quasi per incanto, le nuvole iridescenti dalle mistiche rappresentazioni; si susseguono i Contorni cromatici a stimolazione intuitiva. Utilizza il nero assoluto come base da cui far scaturire magicamente le rappresentazioni dell’inconscio. Nel 1980 colloca un profilo di Cristo, in limatura d’oro su tela, nella residenza estiva del Santissimo Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo. Da questo momento si susseguono diverse esposizioni: la mostra presso l’Athena Arte a Roma, con il patrocinio della Comunità Europea dell’Arte e della Cultura; la personale Dalí Scultore ed Illustratore presso l’Accademia Spagnola e la Mostra Internazionale del Gelato dove presenta in esclusiva mondiale I gelati rigidi in contrapposizione con gli ‘orologi molli’ dipinti dal padre Salvador. Dal 1991 in poi collabora con aziende prestigiose tra cui Nestlé-Perugina e Quarta Caffè. Nel 1984 torna in Spagna per cercare di capire e per indagare alcuni aspetti che avvolgono di mistero la vita del padre Salvador, malato gravemente. In quell’occasione si reca in visita al Castello di Púbol per posare dei fiori sulla tomba di famiglia, dove riposa la madre. L’anno successivo, insospettito dalle numerose, e spesso contraddittorie, notizie di allarme diffuse dalla stampa internazionale sullo stato di salute del padre, che pongono anche in alternativa a un Salvador Dalí gravemente ammalato un altro Dalí stranamente attivissimo e ancora in grado di dipingere e impartire ordini, ritorna in Spagna in incognito riuscendo, malgrado l’assidua sorveglianza, a raggiungere il padre all’interno della Torre Galatea, uno degli edifici del Teatro Museo Dalí. Presenta in anteprima una duplice esposizione siglata per l’appunto I due Dalí, con cui l’artista tenta di superare i limiti umani, tecnici e caratteriali del ‘classico’ Astrattismo Informale, per approdare a Nuove figurazioni e quindi al nuovo stile che accompagnerà il suo percorso artistico. Nel rendersi conto che l’interesse di buona parte della stampa nei suoi confronti si focalizza morbosamente sui complicati rapporti familiari con i suoi genitori, si auto-esilia simbolicamente con la moglie Barbara – assieme a un numero imprecisato e cospicuo di amici a quattro zampe, che lui reputa i suoi migliori amici – nella sua casa-museo nei pressi della campagna romana. Vorrebbe che i media s’interessassero e parlassero di lui soltanto attraverso le sue opere e le sue esposizioni artistiche. Il passaggio a Nuove figurazioni, costituisce per l’artista un doveroso, sentito e profondo processo ‘rigenerativo’ a cui sente la necessità di sottoporsi per creare le premesse e le basi della nascita di un nuovo stile.

ALCUNI ANEDDOTI RACCONTATI DA JOSÉ DALÍ. «Di mio padre ho solo ricordi belli e intensi, di continuo gioco praticamente, legati alla mia infanzia. Da ragazzino lo vedevo pochissimo, lui e mia madre erano impegnati nelle loro mostre, li incontravo quando i miei tutori, ai quali mi avevano affidato in Italia, mi portavano in Spagna. Quando si è ammalato, chiaramente è tutto precipitato, ma finché è stato in sé, è stato veramente il protagonista dei miei giochi sia da piccolo che da grande. I miei genitori erano molto giocherelloni, si divertivano con tutto e soprattutto con gli esseri umani e ancor di più con me, facendomi moltissimi scherzi. Una volta mio padre si è presentato ai piedi del mio letto in piena notte, con una lampadina accesa in mano, posta appena sotto il volto e, cercando di spaventarmi, ha finto di essere il diavolo, le cui corna gli erano cadute sopra le labbra. Un’altra volta invece, ricordo che si è nascosto dietro a un orso imbalsamato e, tramite un tubo dell’acqua e un imbuto, mi voleva far credere di essere stato ingoiato e chiedeva il mio aiuto. Delle volte addirittura mi parlava in tre, quattro lingue, mescolandole con il latino, solo per vedere il mio stupore, in quanto non capivo ciò che diceva. Oppure cercava di instaurare una specie di reazione a catena, portandomi sulla spiaggia di Port Lligat a vedere le rocce erose dal mare e dal vento e mi invitava a descrivere a che tipo di animale poteva somigliare la roccia. Insomma, di aneddoti ne ho tantissimi!»

Luglio 2014 portale.lombardinelmondo

 

 

 

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