Domenica, 05 maggio 2024 - ore 22.34

Cremona Tutto il potere ai n.i.m.b.y.?

L’acronimo, anglo-sassone, sta per “nothing in my back yard”. Che, debitamente tradotto, significa “niente nel mio cortile”.

| Scritto da Redazione
Cremona Tutto il potere ai n.i.m.b.y.? Cremona Tutto il potere ai n.i.m.b.y.?

Ecco: nessuno vuole assolutamente nulla che, a prescindere da ogni ragione di legittimità, alteri, anche minimalmente, il proprio mulino bianco. Per principio! E, sovente, per pulsione egoistica! Così va il mondo. Precederemo qui ad una vasta analisi del fenomeno; per parare ad una specifica fattispecie emersa recentemente nel mondo piccolo cremonese.

Indubbiamente, dal punto di vista della tutela paesaggistica e dell’armonica compatibilità per un articolato uso dei suoli, l’Italia sarebbe ben diversa da quel che è, se, unitamente all’azione dei pubblici poteri, non avesse prevalso, sugli impulsi rapinosi di chi vorrebbe realizzare ingiustificati profitti a danno dell’integrità del territorio e della qualità della vita dei residenti, una diffusa e sempre più convinta (non a tutte le latitudini) testimonianza civile. Di denuncia delle conseguenze di inconsiderate scelte e di sostegno all’azione delle istituzioni locali, sovente fagocitate dai livelli amministrativi superiori. Scendendo dal generico e volendo esemplificare, potremmo riferirci al fecondo epilogo del contrasto al proposito speculativo di insediare nel triangolo S. Bassano/Cappella Cantone un sito di stoccaggio e di trattamento dell’amianto inerte, di cui sono ricche le zone deindustrializzate. E di cui, il potere regionale, che non hai mai minimamente considerato qualsiasi politica di riequilibrio delle aree emarginate dallo sviluppo, pensava bene, ancorché consapevole delle controindicazioni paesaggistiche ed ambientali e coinvolto in rapporti non esattamente specchiati, di sbarazzarsi. Collocando l’enorme sedimento proprio nelle nostre campagne; la cui unica risorsa rimasta è l’integrità dei suoli.

Aver tagliato le unghie ad una simile barbarie non è stato risultato di poco conto. Che va ascritto, si ripete, al merito di attenti governi locali e del forte sostegno popolare. Sì, popolare! Un termine qualificativo che non deve provocare alcun imbarazzo; quando è il caso di definire convenientemente la mobilitazione della cittadinanza per buone cause. Se è permessa, da tale punto di vista, una digressione, il problema della democrazia italiana, a parere di chi scrive, oggi non è la difficoltà di decidere, ma il deficit drammatico di partecipazione e di rappresentatività democratica. Che sta causando un crescente e inquietante distacco dei cittadini e delle istituzioni.

Il tono volutamente assertivo della considerazione generale, a valere nella fattispecie come auspicabile potenziamento sinergico del superiore interesse comunitario, non vuole e non deve trarre in inganno. Onde evitare che la “mobilitazione” sia pretesto e giustificazione per qualsiasi pregiudizio contro qualsiasi intervento destinato a modificare le preesistenze. Ci riferiamo, ça va sans dire, a quello che è diventato il combinato teorico-pratico che da tempo mobilita contro qualsiasi determinazione a fare: No-TAV, No-Expo, e quant’altri perentori No. Che hanno scandito (e scandiscono spesso con intenti e modalità eversive) la “testimonianza” di un antagonismo, privo di qualsiasi impulso costruttivo e solamente guidato dal nihilismo. Abbandoniamo lestamente questa piega che arrischia di provocare un’incursione in territori non considerati nel radar del presente approfondimento.Vero è che nelle ultime due, tre decadi si è diffusa a macchia d’olio la tendenza di pretendere che tutto resti com’è e dov’è. Si respingono, in tal modo, ineludibili progetti infrastrutturali così come si fa a sportellate contro qualsiasi ipotesi di intervento, pubblico o privato, a prescindere dal fatto che siano coerenti e rispettosi delle vigenti leggi e si facciano carico dell’esigenza di compatibilità con le preesistenze e di mitigazione di  eventuali impatti.

La pulsione ambientalista, sovente ispirata dalla filosofia della cosiddetta decrescita felice, manifesta, cammin facendo, profili particolaristici (meno confessabili) ed avulsi dal superiore interesse comunitario. La pretesa del “controllo sociale”, che prescinde totalmente dall’esistenza di preposte istituzioni, peraltro elette dai cittadini, e da una ramificata rete di partecipazione accessibile a chiunque voglia testimoniare, metabolizza ogni tendenza istintiva all’antagonismo nei confronti del fare e se ne potenzia nel rapporto con l’opinione pubblica e con l’amministrazione locale. Mission? Far naufragare o modificare significativamente (sino alla non sostenibilità pratica) quegli interventi, che, ancorché giustificati dal possesso dei requisiti di legge, hanno il torto di modificare, non già i “diritti” (come i contras interessatamente confondono), ma semplicemente interessi ed aspettative. La crescita a macchia d’olio dell’edificato civile su suoli vistosamente contigui a preesistenze manifatturiere, risultante di un governo urbanistico non sempre commendevole, ha finito per creare un’antitesi nella destinazione d’uso tra funzione abitativa e funzione produttiva. Vero è che la sintesi ispirata dalla compatibilità degli interessi in campo, imprescindibile dalla certezza del diritto, è risultata generalmente piegata alla  demagogia. Invertendo l’ordine dei fattori, là dove non c’era l’erba (ma preesistenti opifici) si sono andati insediando quartieri abitativi; non infrequentemente favoriti da provvidenze pubbliche.

La (già sulla carta) incongrua coesistenza delle contigue, diverse destinazioni  sarebbe diventata nel breve volgere fortemente problematica; sol che a qualcuno degli insediati in seconda istanza fosse venuto in mente di blindare l’umana aspettativa di voler vivere in uno scenario bucolico. Semplicemente mettendo in campo l’accusa, più o meno fondata, che l’ingombrante vicino  fosse fonte di inquinamento. Ecco che allora (è avvenuto) la pressione popolare finiva (finisce ancora?) per intimidire la politica; già di suo propensa a prestare orecchio alle istanze di chi porta voti, fino al punto di indurre gli “untori” della incontaminabile qualità della vita a cambiar aria. Il postulato “controllo sociale”, una sorta di sopravvissuto soviet che tutela, benché sovente attivato da spinte non esattamente disinteressate, taglia corto senza ammettere repliche. I nuovi insediamenti? Inquinano! Sono inutili, quando non dannosi! Fanno chiudere i negozi di vicinato (anche se non ce ne sono o, se ci sono, distano parecchio)! Alterano l’attuale rete della medio-grande distribuzione esistente (dilatata nel tempo grazie a processi darwiniani non sempre trasparenti ed oculati)! Mettono a repentaglio la circolazione e, con indotti opachi, la sicurezza dei quartieri!

Trattasi di una serie di considerazioni, in democrazia del tutto legittime, se avessero lo scopo di risolvere le questioni. E, soprattutto, se tenessero conto del fatto che l’insediamento paventato: è del tutto rispettoso delle leggi; la civica amministrazione ha deliberato in piena trasparenza; la stampa ha fornito un’informazione insistita e dettagliata. Tutta questa lunga (lo ammettiamo, molto lunga) premessa è funzionale a presentare convenientemente l’ultima, in ordine di tempo, sollevazione di n.i.m.b.y. cremonesi. Nella fattispecie, contro la riconversione dell’ex deposito di formaggi dell’ultimo tratto di Via Massarotti, nato Casella e nel tempo passato al gruppo Zanetti, in market di medie dimensioni. I piani del ragionamento sono almeno tre. E li affrontiamo molto dettagliatamente.

Il comprensorio urbanistico posto sul lato sinistro della via che separa le ultime propaggini del centro dalla prima periferia era fino a mezzo secolo fa contraddistinto da attività manifatturiere (l’OCRIM insediata nell’immediato secondo dopo-guerra ed appunto il deposito di formaggi). A macchia d’olio, a partire dagli anni settanta, si è sviluppò attorno a tale nucleo preesistente un insediamento abitativo, che, pur privo di  supporti terziari, ha convissuto senza grossi problemi con le pre-esistenze. Il problema andrebbe affrontato, non già nell’ottica della delusione di diciannove residenti, timorosi di venire molestati in prospettiva dai decibel prodotto dalle celle frigorifere o dalle emissioni gassose dei veicoli dei clienti, bensì preliminarmente dall’accertamento dei presupposti di diritto. Su cui si fondano la richiesta autorizzativa dell’avente causa e l’adozione, da parte della competente amministrazione, dei relativi provvedimenti.

Sembra che tale presupposto non sia facilmente eludibile (come ha fatto con grande scrupolo il competente Assessore Andrea Virgilio). Neanche da parte degli stimati 19 cittadini. I quali hanno il diritto di testimoniare il loro rincrescimento; ma non quello di impalcarsi a rappresentanti di un mandato del quartiere, mai conferito. Da parte di questi Contras a prescindere, viene postulato un interventismo, da parte delle istituzioni, diverso da quello non partisan ,che è di regolazione e di conciliazione di interessi eventualmente confliggenti. Ciò posto, in termini di legalità e di rappresentanza, si passa a considerare la conseguenza di un mutamento di destinazione d’uso che, perfettamente rientrante nella regolamentazione urbanistica, produrrebbe, da un lato modesti disagi tutti da verificare, e, dall’altro, una positiva ricaduta. La questione dell’alterazione dello statu quo della distribuzione, una volta accertato il diritto del richiedente, non può che essere consegnata alle regole del mercato. Sicuramente, il titolare della concessione avrà fatto i suoi conti; prima di avventurarsi in un investimento impegnativo privo di presupposti di mercato.

Nel comprensorio urbanistico considerato esiste un insediamento abitativo, si potrebbe osare, di tipo popolare; per di più contraddistinto da una prevalente fascia di età avanzata. Una fascia che è naturalmente poco propensa all’accesso alla grande distribuzione collocata all’estrema periferia dell’aggregato urbano. Di negozi di vicinato, contrariamente a quanto sostenuto dai contrari, non v’è ombra. Va da sé che l’apertura di una nuova superette verrebbe incontro ad una domanda inevasa dall’attuale assetto. A ciò si aggiunga una conseguenza, positiva per una città in forte criticità occupazionale; che va considerata in un’analisi ampia ed imparziale. La ristrutturazione del volume edilizio comporterà un notevole investimento, capace di mobilitare il settore delle costruzioni.L’apertura dell’esercizio commerciale, poi, non potrà non avere influssi benefici su nuova occupazione. Non si intende qui sostenere che la materia, per le ragioni suesposte, non meriti un attenzionamento da parte della cittadinanza e dell’istituzione municipale; per cui esistono tutti i presupposti.Allo stato, però, va dato atto al Comune di aver operato in stretta aderenza alle leggi, con notevole trasparenza ed apertura al dialogo, con apprezzabile senso di continuità amministrativa con l’indirizzo della precedente Giunta.

Nella foto l’area ex deposito Zanetti di Via Massarotti

 

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