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Dissesti idro-geologici (e,soprattutto,civili) | E.Vidali (Cremona)

Si dice, da sempre, che il “bel paese” è, appunto, il più bello del globo terracqueo

| Scritto da Redazione
Dissesti idro-geologici (e,soprattutto,civili) | E.Vidali (Cremona)

Si dice, da sempre, che il “bel paese” è, appunto, il più bello del globo terracqueo; e che è detentore, in aggiunta al primato paesaggistico di coste, rilievi montuosi, laghi, boschi, di una “grande bellezza” monumentale, architettonica, artistica pari alla metà dell’intero patrimonio mondiale.

Si dice, da sempre, che tale eccezionale circostanza dovrebbe costituire monito e sprone a conservare tale patrimonio nell’interesse dell’umanità, di adesso e di quella che verrà.

Si dice, da sempre (e qui finiamo un’anafora che potrebbe invece continuare all’infinito), che, unitamente ai doveri che implica, tale eccezionale circostanza potrebbe, per un paese privo di risorse ed energie naturali ed economicamente alla canna del gas, comportare anche potenzialità derivanti (volendo ricorrere ad una inelegante locuzione) dallo sfruttamento dell’indotto terziario e turistico,

Ma tant’è! Del patrimonio culturale si ha ogni giorno qualche cattiva notizia.

Di quello ambientale, pure.

Si accampa, alternativamente, la malasorte, l’effetto-serra, le fallaci previsioni atmosferiche. Mai una volta che si rifugga dallo scaricabarile delle responsabilità.

Le bombe d’acqua funestano, limitandoci alle aree non monsoniche, anche le porzioni europee “virtuose”; dove di tanto in tanto accadono, a dispetto di un consolidato senso di condivisione comunitaria, esondazioni bibliche. Pure lì, i fatti provocano smarrimento e, quando occorre, una tiratina d’orecchi all’establishment poco avveduto e poco previdente.

Ma, anche tutte messe insieme queste realtà restano imparagonabili, per dimensioni e per irresponsabilità etica, al profilo del “bel paese”; che, in fatto di perorazione della dichiarazione degli stati di emergenza e calamità (propedeutici all’ottenimento delle provvidenze), detiene un ineguagliabile primato mondiale.

Solo qualche anno fa eravamo in pieno allarme siccitoso, foriero di pericoli di saharizzazione; da due, tre anni, contrordine compagno, si agitano le bombe d’acqua (assolutamente imprevedibili, se non qualche giorno dopo).

Per quanto attiene ai capricci meteorologici, anche i più accaniti atei sarebbero votati, almeno lessicalmente, alla rassegnazione ai voleri di Giove Pluvio (o se più aggrada) del buon Dio.

Ma, essendo impossibile la programmazione climatica, come si può imputare al buon Dio e/o a Giove Pluvio l’imprevidenza umana nel fronteggiare le conseguenze dei picchi delle manifestazioni?

E’ pur vero che lo “stivale”, pur nella maestosità della sua bellezza, presenta indiscutibilmente fragilità idrogeologiche cospicue.

Ma questo fatto stesso dovrebbe indurre, nell’ambito di una consolidata consapevolezza dell’agire, sistematicamente e, soprattutto, prima che le calamità presentino il conto dell’imprevidenza e della trascuratezza, alle contromisure.

La dimostrazione che, operando con senso di responsabilità e di accortezza, anche le più maligne calamità possano essere contenute nelle loro conseguenze, è data dai rari provvedimenti organici messi in campo, quasi mai per lungimiranza, quasi sempre sotto la frusta di disgrazie bibliche.

Ci riferiamo alle grandi opere sulle sponde e sugli argini del “grande fiume” occasionate dai fenomeni alluvionali dell’ottobre/novembre del 1951.

A seguito delle medesime, il Po, fatta eccezione per qualche stato di allerta e per qualche modesta fuoruscita nei terreni golenali (concepiti come bacini di dilatazione e non, come avviene sistematicamente nei fatti, come estrema propaggine dei coltivi agricoli) non ha più presentato soverchie problematicità.

Già, si dirà, ma il corso padano si snoda in pianura! Mentre gli altri corsi insistono su scenari morfologici più complicati e, si aggiunge quasi sempre, più fragili.

Ma proprio per questo, maggiori dovrebbero, da un lato, essere le cure sistematiche e, dall’altro, vietate, assolutamente vietate, le violenze all’equilibrio ambientale (tipo: interramenti, tombature, restringimenti e strozzature d’alveo, cementificazioni esasperate). Per la cronaca è stato rilevato che nell’hinterland genovese sono stati tombati oltre 50 chilometri di corsi d’acqua.

Vi sembra che queste elementari precauzioni stiano di casa in Italia?

La questione è che siamo un paese la cui classe dirigente (pubblica e non) appare del tutto priva del requisito fondamentale dell’etica della responsabilità, l’unico che può legittimare l’esercizio di funzioni istituzionali.

Ma, in quanto a ciò, anche il “popolo” non scherza. Pensate all’abusivismo edilizio, specie quello maggiormente nocivo per l’equilibrio ambientale! Si accampa lo stato di necessità (non ci sono case); si resiste ai rari provvedimenti sanzionatori; ci si affida, non raramente con qualche chance, allo “scambio” con politici imbelli ed incoscienti.

Salvo protestare nelle frequentissime occasioni sollecitate dall’ossessivo potere mediatico e, conseguentemente, passare all’incasso delle “provvidenze”. Che, in controtendenza con risorse sempre più declinanti, non si negano a nessuno (anche quando si sa che così facendo non si risolve organicamente la questione, si incoraggia a persistere nell’irresponsabile abusivismo privato e pubblico, si dilapidano le risorse comunitarie, si alimenta la sinergia con gli ambienti malavitosi, che il più delle volte stanno dietro i comportamenti illegali).

Questa lunga premessa é, almeno nella percezione di chi scrive, per inquadrare l’ennesima “calamità” avvenuta a Genova.

Avvenuta secondo le medesime modalità, anche se con diverse conseguenze, con cui sono avvenuti gli esondamenti del Seveso (Milano, Lombardia!), la bomba d’acqua estiva del trevigiano (serenissimo Veneto!) e della Sardegna; e ci fermiamo qui.

Il vecchio, caro PCI avrebbe agitato il popolo assistito dallo slogan “piove, governo ladro!”.

Ma, come si sa, il PCI non c’è più (semmai sia mai esistito) ed i suoi epigoni, variamente mimetizzati e/od imboscati in una “sinistra” inqualificabile (affermazione autorizzata da un’appartenenza sia pure recalcitrante) non rappresentano certamente né una garanzia di cultura di governo né una continuità ideale con l’invencible armada che fu nella prima repubblica.

Siamo un paese in cui le sinergie comunitarie funzionano, ma solo per le male cause.

Nelle congiunture delle calamità (sic) naturali, si fa squadra a prescindere dai colori: verde leghista del trevigiano, verde-azzurro lombardo, rosso ligure.

Qualche volta, alla ricerca del capro espiatorio, si litiga in famiglia: in Liguria di non rosso ci sono solo le ostie del tabernacolo. Ecco, allora che il Sindaco di Genova (super-rosso, nonostante le ascendenze patrizie) protesta il sempre rosso ma plebeo governatore regionale Burlando (nomen omen!), che, a sua volta, chiama in causa, l’assessore alla (ultra sic!) Protezione Civile, orbata dall’assenza del capo-dipartimento dell’ARPAL, fottutissimo destino cinico e baro, inciampata in un maligno modello matematico. Che, fino lì, ça va sans dire, aveva funzionato a meraviglia (vedi il disastro del 2011, imputato alla compagna Marta Vincenzi).

Già, il modello matematico fallace che, anche nelle parole del responsabile nazionale della Protezione Civile, diventa il capro espiatorio!

Gabrielli, dopo aver ribadito che lo Stato (quello Stato in cui i barbieri di Montecitorio incassano 90.000 euro di stipendio ed i medio/alti dirigenti fanno a sportellate per preservare, dal minacciato plafond di 240.000 euro, l’intangibilità dell’extra conquibus) non è in grado (i deboli di cuore, come ammonirebbe il felliniano Zampanò della Strada, non guardino e non ascoltino!) di difendere i cittadini, esortando a non crocifiggere i responsabili (so’ ragazzi, direbbe Sordi).

Riassumendo: l’ex Sindaco Vincenzi (indagato, ma, dopo tre anni, non ancora processato) e l’attuale Doria (per il vero, il meno colpevole vista la sindacatura di solo due anni) dichiarano di non essere stati informati (scaricando sulla Regione); il Governatore Burlando (che, quando il Consiglio Regionale è impegnato in questioni nodali, è assente per ricerche micologiche) rinvia alla Protezione Civile; la Protezione Civile, attonita, se la prende con il modello matematico.

Vedrete, dopo il non crucifige di Gabrielli, che il probabile epilogo sanzionatorio sarà la rottamazione del computer reo di aver elaborato un modello matematico sbagliato.

La vera questione è che, in barba alla vulgata epica della Resistenza, della medaglia d’oro per la Liberazione, del contrasto di popolo alle derive reazionarie del giugno 1960, della Compagnia dei “camalli”, la Liguria ha operato ed opera, sicuramente per quanto riguarda le tematiche della responsabilità ambientale, né più né meno dei livelli bassi degli standards nazionali. Con l’aggravante che la Liguria è una regione, se non proprio opulenta, sicuramente messa bene.

Delle dinamiche che dall’irresponsabilità e dall’egoistica speculazione portano al ripetersi dei disastri avevo scritto, perché cognito, tre anni fa in occasione dell’analoga “disgrazia” della Liguria e delle 5 Terre.

Non è cambiato nienteeeee!

In questo scenario da “tutti a casa”, da otto settembre, l’Italia dell’establishment fellone si è letteralmente squagliata. Non si pretendono trascinatori come Churchill, che sfidò le V2 hitleriane ed esortò alla riscossa restando tra il suo popolo.

Alla classe dirigente vengono meglio le comparsate dei talk show (dimenticando che i derelitti della Lanterna, immersi nel fango, hanno tutt’altro da fare che ammirarli sul video).

Gli unici personaggi a mettere la faccia nel desolante scenario sono stati il cardinale-arcivescovo Bagnasco, cui nessuno ha imputato un deficit di giaculatorie, ed il Sindaco Doria, che, contestato su basi anche contro fattuali, ha dato dimostrazione di grande dignità. Era stata annunciata ma immediatamente smentita una puntatina, nel drammatico teatro di distruzione e di desolazione, del premier; nel cui carnet salvifico potrebbe risiedere l’intercessione della mamma, notoriamente medjugoriana.

Se, Renzi, le cui radici teoriche si rivelano sempre meno socialiste europee e sempre più democrat nord americane, volesse trarre insegnamenti dalla storia, scoprirebbe qualche interessante spunto. Un grande presidente a stelle a strisce, Roosvelt (per chi scrive, complessivamente più socialdemocratico che democratico) inventò, per invertire la grande crisi del ’29, quel new deal fondato sulle grandi opere finalizzate alla massima occupazione ed al riassetto idrogeologico. Teorizzò, addirittura, che, anche in assenza di reali necessità, era preferibile scavare inutilmente buche per poi riempirle.

In Italia ci sarebbe tanto da fare!

In questa Italia, matrigna con le nuove generazioni (che faticano ad esercitare il diritto allo studio ed al lavoro), l’unica sorpresa di segno positivo è rappresentata, come fu a Firenze nel 1966, dalla leva delle migliaia di giovani, che, gambali e pale, fanno vedere come si può declinare l’etica della condivisione e della responsabilità. Con un eccesso retorico, li hanno definiti “angeli”. Senza ombra di dubbio costituiscono il profilo migliore di un paese, per tutti gli altri versi, meritevole di un declino ormai avvitato.

Unitamente a questa testimonianza che restituisce almeno in parte l’onore al Paese letteralmente squagliato, chiedano l’istituzione di una Norimberga per le nefandezze perpetrate contro l’ambiente e la sicurezza dei cittadini.

Avrei finito qui la mia intemerata. Ma la lucida analisi televisiva di stamani del redattore genovese del Fatto Quotidiano, Sansa, mi sollecita (e non certamente per amore dell’autocitazione da cui rifuggo sempre) a riproporre in allegato  quanto scrissi sulle pagine di Cronaca nel 2011.

Enrico Vidali

Cremona 14 ottobre 2014 

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