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Erdogan il sultano, istruzioni per l’uso

| Scritto da Redazione
Erdogan il sultano, istruzioni per l’uso

Nel Mediterraneo, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan persegue il proprio interesse. Lo fa impiegando con disinvoltura i propri strumenti d’intervento. E senza che necessariamente il suo interesse coincida con quello europeo e italiano. L’Europa ha cercato di smussare la tensione al recente vertice Med7 di Ajaccio, ma rimangono tra i suoi membri differenze tra chi minaccia sanzioni e chi rilancia il dialogo.

A muovere Ankara, sono ambizioni di potenza in chiave neo-ottomana, l’intenzione di ergersi a protettore dell’Islam politico, l’ossessione della minaccia curda ai confini, il desiderio di confermarsi piattaforma strategica per i flussi energetici dalla Russia e di sfruttare i giacimenti mediterranei. Si aggiunge la necessità di Erdogan di ricompattare su istanze nazionalistiche un consenso popolare fattosi meno saldo, fiaccato da un’economia in recessione e dall’ondata della pandemia. Il ruolo più distaccato di Washington nella regione finisce poi per allungargli ulteriormente il campo. Mentre conserva la forza che gli deriva dalla sostanziale assenza di credibili alternative all’interno (malgrado le pesanti conseguenze in tema di diritti) e dal controllo dei flussi migratori sulla rotta anatolico-balcanica, come ormai dalle coste libiche.

La presenza turca nelle crisi regionali è tuttavia contraddittoria. A tratti esaspera le tensioni, a tratti contribuisce allo stallo. Quasi mai — sovraesposta com’è — può fare davvero la differenza sul piano militare, pur con le sue truppe mercenarie. È così in Libia, dove dopo aver contrastato con successo il generale Haftar in Tripolitania, i turchi hanno dovuto arrestarsi alle porte di Sirte, frenati da una Russia con cui sanno di dover convivere e creando le premesse per una partizione di fatto del Paese. Lo è in Siria, dopo una guerra persa da Ankara contro Assad, poi obbligata a scendere a patti con Mosca per salvaguardare, ai suoi confini, il controllo dell’area nord-occidentale siriana di Idlib. Lo è nel Mediterraneo orientale, dove le sue ambizioni geopolitiche e energetiche hanno finito per creare lo stallo tra i Paesi rivieraschi nella delimitazione dei rispettivi tratti di mare esclusivi e per importare nella zona le tensioni intra sunnite.

A riproporsi è il tradizionale conflitto con la Grecia, ma anche il contrasto con l’Egitto e dunque con gli Emirati e l’Arabia Saudita. A rischiare di precipitare è il Libano, dove proprio noi con Unifil svolgiamo un apprezzato ruolo pacificatore.

Come articolare, in queste condizioni, una possibile agenda europea verso la Turchia di Erdogan? Ad un tempo esigente sul piano dei diritti e utile su quello geopolitico. L’Europa, una volta di più, si presenta divisa, incerta tra l’opposizione frontale francese (ambiziosa di guidare una nuova “pax mediterranea”), una certa timidezza tedesca e i tentativi di convivenza italiani in chiave libica. Lo rappresentano bene le prove di mediazione dell’alto rappresentante Ue Josep Borrell e della presidenza di turno tedesca, che poco hanno finora ottenuto.

Eppure gli ingredienti per un approccio realistico, europeo e italiano, ci sono. Non mancherebbero le cointeressenze: in Medioriente e in Africa i turchi sono attori riconosciuti. Senza abbracciare Erdogan e senza respingerlo a priori. Soprattutto, senza troppo incoraggiarne la deriva verso l’Oriente islamico o avallare gli eccessi interni.

Sul piano generale, si tratta di dare ad Ankara, pur sempre un alleato nella Nato, regole d’ingaggio definite e un maggiore senso dei limiti: Washington (come già fa Mosca sul terreno) potrebbe farlo, ma l’Europa — e direttamente la diplomazia italiana — possono svolgere sugli americani un ruolo di stimolo non irrilevante. Nelle crisi regionali, va fatto comprendere alla Turchia che non esistono soluzioni militari, ma compromessi politici e, al più, aree di rispetto e di influenza. Per le rotte energetiche, che la comunità internazionale non potrà indietreggiare oltre limiti ragionevoli di fronte alle violazioni più flagranti del diritto internazionale. Per i flussi migratori, infine, che la loro gestione non può più essere solo ricattatoria, ma va inserita in un quadro più ampio di rapporti con l’Europa che investa anche le collaborazioni tecnologiche, industriali e commerciali di cui Ankara ha bisogno. Insomma, una relazione transattiva e pragmatica che dovrebbe pur essere alla portata di un’Ue più compatta e dei suoi membri.

 

Una versione di questo articolo è apparsa sull'edizione cartacea di La Repubblica il 13 settembre 2020

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