Lunedì, 13 maggio 2024 - ore 23.02

Figli di Putin

Una foto di famiglia che nascondiamo in un album dimenticato della memoria - di Umberto Mazzantini

| Scritto da Redazione
Figli di Putin

Il 12 marzo, su La7, David Parenzo ha intervistato Petr Olegovich Aven, un oligarca russo molto vicino a Vladimir Putin, con forti interessi e grandi patrimoni in Italia e padrone dell’Alfa-Bank, la più grande banca commerciale russa con la quale le grandi imprese italiane hanno fatto (e probabilmente rifaranno) affari d’oro.

Quando alla televisione e sui giornali si parla di oligarchi sembra che siano sorti dal nulla, partoriti da Putin, sono invece i figli incestuosi del crollo dell’Unione Sovietica e dell’ipercapitalismo di Stato che è stato instaurato in Russia dopo che l’alcolizzato Boris Nikolaevič Eltsin ha defenestrato Mikhail Gorbaciov impedendo la problematica transizione dal comunismo alla socialdemocrazia e schierandosi apertamente con il neoliberismo di Ronald Reagan e Margareth Thatcher.

Eltsin, quando diventò presidente della neonata Federazione Russa affidò proprio ad Aven il compito di rendere convertibile il rublo e trovare una soluzione al debito estero. Poi lo nominò ministro delle relazioni economiche estere (1991-1992) e rappresentante della Russia nel G7 (che poi diventò G8 accogliendo la Russia tra le potenze economiche occidentali). Per Aven nei Paesi europei e negli Usa si stendeva il tappeto rosso e condusse una serie missioni commerciali ed economiche di alto livello nelle capitali occidentali.

E’ stato in quel periodo, con Eltsin al potere e Aven al controllo dell’economia, che si sono messe le basi per la completa svendita delle risorse statali sovietiche che sono finite per pochi spiccioli in mano agli oligarchi russi e alle cupole politiche/affaristiche – che da eltsiniane sono diventate putiniane – che controllano i grandi colossi pubblici russi dell’energia e minerari come fossero (e lo sono) cosa propria.

L’Occidente stava a guardare con allegra soddisfazione la sua vittoria sul comunismo – la fine della storia, sentenziava Fukuyama – e gli oligarchi e gli ex capi comunisti, convertitisi in rispettevoli leader “democratici-autoritari” delle nuove Repubbliche indipendenti, spartirsi le spoglie dell’Urss e condividerle con le grandi compagnie energetiche occidentali, accorse come avvoltoi sul luogo del banchetto.

Tutto questo è stato descritto con dovizia di particolari su “Shock Economy”, il libro pubblicato nel 2007 dalla giornalista e ambientalista canadese Naomi Klein, che non è certo una nostalgica del comunismo né un’amica di Putin.

Putin, Vladimir Vladimirovič Putin, non è un corpo estraneo all’Occidente come vogliono farci credere – o come vorrebbe credere qualche nostalgico della Russia Sovietica – non è un paladino anti-capitalista e un nemico della destra e dei fascisti, come sanno benissimo Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Marine Lepen e gli innumerevoli partiti e movimenti sovranisti, integralisti cattolici e neofascisti finanziati dalla Russia putiniana negli ultimi anni. Non a caso, Putin nel suo discorso alla nazione nel quale ha dato il via all’invasione dell’’Ucraina ha detto che se l’Ucraina è diventata indipendente è colpa di Lenin e della rivoluzione bolscevica.

Infatti, Putin è il figlio politico di Boris Eltsin e quindi figlio della scommessa sbagliata che l’Occidente fece su un uomo da poco. Un Occidente sicuro del trionfo della democrazia liberale – diventata sempre meno democratica e sempre più liberista – e ingolosito da risorse immense e mal-sfruttate della Russia post-sovietica, da dividersi insieme ai rapaci uomini che circondavano un Presidente ubriacone e depredavano il Paese più grande del mondo.

Qualcuno si ricorderà i carrarmati venduti per una bottiglia di vodka, missili nucleari lasciati a marcire nelle loro tane, materiale nucleare venduto al migliore (o peggiore) offerente, il cadavere radioattivo della centrale nucleare di Chernobyl lasciato a imputridire, l’inquinantissima industria pesante sovietica crollata sotto il peso della sua inutilità e obsolescenza, lasciata a intossicare territori vastissimi…

Un Paese immenso e in ginocchio, lasciato in preda a squali famelici, agli spiriti animali del capitalismo, mentre i pensionati russi morivano di fame e per farsi curare in un ospedale prima pubblico bisognava (e bisogna ancora in molti casi) portarsi le medicine, le garze e il filo da sutura dal casa. Qualcuno ricorderà i pacchi di cibo per uomini e donne umiliati dalla loro stessa storia, diventata farsa miserevole.

Putin è il figlio, l’erede predestinato di tutto questo. Questo oscuro funzionario del KGB, che rassegnò le dimissioni dai servizi di sicurezza sovietici il 20 agosto 1991 durante il fallito colpo di Stato supportato dal KGB e dalla fazione stalinista del Partito Comunista contro Gorbaciov (lo stesso colpo di Stato che invece finì per sgretolare l’Urss e portare al potere il “democratico” e filo-occidentale Eltsin), venne scelto da Boris Eltsin per sostituirlo con il beneplacito delle cancellerie occidentali.

Appena dimessosi dal KGB, Putin fece una fulminea carriera nell’apparato democratico filo-occidentale di Eltsin, partendo subito con importanti incarichi a Leningrado/Sanpietroburgo. Nel 1996 venne chiamato a Mosca dove divenne capo delegato del Dipartimento per la Gestione della Proprietà Presidenziale e nel 1997 Eltsin lo nominò delegato capo del Personale Presidenziale, nel 1998 era già membro permanente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa e l’anno dopo ne era già diventato il capo. Tutto all’ombra compiaciuta di Boris Eltsin, l’uomo che, secondo Usa e Occidente aveva salvato la Russia e il mondo dal post-comunismo di Gorbaciov.

Nel 1999 Putin diventò primo deputato del Partito di centro-destra ipercapitalista di Eltsin che lo stesso giorno lo nominò primo ministro della Federazione Russa tra gli applausi delle potenze occidentali. La prima cosa che fece Putin da premier, con l’accordo dei governi occidentali che si limitarono a girare la testa dall’altra parte, fu reprimere nel sangue e nell’orrore la resistenza islamista della Cecenia che aveva dichiarato l’indipendenza di uno sconosciuto e poverissimo angolo di Caucaso. Poi fondò Russia Unita, un Partito nazionalista, conservatore, sovranista, liberista/statalista e che teorizzava (e teorizza) la rinascita della Russia come potenza eurasiatica, militare, nucleare ed energetica.

Subito dopo Eltsin disse che avrebbe voluto che Putin diventasse il suo successore. poi, “inaspettatamente” l’1 dicembre 1999 Eltsin si dimise e, come previsto dalla Costituzione Russa, il premier Putin divenne presidente ad interim della Federazione Russa. Sempre con la compiaciuta ammirazione occidentale per il nostro nuovo amico che aveva fatto una carriera così fulminea nella nuova democrazia russa, che era stata invitata caldamente ad entrare nel G8 nel 1997 e dove Putin è rimasto fino al 2014.

C’era anche Putin al G8 di Genova quando il governo dei suoi amici Berlusconi e Fini massacrò i manifestanti colpevoli di mettere in dubbio i sacri principi della globalizzazione capitalista. Anche lui applaudì alla salutare lezione data a chi voleva mettere in dubbio l’ordine mondiale costituito del capitalismo vincente, la macelleria messicana.

Il 26 marzo del 2000 Putin stravinse le elezioni presidenziali al primo turno e il 7 maggio giurò come presidente, ricevendo le compiaciute congratulazioni e le strette di mano e pacche sulle spalle dei suoi colleghi occidentali, convinti di aver addomesticato definitivamente l’orso russo.

Il resto è una storia più che ventennale durante la quale Putin ha attuato una politica conservatrice, nazionalista, tradizionalista, in stretto collegamento con la Chiesa Ortodossa Russa, e di riduzione progressiva delle autonomie di Regioni, Repubbliche e territori autonomi ereditati dall’Urss.

Il resto è storia tragicamente attuale. E le ragioni di Putin, che ha costruito lo “stato-mercato” russo sono state tutte all’interno del neo-capitalismo vincente, non alternative, come qualcuno vorrebbe credere o farci credere.

Quello in atto sulla pelle degli ucraini e dei russi è uno scontro tra due visioni del mondo conservatrici, divise solo da valori liberali, da diritti sessuali e civili che però la destra sovranista occidentale vorrebbe ridurre come ha fatto Putin in Russia.

Una guerra ammantata dalle eterne scuse della terra e del sangue, due destre che si scambiano l’accusa di essere fasciste e che arruolano miliziani nazi-fascisti, ma che non mettono in discussione il capitalismo. Anzi, l’arsenale economico neoliberista viene utilizzato come armi di guerra che finiscono per colpire i poveri e lasciare all’ancora qualche mega-yacht di oligarchi russi comprato facendo affari con noi.

Come scriveva il poeta palestinese Mahmoud Darwish, premio Lenin per la Pace 1982, «La guerra finirà, i leader si stringeranno la mano, e quella vecchia madre aspetterà il suo figlio martirizzato, e quella donna aspetterà il suo amato marito, e quei bambini aspetteranno il loro padre eroe. Non so chi ha venduto la Patria… ma ho visto chi ne ha pagato il prezzo».

Si possono anche comprendere le ragioni “storiche” che hanno spinto Putin a dichiarare una feroce guerra di invasione, ma non sono sicuramente ragioni di sinistra, che fanno pensare a un mondo migliore e più giusto.

Dietro il non detto, sullo sfondo sfocato dell’intervista di Parenzo all’oligarca Aven, c’è una foto di famiglia che nascondiamo in un album dimenticato della memoria: Purtin è figlio nostro e siamo tutti figli di Putin.

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