Venerdì, 17 maggio 2024 - ore 02.36

L’anno della pandemia segna il picco della fame nel mondo

L’anno della pandemia segna il picco della fame nel mondo

| Scritto da Redazione
L’anno della pandemia segna il picco della fame nel mondo

Secondo  il rapporto “State of Food Security and Nutrition in the World 2021” (SOFI), pubblicato oggi da Fao, International Fund for Agricultural Development (IFAD), Unicef, World Food Programme (WFP) e Organizzazione mondiale della sanità (Oms), «Nel 2020 c’è stato un drammatico peggioramento della fame nel mondo, in gran parte probabilmente correlato alle ricadute del Covid-19».

Sebbene l’impatto della pandemia non sia ancora stato completamente mappato, un rapporto multi-agenzia dell’Onu stima che «Lo scorso anno, circa un decimo della popolazione mondiale – fino a 811 milioni di persone – fosse denutrita. Una cifra che suggerisce che al mondo ci vorrà uno sforzo enorme per onorare il suo impegno a porre fine alla fame entro il 2030».

L’edizione del SOFI di quest’anno è la prima valutazione globale del suo genere nell’era della pandemia. Le precedenti edizioni avevano già avvertito che era in gioco la sicurezza alimentare di milioni di persone, tra cui molti bambini. Nella prefazione del rapporto 2021, i capi delle 5 agenzie Onu scrivono che «Purtroppo, la pandemia continua a mettere in luce le debolezze dei nostri sistemi alimentari, che minacciano la vita e i mezzi di sussistenza delle persone in tutto il mondo» e avvertono ancora una volta che si tratta di uno snodo delle politiche globali, anche se dicono di riporre nuove speranze su un maggiore slancio diplomatico.

I leader di Fao, IFAD, Unicef, WFP e Oms ricordano che «Quest’anno offre un’opportunità unica per promuovere la sicurezza alimentare e la nutrizione attraverso la trasformazione dei sistemi alimentari con il prossimo UN Food Systems Summit, il Nutrition for Growth Summit  e la COP26 sui cambiamenti climatici. L’esito di questi eventi continuerà a plasmare la […] seconda metà del decennio di azione delle Nazioni Unite sulla nutrizione», un impegno politico globale che deve ancora prendere slancio.

Il nuovo rapporto SOFI evidenzia che la fame aveva cominciato a crescere già a metà degli anni 2010, smentendo le speranze di un declino irreversibile, Ma, «Nel 2020 la fame è aumentata in modo preoccupante sia in termini assoluti che in percentuale, superando la crescita della popolazione: si stima che lo scorso anno circa il 9,9% di tutte le persone siano state denutrite, rispetto all’8,4% del 2019».

Più della metà di tutte le persone denutrite (418 milioni) vive in Asia; più di un terzo (282 milioni) in Africa e una percentuale minore (60 milioni) in America Latina e nei Caraibi. Ma il SOFI evidenzia che «L’aumento più marcato della fame si è verificato in Africa, dove la prevalenza stimata della denutrizione – al 21% della popolazione – è più del doppio di quella di qualsiasi altra regione».

Il 2020 è stato cupo anche per quanto riguarda alti dati: «Complessivamente, più di 2,3 miliardi di persone (o il 30% della popolazione mondiale) non hanno avuto accesso tutto l’anno a un’alimentazione adeguata: questo indicatore – noto come prevalenza di insicurezza alimentare moderata o grave – è balzato in alto in un anno tanto quanto i precedenti 5 messi insieme. La disuguaglianza di genere si è aggravata: per ogni 10 uomini con insicurezza alimentare, nel 2020 c’erano 11 donne con insicurezza alimentare (rispetto a 10,6 nel 2019). La malnutrizione è continuata sotto tutte le sue forme, con i bambini a pagare un prezzo alto: si stima che nel 2020 oltre 149 milioni di bambini sotto i 5 anni fossero rachitici, o troppo bassi per la loro età; più di 45 milioni fossero deperiti, o troppo magri per la loro statura e quasi 39 milioni sovrappeso. Ben 3 miliardi di adulti e bambini sono rimasti esclusi da diete sane, in gran parte a causa dei costi eccessivi. Quasi un terzo delle donne in età riproduttiva soffre di anemia. A livello globale, nonostante i progressi in alcune aree – più neonati, ad esempio, vengono nutriti esclusivamente con latte materno – il mondo non è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi per nessun indicatore nutrizionale entro il 2030».

In molte parti del mondo, la pandemia ha provocato recessioni devastanti e messo a repentaglio l’accesso alle risorse alimentari. «Eppure – fa notare il SOFI – già prima della pandemia la fame era in aumento e si registravano scarsi progressi sul fronte della malnutrizione, soprattutto nei paesi in preda a conflitti, eventi climatici estremi o altre difficoltà economiche, o alle prese con profonde disuguaglianze». Il rapporto annovera tutti questi fattori tra le principali cause dell’insicurezza alimentare, che interagiscono tra di loro: «Più sono numerose le cause presenti in un dato paese, più sono diffuse la sottoalimentazione, la malnutrizione e l’insicurezza alimentare e più è proibitivo per i cittadini il costo di una dieta sana».

Per quanto riguarda le tendenze attuali, il SOFI 2021 calcola che «L’obiettivo di sviluppo sostenibile 2 (Fame zero entro il 2030) non sarà raggiunto per una differenza di quasi 660 milioni di persone; per circa 30 milioni di queste il motivo potrebbe essere legato agli effetti duraturi della pandemia».

Come delineato nel SOFI 2020, «Trasformare i sistemi alimentari è essenziale per raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e far sì che una dieta sana sia alla portata di tutti». L’edizione di quest’anno compie un passo in avanti delineando 6″percorsi di trasformazione” che, secondo gli autori, «Si basano su un insieme coerente di politiche e investimenti per combattere le cause della fame e della malnutrizione».

A seconda dello specifico fattore causale (o della specifica combinazione di fattori causali) che ciascun paese deve affrontare, il rapporto esorta i responsabili delle politiche a: Integrare le politiche umanitarie, di sviluppo e di costruzione della pace nelle zone di conflitto, ad esempio attraverso misure di protezione sociale volte a impedire che le famiglie siano costrette a vendere i pochi averi di cui dispongono in cambio di cibo; Rafforzare la resilienza al cambiamento climatico nei sistemi alimentari, ad esempio offrendo ai piccoli agricoltori un ampio accesso a polizze di assicurazione contro i rischi climatici e a finanziamenti basati sulle previsioni; Rafforzare la resilienza delle persone più vulnerabili nelle congiunture economiche sfavorevoli, ad esempio attraverso programmi di sostegno in denaro o in natura volti ad attenuare l’impatto di shock quali le pandemie o la volatilità dei prezzi delle derrate alimentari; Intervenire lungo le catene di approvvigionamento per ridurre il costo degli alimenti nutrienti, ad esempio incoraggiando la coltivazione di varietà biofortificate o facilitando l’accesso dei produttori di ortofrutticoli ai mercati; Combattere la povertà e le disuguaglianze strutturali, ad esempio rilanciando le catene del valore alimentare nelle comunità povere attraverso trasferimenti di tecnologia e programmi di certificazione; Rafforzare gli “ambienti alimentari” e modificare il comportamento dei consumatori, ad esempio eliminando gli acidi grassi trans di origine industriale e riducendo il contenuto di sale e zucchero nella dieta, o tutelando i bambini e i ragazzi dall’impatto negativo del marketing dei prodotti alimentari.

Inoltre, gli autori del rapporto auspicano « Un contesto abilitante di istituzioni e meccanismi di governance” che renda possibile la trasformazione. Esortano i responsabili delle politiche ad effettuare ampie consultazioni, a favorire l’emancipazione delle donne e dei giovani e ad aumentare la disponibilità di dati e nuove tecnologie. Ma soprattutto, il mondo deve agire ora; in caso contrario le cause della fame e della malnutrizione ricorreranno con sempre maggiore intensità nei prossimi anni, anche molto tempo dopo che avremo superato la crisi della pandemia».

Per Azione contro la Fame, «Il rapporto dimostra, ancora una volta, che la fame sia un flagello tristemente contemporaneo» e sottolinrea che «I conflitti sono ancora una delle cause principali della malnutrizione e dell’insicurezza alimentare acuta. Tra gli altri, Burkina Faso, Yemen, Nigeria, Sudan del Sud ed Etiopia sono considerati dalle Nazioni Unite come i Paesi a rischio carestia. Le popolazioni che vivono in queste zone vedono regolarmente violati i loro diritti. Azione contro la Fame ricorda che in queste situazioni di conflitto, uomini, donne e bambini devono avere accesso agli aiuti umanitari. La capacità degli attori umanitari di accedere in queste aree e di rispondere ai bisogni delle popolazioni non deve essere ostacolata da vincoli amministrativi o di sicurezza».

L’organizzazione, che insieme con il suo network opera in quasi 50 Paesi del mondo, è stata testimone del deterioramento delle condizioni legate alla sicurezza alimentare delle popolazioni: «A causa della pandemia, i sistemi alimentari di tutto il mondo sono stati fortemente colpiti. Le misure di contenimento necessarie per proteggere le popolazioni hanno determinato la perdita dei raccolti, l’impossibilità di percepire un reddito e hanno fatto precipitare milioni di persone in uno stato di precarietà». Per questo, Azione contro la Fame invita i decisori e i Governi «a prendere misure adeguate alla situazione contingente: nel Nord come nel Sud, è urgente invertire la tendenza trasformando radicalmente i sistemi alimentari per renderli sostenibili, resilienti e più equi».

Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame, conclude: «E’ giunto il momento di affrontare, seriamente, i fattori che causano l’insicurezza alimentare: mi riferisco, in particolare, al cambiamento climatico, ai conflitti e alle disuguaglianze economiche che generano questi livelli di fame. Se da un lato è necessario sostenere, il più rapidamente possibile, le vittime delle crisi alimentari attuali, per evitare morti evitabili, le lezioni da trarre dalla pandemia sono chiare: è necessario investire sulla resilienza delle popolazioni vulnerabili, puntando su sistemi innovativi e di successo, come l’agroecologia, e sulla valorizzazione sistemi alimentari locali, che devono essere al centro di una trasformazione sostenibile ed equa. Ecco cosa chiediamo ai due vertici internazionali che a luglio e a ottobre si terranno in Italia, nella speranza che alle parole, in questo caso, seguano fatti concreti e un interesse per l’altro che sia pari a quello che vedo sul campo attraverso l’impegno dei nostri operatori».

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