Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 21.40

L’esodo dei pochi dottori di ricerca italiani, che all’estero guadagnano mille euro al mese in più

Carrozza: ''Il Pnrr costituisce un’unica e probabilmente irripetibile occasione per instaurare il circolo virtuoso tra ricerca e innovazione e sviluppo economico e sociale del paese''

| Scritto da Redazione
L’esodo dei pochi dottori di ricerca italiani, che all’estero guadagnano mille euro al mese in più

Per l’Italia non c’è possibilità di raggiungere uno sviluppo sostenibile senza investire adeguatamente su studenti, docenti e ricercatori, e la terza edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia – appena elaborata e presentata dal Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche – mostra sì qualche passo avanti, ma soprattutto quanta strada deve ancora percorrere il Paese.

Partiamo da un assunto fondamentale: come recentemente dimostrato dallo studio A Semiparametric analysis of green inventions and environmental policies, redatto dagli economisti ambientali Massimiliano Mazzanti e Antonio Musolesi, in assenza di investimenti adeguati in R&S e capitale umano la transizione ecologica non riesce a svilupparsi; al contrario, a livelli estremamente bassi di attività di ricerca e sviluppo, neanche la politica ambientale è efficace, mostrando una sostanziale complementarità tra politiche ambientali e investimenti in R&S. Un dato poco incoraggiante per il nostro Paese, visto lo stato dell’arte.

Il rapporto elaborato dal Cnr mostra infatti che – nonostante la lieve ripresa in corso, dovuta anche al fatto che gli stanziamenti pubblici hanno smesso di ridursi – l’Italia investe in ricerca e sviluppo l’1,4% del Pil, anche se l’Ue si era data come obiettivo per il 2020 di raggiungere almeno il 3%, ovvero oltre il doppio.

Al contempo solo lo 0,5% della popolazione in età lavorativa in Italia ha un dottorato di ricerca, contro l’1,2% della media Ue, mentre gli iscritti al dottorato il doppio in Europa (0,28%) rispetto all’Italia (0,14%). Per questo secondo il Cnr «è necessario aumentare il numero di coloro che conseguono il titolo di dottore di ricerca, circa 10 mila studenti l’anno, con migliori prospettive, per compiere un salto nella specializzazione tecnologica e produttiva verso settori e industrie a più elevato contenuto di conoscenza».

Sotto questo profilo, la questione delle «migliori prospettive» è tutto fuorché secondaria. Il tasso di occupazione dei dottori di ricerca italiani è pari al 93,5%, ma meno della metà ritiene di sfruttare pienamente le conoscenze acquisite nel mercato del lavoro. Non stupisce dunque che in molti preferiscano guardare all’estero.

Molti dottori di ricerca in Italia trovano infatti occupazione all’estero, circa il 13% dopo qualche anno, testimoniando la buona qualità della formazione ricevuta, mentre dall’estero sono in pochi anche solo ad iscriversi al dottorato in Italia, che ospita studenti da altri Paesi in una quota pari al 15,7%, molto inferiore a Paesi Bassi (44,0%), Belgio (41,4), Regno Unito (42,5) e Francia (38,2%).

Soprattutto, dopo 6 anni dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca, il «reddito medio mensile è pari a 1.679 euro in Italia e 2.700 euro all’estero», marcando una differenza molto importante sotto il profilo economico: in Italia i dottori di ricerca rappresentano dunque un bene scarso, e anche poco valorizzato.

Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza sta cambiando qualcosa? «Il Pnrr costituisce un’unica e probabilmente irripetibile occasione per instaurare il circolo virtuoso tra ricerca e innovazione e sviluppo economico e sociale del Paese – dichiara la presidente del Cnr, Maria Chiara Carrozza – Tali condizioni devono essere mantenute assicurando adeguate risorse ordinarie anche quando le risorse straordinarie del Pnrr avranno esaurito il proprio compito».

Complessivamente, come dettaglia lo stesso Cnr, le risorse destinante alla ricerca e sviluppo previste nel Pnrr ammontano a circa 17 miliardi di euro, circa il 7,5% complessivo delle risorse totali; la maggior parte si concentrano su ricerca applicata e sviluppo sperimentale (circa 10 miliardi di euro), ricerca di base (4 mld), azioni trasversali e di supporto (1,88 mld) e trasferimento tecnologico (380 milioni di euro).

«La ricerca pubblica – osservano nel merito i coordinatori del rapporto Cnr, Daniele Archibugi, Emanuela Reale e Fabrizio Tuzi – intende ricoprire il ruolo di moltiplicatore in grado di attivare investimenti in ricerca privata e innovazione, finalizzati alla creazione di ecosistemi dove le idee si possano trasformare in nuovi prodotti, processi e servizi, al fine di creare posti di lavoro ad elevato valore aggiunto, agganciando i settori produttivi più dinamici nei mercati internazionali. Gli attori pubblici della ricerca devono quindi assumere un ruolo centrale nel disegno definito nel Pnrr in quanto operando sulla frontiera della scienza sono in grado di aprire nuove traiettorie tecnologiche».

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