Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 12.55

Papagna(Acea) scrive a Napolitano

| Scritto da Redazione
Papagna(Acea) scrive a Napolitano

Illustrissimo Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il Suo discorso di fine anno 2010 ha posto fortemente in evidenza la
questione giovanile, riscuotendo un plauso unanime.
( http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=2052 )

Proprio quei giovani, quegli studenti sono stati i protagonisti di una
lunga ed estesa lotta contro la cosiddetta "riforma Gelmini" che Lei
stesso, seppur controfirmandola, ha trovato in molti punti fortemente da
revisionare nelle sue attuazioni.

Questo nuovo movimento è stato, nell'anno appena trascorso, il motore di
una contestazione profonda e articolata che ha saputo diventare vero e
proprio conflitto sociale, riuscendo però a sfuggire alla
trappola/scorciatoia della violenza; facendo "notizia" con gli "scudi
culturali", dribblando persino la comunicazione mass-mediatica che proprio
della violenza, vera o percepita, si nutre a piene mani.

A ben vedere è l'unico segno positivo, in una palude che da Roma si estende
"dalle Piramidi all'Alpi", giusto per riprendere una citazione.
Non solo paludi: montagne emergenti di spazzatura, monumenti che crollano
per l'incuria, alluvioni, esondazioni, tracimazioni...
Quasi che il nostro "bel paese" si sforzi di rappresentare lo stile di vita
della classe politica che ci governa: adeguandovisi!

Bene ha fatto a dare, col Suo discorso, pieni voti di agibilità a questo
movimento.
A confermare più che dare: i giovani, gli studenti, gli universitari, la
laurea di nuova e vera opposizione sociale se la sono data da soli.
Non è il '68, che pure a molti fa ancora una paura matta; è il 2010 e le
prospettive sociali, economiche e culturali sono molto diverse, se non
opposte a quelle del maggio francese diventato europeo.
Un movimento d'opposizione che appare l'unico tentativo di dare voce
concreta alla crisi mondiale economica che in Europa assume caratteristiche
di "senilità sociale e culturale".
E dare voce contribuisce ad abbozzare risposte a quella domanda di coesione
sociale (da tutti invocata...senza saper bene cosa sia). Finalmente i
giovani si rendono conto che è in gioco il loro - e nostro - futuro.

Ma un altro soggetto è in formazione: è debole, fragile, frastagliato,
eterogeneo, ma sta crescendo. E' quello dei migranti.
Ha pochissimi strumenti per farsi vedere: sale sulle torri, ma è costretto
a scendervi, scende in piazza, ma poi si deve nascondere.
C'è sempre un foglio di via in agguato.
Eppure riguarda centinaia di migliaia di persone, senza delle quali questo
nostro paese è incapace di andare avanti.
Infermieri, badanti, manovali, medici, contadini, artigiani, commercianti,
operai... centinaia di migliaia di persone!
Molte vivono già da decine di anni in Italia, hanno figli nati in Italia,
ma non sono italiani.
Alla fine di gennaio molte di queste persone si accalcheranno per la
ricerca del permesso di soggiorno.
Stavolta si accalcheranno ai computer non alle prefetture. Molti occhi non
vedranno, ma il nostro cuore dolerà lo stesso.
Per i pochissimi fortunati è come giocare e vincere al superenalotto. Per i
tanti esclusi resterà il ricatto infame di essere in un posto che ha
bisogno di loro, ma che li può - e li vuole - mettere in ogni momento alla
porta: nuova servitù clandestina per padroni inconsapevoli e irresponsabili.

L'Italia ha conosciuto per molto tempo l'emigrazione. Tutte le grandi
democrazie occidentali si sono costruite sulla capacità di accoglienza; la
stessa Italia si è ricostruita e sviluppata grazie alle migrazioni dal sud.
E le nuove potenze emergenti, l'India, il Brasile, pure la Cina,
accogliendo i nostri giovani, i talenti in fuga... non fanno che accogliere
i nostri nuovi migranti!

Se l'Italia vuole uscire dalla piega inclinata in cui si è infilata deve
essere capace di esprimere (anche esportare) bellezza, fantasia, cultura,
ingegno... e di comprendere (anche importare) nuova umanità, nuove culture,
nuove qualità e trattarle con dignità.
Bisogna dare cittadinanza a chi è nato in Italia.
Bisogna dare la possibilità di cittadinanza a chi vive in Italia da almeno
cinque anni e concederla automaticamente a chi vive con noi da almeno dieci
anni.
Bisogna coordinare la domanda e l'offerta di lavoro con i paesi in via di
sviluppo.
Bisogna assicurare minime condizioni sociali dignitose, in termini di
sanità, assistenza, servizi, istruzione a chi lavora anche se straniero.

Aggiungo perciò il mio augurio affettuoso di buon anno 2011 al Suo, rivolto
"agli stranieri che sono tra noi condividendo doveri e speranze", come
citato in fondo al messaggio.
Pur avendolo Lei incentrato sui giovani, sono certo infatti che  volesse
esprimere appieno anche questi sentimenti ai migranti.
E' questione di solidarietà e dignità... ma pure di saggezza e
lungimiranza, doti che Le sono proprie.

Il nostro futuro, la nuova Italia, sarà fatta dai nostri giovani e dai
nuovi migranti: i nuovi italiani.

Auguri di buon 2011.

Michele Papagna
presidente AceA Onlus
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