Pianeta Migranti Cremona . Il diritto di respirare di George Floyd e di tanti altri.
La morte di George Floyd, soffocato da un poliziotto bianco a Minneapolis, ha scatenato la più grande ondata di proteste della comunità nera dai tempi di Martin Luther King. Le manifestazioni antirazziste avvenute in tutto il mondo hanno richiamato il principio dell’uguale dignità di ogni essere umano senza alcuna esclusione e quindi anche per i tanti migranti, africani e non, che affogano nel Mediterraneo o che subiscono gravi violazioni dei diritti umani nell’indifferenza collettiva.
George Floyd, afroamericano e cittadino della nazione più potente del mondo incarna il destino di chi è stato reso povero nella dignità da una catena storica di pregiudizi e di segregazione, fatta propria dall’attuale presidente degli Stati Uniti.
Le decine di migliaia di persone che hanno manifestato la propria indignata protesta per la sua sorte di nero inerme soffocato da un poliziotto bianco, immobile e sordo alla legge e alle suppliche, ritengono che a nessuno essere umano di qualsiasi razza, debba essere tolto il diritto di respirare. Il pensiero, allora, va a tutti coloro che, ad ogni latitudine, vengono soffocati nel loro anelito alla libertà e subiscono violazioni tali fino ad essere privati del respiro fisico, cioè della vita. Le guerre, le torture, i lager, i genocidi, i naufragi in mare di migliaia e migliaia di migranti, nel silenzio civile e politico (oggi sulle coste della Tunisia oltre 30 dispersi in mare) meriterebbero altrettante piazze e proteste e una platea di indignazione globale! Ma non è così. Tutto tace nell’abbandono.
C’è però un gesto ‘forte’ che ricorre nelle piazze per George Floyd e che è denso di significato: l’inginocchiarsi in segno di protesta per un uomo morto ingiustamente, sotto le ginocchia di un poliziotto. Un gesto ripetuto da molti americani mentre ascoltavano l’inno nazionale, per nove minuti: il tempo dell’agonia di Floyd. Simbolicamente, è il piegarsi accanto a chi cade ed è sopraffatto dal potere, dalla violenza, dall’ingiustizia. Questo gesto, diventato ‘virale’ sui social e sulle piazze, trova una corrispondenza reale ogni volta che ciascuno di noi si china su chi è in situazione di difficoltà o pericolo. Nella vita concreta non esiste solo l’aggressività di chi si curva per uccidere il debole, ma anche il gesto nonviolento di chi si piega perché l’altro, stringendosi al suo collo, possa rialzarsi. E’ per questo che a Lampedusa, in altri posti e in diversi modi, migliaia di persone, ogni giorno, tra tante ostilità tentano di offrire accoglienza ai profughi e ai migranti con l’aiuto di associazioni e avvocati che ne assumono la difesa legale.
Diceva Ghandi: “Siate voi il cambiamento che volete vedere nel mondo”.
Certamente tutti noi possiamo essere seme di qualcosa di nuovo, di diverso. Basta saper decidere se accanto a una persona che muore si sta in ginocchio in soggezione a chi lo sta uccidendo, o inginocchiati con pena e compassione, solidali. Questo vale per i singoli, le comunità, le istituzioni, i rapporti internazionali.
Per noi europei poi, l’inginocchiarci in omaggio a un uomo nero oppresso dovrebbe significare anche una dissociazione netta da quella superiorità culturale che nel corso della storia ci ha reso colonizzatori, fautori dello schiavismo dei popoli africani che abbiamo dominato e saccheggiato per secoli interi. Una pratica che, in altre forme, perdura anche oggi, attraverso lo sfruttamento delle risorse dei paesi africani.
Se poi ridotti in povertà loro fuggono in Europa allora, facciamo di tutti per respingerli. Tutto ciò dimostra che come occidentali non abbiamo ripudiato del tutto quella pagina nera della storia, e che siamo parte del problema.