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Profughi eritrei.Si apre una breccia?

| Scritto da Redazione
Profughi eritrei.Si apre una breccia?

Profughi eritrei.Si apre una breccia?
l dramma dei profughi eritrei su Yedioth Ahronoth: si apre una breccia nel muro di intolleranza e indifferenza?
Tel Aviv, 28 dicembre 2010. Su Yedioth Ahronoth di oggi (il principale quotidiano di Israele) un articolo ampio e dettagliato sulla condizione dei profughi africani nelle mani dei trafficanti del Sinai egiziano. Roberto Malini di EveryOne illustra al giornalista Menachem Gantz il dramma dei migranti che fuggono da Eritrea, Etiopia e altri paesi in grave crisi umanitaria, l'alto tasso di mortalità durante la prima parte del viaggio, fino alla Libia del dittatore Gheddafi, le retate di profughi da parte delle autorità libiche, l'orrore della detenzione in carceri terribili come Al-Braq, dove all'assistenza e al rispetto dei diritti umani sono sostituite brutalità e violenze, dove all'accoglienza sancita dalle leggi internazionali che tutelano i profughi sono sostituti pestaggi e stupri. Ai pochi che riescono, nonostante questo filtro di spietatezza e rifiuto, che trova le sue basi "giuridiche" negli accordi scellerati fra Italia e Libia, a salire su un barcone verso l'Europa, tocca un destino amaramente beffardo durante il "viaggio della speranza". In prossimità delle acque territoriali italiane, tale destino si concretizza nei respingimenti attuati dal nostro governo, azioni che violano gravemente la Convenzione di Ginevra e che non consentono all'Alto Commissario ONU per i Rifugiati di incontrare i profughi e ricevere da loro domanda di protezione internazionale. Anche nelle acque che dividono i drammi africani dalla speranza di ricominciare, almeno temporaneamente, in Europa, i migranti pagano un tributo pesante, in termini di vite umane. Dopo i lager libici, solo pochi migranti evitano la deportazione in patria, spesso verso la morte, e ottengono un permesso di soggiorno a orologeria: tre mesi in terra libica e poi nuovamente l'agonia nei centri di detenzione. Così un'umanità dolente -per sfuggire detenzione e deportazione - varca i confini dell'Egitto, dove incontra ancora la legge della violenza e del rifiuto: anche con la Repubblica Araba i governi europei - e in particolare l'Italia - hanno sottoscritto accordi xenofobi: denaro in cambio di repressione. Denaro in cambio di vite umani e innocenti. Allora, con il morale a terra, i migranti non vedono più che un orizzonte: Israele. E sperano che anche per loro lo Stato ebraico diventi una terra promessa, anche se sanno che nel migliore dei casi vivranno lì come fantasmi, senza permesso di soggiorno, senza diritti, perché Israele concede solo di rado asilo politico o protezione umanitaria. Ma almeno non attua sempre deportazioni indiscriminate di fronte a gravi casi umanitari. Yedioth Ahronoth sottolinea, però, come i flussi migratori verso Israele siano ormai fuori controllo e logisticamente insostenibili. Il deserto del Sinai è divenuto un imbuto verso cui confluiscono le masse disperate dei respinti, di coloro che si sono scontrati con le mura ciclopiche della Fortezza Europa. Tutta Israele parla oggi di questo problema. Cittadini e organizzazioni scrivono al quotidiano e al Gruppo EveryOne, chiedendo delucidazioni e informazioni, cercando una spiegazione al fenomeno per il quale un paese, l'Italia, abbia tracciato per primo una via oscura, sempre più lontana dalla Convenzione di Ginevra e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Da parte nostra, siamo consapevoli dell'importanza di questo momento: abbiamo rotto un muro di silenzio e aperto una piccola breccia nella dura pietra dell'intolleranza e della paura psicotica verso il rifugiato, un sentimento malato che i movimenti razzisti alimentano da anni, in Italia, affiancati da media irresponsabili e senza ideali umanitari. Un sentimento che è maturato come una malattia virale anche nelle forze che storicamente difendono i diritti civili. Intanto gli africani nelle mani di Abu Khaled stanno sempre peggio e coltivano ben poche speranze di recuperare la libertà. Chi può, paga il riscatto. Alcune famiglie di profughi hanno venduto la casa, per ottemperare alle richieste dei predoni e liberare i loro cari dal lager nel nord del Sinai. I migranti sono attualmente divisi in due gruppi: uno si trova a Rafah, detenuto all'interno di container metallici in un frutteto recintato (di cui tutti conoscono la posizione  e la natura, ma i cui cancelli nessuna autorità ha ancora varcato). L'altro è stato trasferito in località sconosciuta, forse nei Territori Palestinesi, grazie ai tunnel gestiti a Hamas, forse nel deserto del Sinai egiziano, anche se è improbabile che 100 migranti abbiano potuto sfilare per le vie di Rafah sotto gli occhi della polizia locale, nonostante collusioni e corruzione siano diffusi, a Rafah, e il traffico di esseri umani muova milioni di dollari ogni anno. Dei 250 profughi partiti dalla Libia, otto sono stati assassinati dai trafficanti (senza tener conto dei bimbi ancora nel grembo di alcune donne che erano incinte e sono state costrette ad abortire), 4 sono stati condotti in una clinica clandestina per alimentare il mercato nero dei reni. 24, secondo le testimonianze, sarebbero stati liberati dopo aver pagato un totale di 10.000 dollari a persona. Il Gruppo EveryOne, l'Agenzia Habeshia, Christian Solidarity Worldwide, le Associazioni NoirPink e Watching The Sky, il Sindacato Europeo dei Lavoratori e una rete di ong che cresce ogni giorno chiedono a un ritmo ormai quotidiano al governo egiziano di intervenire presso il frutteto-lager di Rafah, premono affinché le Nazioni Unite (con l'Alto Commissario Guterres e lo Special Rapporteur Tazaki)  utilizzino ogni strumento per liberare i rifugiati, rivolgono appelli all'Unione europea perché si appronti un piano di reinsediamento degli africani - una volta liberati - nei paesi membri dell'Unione. Dopo l'uscita del pezzo su Yedioth Ahronoth, anche i grandi network iniziano a contattarci e forse un'altra breccia sta per essere aperta sul muro dell'intolleranza e dell'indifferenza. Ma è necessario essere vigili e non far trascorrere giorno senza aver fatto nulla per la vita delle persone cadute in schiavitù nel nord del Sinai e di coloro che prima o poi si troveranno a camminare in quel deserto degli orrori, inseguendo una stella cometa quasi invisibile, verso il sogno di un posto dove vivere come esseri umani.

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