Giovedì, 18 aprile 2024 - ore 02.35

Senza agire la crisi climatica costerà al G20 oltre l’8% del Pil, Italia compresa

Non solo l’economia ma anche la salute è sempre più in bilico: oltre un quinto degli italiani sarà a rischio malaria entro trent’anni

| Scritto da Redazione
Senza agire la crisi climatica costerà al G20 oltre l’8% del Pil, Italia compresa

Senza un’azione urgente per ridurre le emissioni climalteranti, nello scenario peggiore i paesi del G20 pagheranno uno scotto – anche economico – gravissimo a causa della crisi climatica in corso, pari al doppio di quello inflitto dal Covid-19. Ogni anno, però.

Secondo l’analisi G20 climate risk atlas, pubblicata dalla Fondazione Cmcc in occasione del vertice in avvio a Roma, le perdite di Pil causate dai cambiamenti climatici potrebbero raggiungere il 4% all’anno entro il 2050, un valore che potrebbe poi superare l’8% entro il 2100 – praticamente il doppio delle perdite economiche da Covid-19 subite dai G20.

Per alcuni di questi paesi ci si aspetta che saranno colpiti in misura ancora maggiore, come il Canada, che potrebbe veder ridotto il proprio Pil di almeno il 4% entro il 2050 e di oltre il 13% (ovvero 133 miliardi di euro) entro il 2100.

Contenendo invece l’incremento della temperatura globale entro i 2°C, il costo di tali impatti per i Paesi membri del G20 potrebbe scendere allo 0,1% del Pil totale entro il 2050 e all’1,3% entro il 2100.

In questo contesto l’Italia, immersa in quell’hot spot della crisi climatica che è il Mediterraneo, si trova davanti a rischi particolarmente rilevanti. Nonostante il nostro Paese attualmente emetta “solo” lo 0,87% delle emissioni globali di gas serra – con emissioni di CO2 procapite comunque più alte del 20% rispetto alla media internazionale –, allargando la prospettiva storica risalendo fino al 1850 risulta il 19esimo più grande inquinatore del clima al mondo, e il conto da pagare è molto salato.

Ad esempio, secondo l’analisi del Cmcc, alla metà di questo secolo la temperatura media nel nostro Paese salirà tra i +1,5°C e i +2,4°C rispetto al trentennio di riferimento 1985-2014, dopo essere già salita di +2,4°C rispetto al 1880; allo stesso tempo aumenterà la probabilità sia di siccità gravi (6%, del 19,6% o del 23,6% in base alla criticità dei vari scenari emissivi) sia di alluvioni, con la popolazione esposta a quest’ultimo rischio data in crescita fino a 103mila persone alla metà del secolo.

In tutti i casi, è contemplato anche il ritorno di malattie come la malaria, che in Italia non si vede dagli anni ‘70: oltre il 20% della popolazione italiana sarà a rischio contagio, dato che il riscaldamento del clima favorirà i vettori come le zanzare.

Non va meglio sotto il profilo economico: se nel 2020 il Pil italiano è arretrato dell’8,9%%, il Cmcc stima che entro il 2050 – anche in uno scenario a basse emissioni – il Prodotto interno lordo nazionale diminuirà del 2,2% (pari 36 miliardi di euro l’anno), mentre in uno scenario ad alte emissioni le perdite economiche ammonteranno a 116 miliardi di euro l’anno (oltre l’8% del Pil) entro la fine del secolo.

«Siccità, ondate di calore, innalzamento del livello del mare, diminuzione delle scorte alimentari, minacce al settore turistico: questi risultati mostrano quanto gravemente i cambiamenti climatici colpiranno le più grandi economie del mondo, a meno che non si agisca ora», commenta la coordinatrice del rapporto Cmcc, Donatella Spano.

Di fatto non solo l’Italia, ma ogni Paese del G20 si conferma a rischio per gli impatti della crisi climatica in corso.

Più nel dettaglio, entro il 2050 le ondate di calore potrebbero durare almeno dieci volte più a lungo in tutti i paesi del gruppo dei 20, e oltre 60 volte più a lungo nel caso di Argentina, Brasile e Indonesia. In Europa, in uno scenario ad alte emissioni, i decessi legati ad eventi di calore estremo potrebbero aumentare da 2.700 all’anno fino a 90.000 all’anno entro il 2100.

I cambiamenti climatici influenzeranno anche la sicurezza alimentare: in India, il calo della produzione di riso e grano potrà provocare perdite economiche fino a 81 miliardi di euro entro il 2050, mentre a metà del secolo, la pesca in Indonesia potrebbe diminuire di un quinto, minando così i mezzi di sussistenza di parte della popolazione.

In un percorso ad alte emissioni, l’innalzamento del livello del mare potrebbe invece danneggiare le infrastrutture costiere nei prossimi 30 anni, comportando perdite di 404 miliardi di euro in Giappone; infine in Australia, gli incendi boschivi, le inondazioni costiere e gli uragani potrebbero aumentare i costi assicurativi e ridurre il valore delle proprietà di 611 miliardi di dollari australiani entro il 2050.

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