Il Committee on Oversight and Reform, presieduto dalla democratica Carolyn B. Maloney, e il Subcommittee on the Environment, presieduto dal democratico Ro Khanna, hanno convocato un’audizione per «Esaminare la lunga campagna industriale dell’industria dei combustibili fossili per diffondere disinformazione sulla ruolo dei combustibili fossili nel causare il riscaldamento globale» e hanno chiamato a testimoniare i CEO e i presidenti delle Big Oil: Darren Woods di ExxonMobil; Michael Wirth di Chevron; David Lawler di BP America; Gretchen Watkins di Shell Oil; Mike Sommers di American Petroleum Institute (API) e Suzanne Clark, presidente e CEO dell’U.S. Chamber of Commerce.
Le can mmissione e la subcommiussione del Congresso Usa hanno accusato l’industria dei combustibili fossili di aver «avuto prove scientifiche sui pericoli del cambiamento climatico almeno dal 1977. Eppure, per decenni, l’industria ha diffuso negazioni e dubbi sul danno dei suoi prodotti, minando la scienza e impedendo azioni significative sui cambiamenti climatici anche se la crisi climatica globale è diventata sempre più terribile e il suo impatto mortale sugli americani è aumentato».
Il 16 settembre la Maloney e Khanna avevano inviato lettere ai principali dirigenti delle companies dei combustibili fossili chiedendo «Documenti e comunicazioni relativi al ruolo della loro organizzazione nel sostenere la disinformazione e fuorviare l’opinione pubblica per prevenire azioni sulla crisi climatica». Ad oggi nessuna Big Oil aveva rispettato adeguatamente la richiesta.
Prima dell’udienza, la Maloney ha pubblicato un nuovo memo del suo staff che analizza i dati sulle attività di lobbying di ExxonMobil, Chevron, Shell, BP e API dai quali emerge che «Il sostegno pubblico dell’industria petrolifera alle riforme climatiche non è stato accompagnato da un’azione significativa per far avanzare questi risultati politici» e che «L’industria potrebbe utilizzare il sostegno alle riforme per rafforzare la sua immagine pubblica continuando a produrre e investire nei combustibili fossili, azioni che stanno peggiorando la crisi climatica».
La Maloney ha sottolineato che «Il memo dello staff di oggi mostra la campagna di Big Oil per fare greenwashing sul loro ruolo nella crisi climatica. Queste compagnie petrolifere sostengono a parole le riforme climatiche, ma dietro le quinte trascorrono molto più tempo a fare pressioni per preservare le loro redditizie agevolazioni fiscali».
A parole, tutte e 4 le compagnie petrolifere e l’API sostenc gono l’Accordo di Parigi e il carbon pricing, ma un’analisi sulle operazioni di lobbying federali realizzato dello staff della Commissione del Congresso dimostra che «Negli ultimi dieci anni hanno speso centinaia di milioni di dollari facendo lobbying per le priorità legislative, ma solo una piccola parte di quell’attività di lobbying era a sostegno dell’Accordo di Parigi o del carbon pricing».
L’analisi ha scoperto che «Dal 2011, Exxon, Chevron, Shell, BP e API hanno speso un totale di 452,6 milioni di dollari per fare pressioni sul governo federale. I quattro giganti petroliferi impiegavano in media circa 40 lobbisti all’anno e spendevano un totale di 374,7 milioni di dollari in lobby federali, mentre API impiegava una media di 48 lobbisti all’anno e spendeva 78 milioni di dollari. Quasi nessuna delle lobby di Big Oil sulla legislazione dal 2015 è stata dedicata all’Accordo di Parigi o alla legislazione correlata. Big Oil ha riportato 4.597 casi di lobbying legislativo in questo periodo, ma ha riportato solo 8 casi di lobbying sull’Accordo di Parigi e nessuno sulle leggi relative all’Accordo, un importo equivalente allo 0,17% del lobbismo legislativo totale di queste entità in quel periodo. Nell’ultimo decennio, meno dello 0,4% delle pressioni legislative di Big Oil riguardavano la legislazione sul carbon pricing. Le quattro compagnie petrolifere e API hanno pubblicamente accolto il carbon pricing come un modo per affrontare le emissioni di gas serra che guidano il cambiamento climatico, ma dal 2011 meno dello 0,4% delle loro attività di lobbying su una legislazione specifica riguardava la legislazione sul prezzo del carbonio. Le Big Oil hanno dedicato molti più sforzi alle pressioni per abbassare le tasse che all’Accordo di Parigi o alla legislazione sul carbon pricing. Dal 2011, queste entità hanno presentato 1.670 rapporti di lobbying, 938 dei quali – oltre il 56% – hanno mostrato attività di lobbying su questioni fiscali».
Il memo ha anche rilevato che «Le affermazioni pubbliche delle quattro compagnie petrolifere sui loro sforzi per ridurre le emissioni hanno spesso esagerato il significato delle loro azioni, nascondendo o minimizzando i loro continui investimenti nei combustibili fossili». Per esempio, tra il 2010 e il 2018, ExxonMobil ha investito solo lo 0,22% delle sue spese in conto capitale in progetti low-carbon. Nel 2018, la compagnia ha annunciato un piano di investimenti settennale da 210 miliardi di dollari che aumenterebbe la produzione di petrolio e gas e comporterebbe un aumento annuale delle emissioni di CO2 della compagnia del 17% entro il 2025. Tra il 2010 e il 2018, solo il 2,3% delle spese in conto capitale totali di BP è andato a investimenti low-carbon. Nel 2013 la compagniaaveva tranquillamente ceduto di tutte le sue attività di energia solare ed eolica. Chevron ha propagandato programmi di cattura del carbonio che a malapena intaccano le sue emissioni complessive. La compagnia ha affermato che questi investimenti ridurrebbero le sue emissioni di 5 milioni di tonnellate all’anno, ma non ha detto che questo equivarrebbe a una riduzione di appena lo 0,7% delle emissioni totali di carbonio di Chevron, che nel 2019 hanno raggiunto i 697 milioni di tonnellate. Nel 2020, le emissioni di Shell sono state quasi il doppio di quelle dell’intero Canada e la compagnia prevede di aumentare l’estrazione di gas naturale del 20%, sollevando domande sul suo “obiettivo” dichiarato di raggiungere la carbon neutrality.
All’udienza, la Maloney ha annunciato la sua intenzione di emettere mandati di comparizione a ExxonMobil, BP America, Chevron, Shell Oil, API e dell’U.S. Chamber of Commerce perché forniscano i documenti chiave che non hanno fornito fimnnora sulla campagna di disinformazione climatica dell’industria dei combustibili fossili.
In risposta alle domande della Maloney, i CEO delle Big Oil hanno ammesso che il cambiamento climatico è reale, che è causato dalle attività umane, che la combustione di combustibili fossili contribuisce al cambiamento climatico e che il cambiamento climatico rappresenta una minaccia esistenziale per il pianeta. La Maloney ha chiesto ai CEO dei combustibili fossili se volterebbero pagina rispetto al passato e se si impegnerebbero a «Non pendere più denaro direttamente o indirettamente per opporsi agli sforzi per ridurre le emissioni e affrontare i cambiamenti climatici». Diversi CEO si sono rifiutati di prendere l’impegno. Interrogato da Khanna, Woods della Exxon ha ammesso che le dichiarazioni fatte dal CEO della Exxon nel 2002 secondo le quali «La scienza non stabilisce il legame tra combustibili fossili e riscaldamento globale» sono scientificamente inesatte, ma poi ha rifiutato di scusarsi per la disinformazione diffusa a piene mani nel passato dalla sua multinazionale, anche se contraddiceva le opinioni espresse dagli scienziati Exxon nelle comunicazioni interne ai dirigenti dell’azienda. Khanna ha chiesto ai CEO se avrebbero fatto pressione sull’API per fermare la pubblicità contro i veicoli elettrici e a metano, che le compagnie affermano di sostenere. Sia Lawler di BP America che la Watkins di Shell si dsono rifiutati di farlo. Nessuno dei leade delle Big Oil ha accettato di uscire dall’API se il gruppo industriale continuerà a fare pubblicità e lobbying contro queste politiche.
La democratica Katie Porter ha chiesto alla CEO di Shell perché la multinazionale ha speso meno della metà del suo impegno di 6 miliardi di dollari per le energie rinnovabili tra il 2017 e il 2020 e la j ha accusata: «Questo è greenwashing. Shell sta cercando di ingannare le persone facendogli credere che stia affrontando la crisi climatica, ma quello che in realtà sta facendo è continuare a mettere soldi nei combustibili fossili».
Il democratico John Sarbanes ha chiesto ai leader delle Big Oli quante volte in cui hanno fatto pressioni per l’Accordo di Parigi e quante per i tagli alle imposte sulle società. Anche se la Wirth ha menzionato il sostegno di Chevron all’Accordo di Parigi per 9 volte nelle sue osservazioni di apertura, Sarbanes ha sottolineato che «Chevron non ha fatto pressioni per l’Accordo di Parigi una sola volta su 986 casi segnalati di lobbying legislativo. Al contrario, Chevron ha esercitato pressioni sulle imposte sulle società 144 volte».
Lo spettacolo dato dai capi delle Big Oil al Congresso Usa è stato tanto istruttib vo quanto umiliante e Mahyar Sorour, vicedirettrice legislativa di sierra Club ha commentato: «L’udienza ha reso più chiaro che mai che il Congresso deve dare la priorità all’eliminazione dei miliardi di dollari in sussidi finanziati dai contribuenti che l’industria dei combustibili fossili riceve attualmente. Big Oil ha passato decenni e speso decine di milioni di dollari a lavorare per ingannare l’opinione pubblica e per diffondere disinformazione sul contributo dei combustibili fossili al cambiamento climatico. Ora, di fronte all’evidenza inconfutabile che l’unico modo per evitare il peggio della crisi climatica è fermare immediatamente l’espansione della produzione di combustibili fossili, i dirigenti delle Big Oil stanno cercando di fare greenwahing delle loro attività e continuare a fuorviare il popolo americano sul loro ruolo in questa crisi. Apprezziamo i rappresentanti Maloney e Khanna per la loro leadership nel ritenere Big Oil responsabile all’udienza ed esortiamo i membri del Congresso a continuare a cercare le responsabilità, prima di tutto eliminando i sussidi che continuano a sostenere questa industria distruttiva».
Amanda Weaver, responsabile del progetto Climate Leadership di Greenpeace Usa, fa il punto: «Ecco quello che sappiamo, i combustibili fossili hanno portato alla crisi climatica: i CEO di Big Oil lo hanno ammesso durante l’audizione. Eppure si sono anche rifiutati di smettere di spendere soldi, opponendosi apertamente agli sforzi per ridurre le emissioni e affrontare il cambiamento climatico. La crisi climatica non è un futuro lontano. E’ qui ed è responsabile della crisi idrica in Arizona, delle ondate di caldo record nel nord-ovest del Pacifico e di tempeste mortali come l’uragano Ida. L’inquinamento atmosferico da combustibili fossili ha ucciso 8,7 milioni di persone nel mondo solo nel 2018. L’inquinamento causato dalle infrastrutture del gas naturale, inclusi gasdotti, siti di perforazione e impianti di lavorazione, ha aumentato il rischio di cancro per 1 milione di neri americani. Ha anche contribuito a 138.000 attacchi d’asma e 101.000 giorni di scuola persi per i bambini neri».
Poi la Weaver ha tirato in ballo i deputati dell’opposizione che sono stati particolarmente defilati durante l’audizione: «Se i repubblicani sostenuti dal petrolio vogliono fare di questo un argomento economico, allora parliamo di questo. I disastri causati dal clima sono costati all’economia globale 150 miliardi di dollari solo nel 2019. Tra il 2010 e il 2019, gli Stati Uniti hanno subito 119 disastri climatici che hanno causato danni ciascuno per 1 miliardo di dollari o più. E’ più del doppio rispetto al decennio precedente. I contribuenti americani attualmente pagano ogni anno fino a 15 miliardi di dollari in sussidi federali diretti all’industria dei combustibili fossili».
L’esponente di Greenpeace Usa conclude: «Per anni ci è stata offerta una falsa scelta: un’economia sana o persone e pianeta sani. Con i combustibili fossili non otteniamo nessuna della due cosee. Il più recente rapporto IPCC è chiarissimo: dobbiamo porre fine all’uso di combustibili fossili e passare immediatamente all’energia rinnovabile per avere qualche possibilità di evitare la catastrofe climatica».