Sabato, 27 aprile 2024 - ore 02.45

Ancora sangue in Palestina: gli appelli di pacifisti, chiese cristiane e Onu che Israele continua a ignorare

UNHCR: ''Gerusalemme Est rimane parte del territorio palestinese occupato, in cui si applica il diritto internazionale umanitario''

| Scritto da Redazione
Ancora sangue in Palestina: gli appelli di pacifisti, chiese cristiane e Onu che Israele continua a ignorare

Mentre nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e in Cisgiordania si continua a morire, Dall’Italia arriva l’appello “Facciamo pace a Gerusalemme” di Tavola della Pace, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” e Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace” dell’Università di Padova: «C’è solo un modo per mettere fine alle terribili violenze che stanno insanguinando Gerusalemme e la Terra Santa: riconoscere ai palestinesi la stessa dignità, la stessa libertà e gli stessi diritti che riconosciamo agli israeliani. Nessuna pace può essere edificata sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, l’arbitrio, gli abusi, la sopraffazione, l’umiliazione, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazioni di tutti i fondamentali diritti umani. Non basta invocare la fine delle violenze. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia. Rinnoviamo, ancora una volta, il nostro accorato appello a tutti i responsabili della politica nazionale, europea e internazionale perché intervengano energicamente per far rispettare il diritto internazionale dei diritti umani, la legalità internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite».

Ieri i Patriarchi ed i Capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme hanno espresso preoccupazione per i recenti sviluppi nella Gerusalemme Est occupata, in particolare nella Moschea di al-Aqsa, e hanno affermato che «Le azioni che cercano di minare la sicurezza dei fedeli e la dignità dei palestinesi minacciati di sfratto sono inaccettabili».

Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme si sono detti «Profondamente  preoccupati per i recenti eventi violenti nella Gerusalemme Est. Questi sviluppi, sia alla moschea di al-Aqsa che a Sheikh Jarrah, violano la santità del popolo di Gerusalemme e di Gerusalemme come Città della pace. Le azioni che minano la sicurezza dei fedeli e la dignità dei palestinesi vittime di sfratto sono inaccettabili. Il carattere speciale di Gerusalemme, Città Santa, con l’attuale status quo, obbliga tutte le parti a preservare la già delicata situazione nella città. La crescente tensione, sostenuta principalmente dai gruppi radicali di destra, mette in pericolo la già fragile realtà dentro ed intorno a Gerusalemme”, hanno detto i leader della chiesa. Chiediamo alla comunità internazionale e a tutte le persone di buona volontà di intervenire per porre fine a queste azioni provocatorie, nonché a continuare a pregare per la pace di Gerusalemme».

I Giovani palestinesi d’Italia spiegano cosa sta succedendo a Sheikh Jarrah: «Il 16 febbraio 2021 la corte distrettuale di Gerusalemme decide che sei famiglie palestinesi, i Kurd, i Jaouini, i Qaasem e gli Skafi, residenti a Sheikh Jarrah devono lasciare le proprie case entro il 2 maggio a favore dell’ingresso di coloni sionisti. La rivendicazione delle case e dei terreni a Sheikh Jarrah è antica. Nel 1956, 28 famiglie di profughi palestinesi, sfollati dalle città di Haifa e Yafa otto anni prima, si stabiliscono nell’area di Karm al-Jaouni a Sheikh Jarrah. La Giordania, che a quell’epoca amministrava la Cisgiordania, in accordo con l’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East, ndr) costruisce loro case a Sheikh Jarrah, in cambio essi dovevano rinunciare allo status di “rifugiato” e dopo tre anni di residenza lì, avrebbero ricevuto gli atti fondiari. Ma quando nel 1967 l’entità sionista occupa la Cisgiordania, i sionisti rivendicano quei terreni sui quali la Giordania ha costruito case, dicendo che sono dei loro avi che erano lì prima del 1948. Secondo una legge israeliana, difatti, gli israeliani possono rivendicare i terreni dei loro avi, cosa che non è assolutamente concessa ai palestinesi.Le famiglie palestinesi si sono appellate alla corte suprema israeliana e questa, il 6 maggio, avrebbe dovuto prendere una decisione al riguardo. Ma l’udienza è stata spostata al 10 maggio. Giorno in cui si festeggia il Jerusalem Day (occupazione di Gerusalemme). Fino a quel giorno, i pestaggi, le irruzioni nelle case dei palestinesi, le violenze dei coloni non cesseranno. I soldati li proteggono lanciando bombe sonore, proiettili rivestiti di gomma e la famosa “skunk water”, acqua chimica dall’odore insopportabile. Dal 2 maggio gli abitanti di Sheikh Jarrah sono come assediati da soldati e coloni, ma loro, resistono. Contro la pulizia etnica e contro l’espropriazione illegale delle loro case e delle loro vite».

Anche secondo il portavoce dell’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), Rupert Colville, «Gli sfratti di Sheikh Jarrah, se messi in atto, violerebbero gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale».

Come ha fatto anche il segretario generale dell’Onu António Guterres, Colville ha sottolineato che «Gerusalemme Est rimane parte del territorio palestinese occupato, in cui si applica il diritto internazionale umanitario».

Secondo un’indagine condotta dall’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), «almeno 218 famiglie palestinesi nella Gerusalemme Est occupata, comprese quelle di Silwan e Sheikh Jarrah, sono a rischio di sfratto». “Sfratti che normalmente vengono eseguiti direttamente da organizzazioni di coloni israeliani. L’OCHA ha avvertito che «Questo mette a rischio di sfollamento 970 persone, compresi 424 minorenni».

Colville  sottolinea che «La potenza occupante [Israele] non può confiscare la proprietà privata nel territorio occupato, e deve rispettare, a meno che non sia assolutamente impossibile, le leggi in vigore nel Paese [occupato]. Ciò significa che Israele non può imporre le proprie […] leggi nel territorio occupato, compresa Gerusalemme Est, per sfrattare i palestinesi dalle loro case. Il trasferimento di parti della popolazione civile di una potenza occupante nel territorio che occupa è vietato dal diritto internazionale umanitario e può costituire un crimine di guerra». Poi ha invitato Israele a «Sospendere immediatamente tutti gli sgomberi forzati, compresi quelli a Sheikh Jarrah, e a rispettare la libertà di espressione e di riunione, compresa quella di coloro che protestano contro gli sfratti».

Ma Israele ha sempre ignorato le raccomandazioni, gli appelli e addirittura le risoluzioni dell’Onu, non subendone mai  – a differenza di altri Paesi – le conseguenze e continuando a espandere gli insediamenti dei coloni in territorio palestinese. Questa volta persino gli Usa di Joe Biden j hanno condannato la violenza di esercito e polizia israeliana contro i civili palestinesi che ha scatenato quella che potrebbe trasformarsi in una nuova intifada che, intanto, ha già rafforzato il movimento islamista di Hamas e indebolito ancora di più la screditata Autorità Palestinese. Una situazione che sembra molto gradita alla destra israeliana guidata da Benjamin Netanyahu e dai coloni, che così possono trasformare una brutale occupazione di terre e case in uno scontro tra ebrei e musulmani.

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