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Arturo Ferraroni scultore, una vita da emigrante

| Scritto da Redazione
Arturo Ferraroni scultore, una vita da emigrante

Arturo Ferraroni scultore, (1875-1931),  noto a Cremona ma anche in Croazia
Una vita trascorsa da emigrante
Nella nostra città, alla fine dell’Ottocento, vi erano pochi scultori, dimostrazione infatti, che le prime opere collocate nel nostro cimitero si devono ad artisti provenienti da Roma, da Milano e da Viggiù.
 Gli addetti alla trasformazione del marmo, a quel tempo, erano dei comuni artigiani e si dedicavano soltanto a depositare lastre marmoree o a realizzare camini. Con il sorgere della sezione di plastica nell’Istituto Ala Ponzoni, meglio definita dai nostri anziani cremonesi Scuola d'Arte e Mestieri, voluta e finanziata dal marchese Sigismondo Filippo mediante un ricco lascito testamentario; gli artigiani del marmo si specializzarono e ben presto appresero la tecnica per scalpellare e incidere  il marmo, realizzando vari tipi di manufatti, sempre prodotti artigianalmente. Si sviluppò così la passione per la scultura.
Anche Arturo Ferraroni, nato in Cremona il 14 aprile 1875 da una famiglia di operai, ne trasse vantaggio, ma per mancanza di lavoro, dovette trasferirsi prima a Brescia, operando come operaio marmista, poi a Monza come manovale addetto a lavori di sbozzatura in una ditta specializzata nel settore lapideo, indi a Bergamo come modellatore dove  apprese a conoscere  bene la materia rendendola arrendevole sotto le sue mani.
Dotato di una incontenibile personalità creatrice,  in poco tempo raggiunse un’ottima manualità e acquisì un buon senso estetico per cui accettò il duro lavoro e la fatica del mestiere. Desiderava  diventare provetto scultore, per cui si iscrisse all’Accademia di Venezia e seguì i corsi dello scultore Antonio Dal Zotto, la cui scultura era legata soprattutto all'ambito celebrativo, commemorativo e sepolcrale.
Partecipò e vinse il concorso, nonostante vi avessero partecipato gli scultori più noti dell’Italia settentrionale, per scolpire il monumento alla famiglia Garria - Sossoni di Camerlata di Bergamo. Creò un complesso prettamente bistolfiano, attestazione della tecnica e dell’armonia espressiva che aveva raggiunto.
Nel 1897 emigrò a Spalato, svolgendo l’attività di progettista e scultore per il Lavoratorio Altari, Monumenti e Lapidi di Paul Bilinc. L’altare maggiore della chiesa di S. Dominic a Spalato, (1896-1900), costruito in muratura nel laboratorio di Bilin?, presenta le sue sculture eseguite su disegno di Emil Vecchietti e di sua figlia Regina.
Anche l’altare in marmo bianco della chiesa di San Francesco in Imotski, città situata nell'entroterra della Regione spalatino-dalmata ai piedi di una collina, è opera sua.
Rimase nella città croata fino al 1904, aiutando e trasmettendo la sua pratica scultorea al giovanissimo Ivan Mestrovic; la maggior parte delle sue sculture si trovano nella Galeria Metrovic e Metroviev Katelet in Spalato.  Addestrò pure  Toma Rosandic che divenne poi rettore dell’Accademia di Belgrado.
Si  spostò poi a Venezia, dove rimase fino al 1914.

Nel 1905 partecipò all’Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia con due opere: Il Capaneo in bronzo, potente figura di nudo maschile e l’Euridice, mirabile e vibrante nudo femminile, in marmo. L’Euridice fu esposta anche nel 1907 (vedasi il catalogo della Settima Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, IV ed., Venezia, 1907).
Il Capaneo fu poi esposto alla Prima Esposizione d’Arte Moderna del 1910 di Cremona, ottenendo come premio per la miglior scultura la medaglia d’oro; ora si trova nel nostro Museo, mentre non si hanno più notizie precise ove è ricollocata l’Euridice. Era stata acquistata dal Conte Nigra, Ministro Plenipotenziario di Sua Maestà il Re d'Italia, prima a Parigi dove rimase fino al 1876, poi a Vienna.
 Fra il 1905 e il 1923 lavorò saltuariamente a Pove del Grappa, a Vicenza, a Sappada, a Fiume, a Chioggia e a Padova, rimanendo sempre in contatto con i suoi vecchi amici.
I monumenti più noti, sparsi ovunque, sono: l’ultima Cena e tantissime formelle nella Chiesa di Santa Margherita in Borgata Granvilla di Sappada, la Proclamazione dell’Immacolata nella chiesa Campo S. Piero di Padova, la morte di S. Antonio da Padova in una chiesa di Vicenza, la Madonna del Grappa in Bagnoli di Padova, l’Altare con otto statue e tanti motivi decorativi nella chiesa di San Giacomo in Chioggia, poi paliotti d’altare, monumenti celebrativi, ma anche civili come la decorazione del mercato coperto di Fiume con la presenza del polipo che afferra il delfino.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale lo troviamo finalmente in Cremona e precisamente nel suo atelier in Piazza S. Angelo nella chiesa di San Vitale, chiusa al culto.
Fino alla fine dei suoi giorni scolpì diverse opere funerarie che ancor oggi valorizzano i vari comparti del Cimitero di Cremona e svelano la memoria del passato, suscitando forti emozioni.
Fra tutti spicca il monumento “L’Icaro Caduto”, dalla forma fluida, elegante che ne esalta il significato poetico, per la tomba Rossetti, il busto marmoreo in onore di Cadolini nella piazzetta del Comune  e la lapide con busto a Geremia Bonomelli, protettore degli operai emigranti.

Si spense il 31 maggio 1931, lasciando in eredità al figlio Piero, la prosecuzione delle finiture dei lavori che aveva in corso,  fra cui il monumento funebre nella cappella degli eredi Ala Ponzone Cimino, di stile puramente neoclassico, eseguito come da contratto concluso tra lo scultore e Paolina Ala Ponzone e Yonne del Celle stipulato fra il 1921 e il 1929 e la lapide con busto del Vescovo Bonomelli inaugurato il XX settembre MCMXXXI nel primo centenario dalla nascita nell’anno III della conciliazione, dimostrazione che il figlio Piero, pure scultore, era il custode fedele delle opere del padre. La lapide rimase sotto il portico del Comune per circa 10 anni, poi arrivò l’ordine al Comune di inviare in fonderia tutti i busti in bronzo per trarne materiale bellico. Così avvenne che il busto di Mons. Bonomelli, come pure la grande lapide con il busto al Re Umberto I, scultura di Annibale Monti, furono rimossi. I due busti furono inviati da un incaricato degli Ospizi Riuniti all’ing. Gabbioneta di Milano della Soc. Endirot per essere fusi. Solo nel 1953, in occasione del centenario della nascita di Mons. Geremia Bonomelli, la lapide fu ricollocata e l’epigrafe ricorda l'opera svolta da Mons. Bonomelli sia nel campo religioso che in quello sociale in difesa dei nostri emigranti.
Per fortuna, il figlio Piero aveva salvato il calco in gesso dal quale  si potè trarne una nuova copia in bronzo che fu pagata con le somme raccolte tramite una pubblica sottoscrizione voluta   dal prof. Mario Cattagni. La copia venne rifusa dalla fonderia artistica di Luigi Boccacci, sita allora in via Buoso da Dovara.

Luigi Boccacci era l’unico artigiano locale che conosceva le tecniche di fusione,  la lavorazione dei metalli, la rifinitura dei bronzi e perfetto conoscitore di quest’arte difficile per la quale occorreva bravura, esperienza e passione.  Fu, infatti, il primo che seppe dare impulso  all’arte fusoria non solo in Cremona ma anche in Lombardia.

Anna Filippicci Bonetti

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