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I limiti dello sviluppo 50 anni dopo, al tempo della guerra e del cambiamento climatico

Nature: ''Nel 1972 c'era ancora tempo per dibattere e meno sull’urgenza di agire. Ora, il mondo sta finendo il tempo''

| Scritto da Redazione
I limiti dello sviluppo 50 anni dopo, al tempo della guerra e del cambiamento climatico

Nel marzo del 1972, un rapporto commissionato dal Club di Roma, “The Limits to Growth– I limiti dello sviluppo”, scosse il mondo. Come ricorda il Club di Roma «Al momento della pubblicazione, The Limits to Growth  è stato il primo studio a esplorare i possibili impatti della crescente impronta ecologica della crescita della popolazione, delle attività umane e dei suoi impatti fisici sul nostro pianeta finito da una prospettiva sistemica. Gli autori hanno avvertito che se le tendenze di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’uso delle risorse e dell’inquinamento fossero continuate senza sosta, ad un certo punto nei prossimi cento anni, avremmo raggiunto, e quindi superato, la capacità di carico della Terra. Nell’ultimo mezzo secolo, i risultati di The Limits to Growth  si sono rivelati straordinariamente accurati. La popolazione e l’economia mondiale hanno continuato a crescere più o meno allo stesso ritmo dei decenni precedenti al 1970 e, di conseguenza, l’umanità si trova ora ad affrontare un’emergenza planetaria senza precedenti. La pubblicazione ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare la narrativa dello sviluppo sostenibile, allertando il mondo sui pericoli della crescita illimitata, dell’inquinamento ambientale e del consumo incontrollato delle risorse».

Presentando le iniziative per il cinquantenario de “I limiti dello sviluppo” la co-presidente del Club di Roma, l’attivista e scienziata sudafricana Mamphela Ramphele, ha detto che «Se la pandemia di Covid-19 ci ha insegnato qualcosa, è che siamo interconnessi e interdipendenti e parte di un’ampia rete di vita. Il benessere per alcuni è benessere per nessuno. La pandemia ha reso esplicito che noi come comunità globale dobbiamo trasformare radicalmente le nostre relazioni reciproche per garantire un pianeta sano. Il 50esimo anniversario di The Limits to Growth è un’opportunità per tutti noi di impegnarci a diventare migliori nell’essere buoni antenati».

E l’altre co-presidente del Club di Roma, Sandrine Dixson-Declève, presidente dell’Expert Group on Economic and Societal Impact of Research & Innovation (ESIR) della Commissione europea, aggiunge: «The Limits to Growth  è stato un campanello d’allarme, ma abbiamo premuto il pulsante snooze. Di conseguenza, ora ci troviamo di fronte alle più grandi sfide del nostro tempo, inclusi i cambiamenti climatici, una pandemia globale e un conflitto internazionale. La nostra missione deve essere quella di pensare in modo diverso, di applicare i nostri cervelli, i nostri cuori e le nostre anime per co-progettare il futuro alternativo che vogliamo. Dobbiamo introdurre le dinamiche dei sistemi, come hanno fatto gli autori di The Limits to Growth  50 anni fa, per catalizzare approcci sistemici ai complessi problemi che l’umanità deve affrontare, incorporati nei nostri sistemi economici, politici, naturali e sociali».

Discorsi saggi, ma che sembrano vuoti mentre in Ucraina, Yeman, Siria, Myanmar e in altri cento angoli dimenticati del mondo gli esseri umani proseguono in quello che è il più tragico superamento dei limiti dello sviluppo e dei limiti umani: la guerra. Una guerra che, premendo il pulsante sbagliato, potrebbe portare l’umanità a un’estinzione rapidissima e alla fine della civiltà umana e di qualsiasi sviluppo.

Come spiega Nature in un editoriale, «Cinquant’anni fa, in questo mese, il team del System Dynamics group del Massachusetts Institute of Technology lanciava un chiaro messaggio al mondo: la continua crescita economica e demografica avrebbe esaurito le risorse della Terra e avrebbe portato al collasso economico globale entro il 2070. Questa scoperta proveniva dai loro  libro di 200 pagine The Limits to Growth, uno dei primi studi di modellizzazione per prevedere gli impatti ambientali e sociali dell’industrializzazione. Per il suo tempo, quella era una previsione scioccante e non è andata bene. Nature definì  lo studio “un altro soffio del giorno del giudizio”. Era quasi un’eresia, anche nei circoli di ricerca, suggerire che alcune delle basi della civiltà industriale – l’estrazione del carbone, la produzione di acciaio, la trivellazione del  petrolio e l’irrorazione dei raccolti con fertilizzanti – potessero causare danni permanenti. I leader della ricerca accettavano il fatto che l’industria inquinasse l’aria e l’acqua, ma hanno considerato tale danno reversibile. Anche coloro che si  erano formati in un’era pre-informatica erano scettici nei confronti della modellazione e sostenevano che la tecnologia sarebbe venuta in soccorso del pianeta».

Lo scetticismo era così diffuso che la zoologa Solly Zuckerman, ex consigliere scientifico capo del governo del Regno Unito, dichiarò: «Qualunque cosa i computer possano dire sul futuro, non c’è nulla nel passato che dia credito all’idea che l’ingegnosità umana non possa aggirare nel tempo le difficoltà umane materiali».

L’ingenosità umana mal gestita ci ha portato a un mondo in guerra e che sta già superando i confini  – i limiti – planetari delle risorse. E quelle in atto sono guerre per le risorse sempre più scarse. L’ingegnosità umana ci ha portato al disastro climatico che l’ingegnosità umana potrebbe evitare ma del quale alla geopolitica impazzita e al business as usual che la ispira e se ne serve non  sembra importare più nulla.

Il Council Brief “Valuing Health for All: Rethinking and building a whole-of-society approach – The WHO Council on the Economics of Health for all”, pubblicato l’8 marzo dall’Organizzazione mondiale della sanità, afferma che «Se i politici non avessero un’ossessione patologica per il PIL, spenderebbero di più per rendere l’assistenza sanitaria alla portata di ogni cittadino». E gli autori dello studio, guidati dall’economista Mariana Mazzucato dell’University College London. Evidenziano che «La spesa sanitaria non contribuisce al PIL nello stesso modo in cui, ad esempio, la spesa militare». Ma il Parlamento italiano ha votato quasi all’unanimità – esclusi 14 coraggiosi deputati di Sinistra Italiana e Verdi/Ecologisti – per portare la spesa militare del nostro Paese al 2% mentre si riducono le spese per sanità e scuola cha al tempo che la pandemia era più importante della guerra i politici italiani giuravano che sarebbero state le loro priorità.

Nonostante tutto, l’editoriale di Nature resta ancora fiducioso nelle capacità della comunità scientifica di far comprendere ad economisti e politici quel che i Limiti dello sviluppo mostravano già 50 anni fa: «Dopotutto, Limits ha ispirato sia le comunità della crescita green che quelle post-crescita, ed entrambe sono state influenzate in modo simile dal primo studio sui confini planetari, che ha tentato di definire i limiti per i processi biofisici che determinano la capacità di autoregolazione della Terra. Le opportunità di cooperazione sono imminenti. Alla fine di gennaio, l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services ha annunciato un ampio studio sulle cause della perdita di biodiversità, compreso il ruolo dei sistemi economici».

Più di 100 autori provenienti da 40 Paesi ed esperti in campi diversi passeranno 2 anni a valutare la letteratura scientifica su questi temi e il copresidente dello studio, il politologo Arun Agrawal dell’università del Michigan – Ann Arbor, ha già annunciato che «Raccomanderanno un cambiamento trasformativo nei sistemi che ci portano alla catastrofe».

Nature conclude; «Un’altra opportunità è un’imminente revisione delle regole per ciò che viene misurato in PIL. Queste saranno concordate dai principali statistici dei Paesi e organizzati attraverso le Nazioni Unite e dovrebbero essere finalizzati nel 2025. Per la prima volta, gli statistici si chiedono come la sostenibilità e il benessere potrebbero essere più allineati al PIL  Sia i sostenitori della post-crescita che quelli della crescita green hanno prospettive preziose. La ricerca può essere territoriale: nuove comunità emergono a volte a causa di disaccordi nei diversi campi. Ma gli scienziati della crescita green e della post-crescita devono vedere il quadro più ampio. In questo momento, entrambi stanno articolando visioni diverse per i responsabili politici e c’è il rischio che questo ritarderà l’azione. Nel 1972 c’era ancora tempo per dibattere e meno sull’urgenza di agire. Ora, il mondo sta finendo il tempo».

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