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La dignità Araba di Adel Jabbar

| Scritto da Redazione
La dignità Araba di Adel Jabbar

In due interessantissimi articoli Adel Jabbar* riflette sulla situazione delle sollevazioni Arabe.
Appunti sulle Sollevazioni Arabe
14 gennaio 2011: E’ questa la data che segna la svolta tanto agognata dalle moltitudini dei paesi arabi in cui  il despota (al-taghiya) Ben Ali è fuggito. Il tiranno  che ha tenuto in ostaggio la Tunisia per ben 23 anni non c’è più. 
25 gennaio 2011: E’ stato il giorno in cui in Egitto la gioventù ha accolto l’invito del movimento giovanile 6 aprile a manifestare per porre fine al strapotere di un altro  dittatore arabo che ha fatto delle leggi di emergenza una sistematica prassi di governo trasformando l’intero paese di ben ottanta milioni di cittadini in una tenuta di famiglia.
Queste due date indicano una radicale rottura con decenni di stagnazione che rischiava di diventare un aspetto peculiare delle società arabe. Le proteste (al-tadhahurat) l’insurrezione (al-wathba), la sollevazione(l’intifada) e la rivoluzione (al-thawra) che stanno attraversando l’intera area araba, dalla Mauritania fino allo Yemen, evidenziano il desidero di una primavera di rinascimento (nahdha), delle popolazioni e la volontà di riscatto oltre che  di rinnovamento (tajdid). Questi accadimenti avvengono dopo un lunghissimo periodo caratterizzato da infinite angherie, repressioni, persecuzioni, impoverimento generale dell’intera società ad eccezione di una  ristretta cerchia di familiari e di cortigiani. Sono stati anni di arretramento politico e socioculturale,  di pesanti sconfitte sul piano della politica estera e della perdita di sovranità. L’intero mondo arabo, in effetti,  si è ritrovato, di nuovo, a subire dei condizionamenti che rimandano alla memoria l’epoca coloniale.
Grazie ai movimenti giovanili milioni di abitanti dell’area araba, cominciano in questi giorni a scorgere la fine del tunnel e a intravedere la luce di un nuovo e necessario risveglio (sahawa).
Gli avvenimenti che stanno scuotendo  le società arabe e travolgendo i vari vassalli e satrapi dimostrano: 1) che le popolazione hanno superato  la paura che li ha paralizzati per decenni e, di fatto hanno trovato la forza di  sconfiggere la cultura dell’intimidazione e del terrore  che i tiranni  hanno usato e usano  come unico modo per governare. 2) che  le élite,   spesso  secolari,  non  sono altro che combriccole familistiche di stampo mafioso. 3) che i poteri dell’occidente democratico hanno sostenuto regimi corrotti e violenti mettendo in primo piano i propri interessi materiali dimenticando del tutto la cultura dei diritti umani, della quale fanno uso, non di rado, in termini meramente strumentali. 4) Una  maturità e una  consapevolezza politica delle fasci giovanili smarcata da riferimenti ideologici novecenteschi. 5) che  ci sono larghi settori che assumono la nonviolenza e la disobbedienza civile come prassi per rivendicare i propri diritti e  la propria dignità, quindi, smentendo e confutando il luogo comune che vuole che le società arabe siano  imbevute  di violenza e di fanatismo religioso. Insomma appiattendo  l’immagine degli arabi sulla figura di Ben Laden e di al-Qa‘aida. 6) l’assenza di retorica anti occidentale – non sono stati presi di mira ne interessi ne persone ne simboli occidentali – e il sapere parlare un linguaggio transculturale in grado di comunicare in  mondo di differenze e di molteplicità, ad esempio le parole di ordine sono: dignità, libertà e giustizia.

In molti  si chiedono quali saranno le conseguenze di queste sollevazioni. Tento sommariamente di indicare due plausibili cambiamenti,  uno di natura interna e l’altro di natura esterna. Relativamente alla realtà interna, a mio parere, si avvierà un corso politico caratterizzato  dal riconoscimento di soggetti politici diversi che tenderanno a posizionarsi in un primo momento nel nuovo scenario creatosi e in un secondo momento competeranno per l’acquisizione del consenso popolare  tramite le urne. In questo panorama le varie e variegate visioni di stampo islamico giocheranno certamente  un ruolo significativo, tuttavia a mio parere non si tratterà di un ruolo totalizzante e egemonico, a differenza di quello che sostengono alcuni analisti. Anche se qualche formazione islamica occuperà una posizione determinante nei nuovi assetti sarà comunque molto vicina all’esperienza dell’attuale compagine turca democratico-islamica e quindi avrà delle similitudini con  alcune delle esperienze democratiche cristiane in Europa. Riguardo al secondo aspetto, cioè quello esterno, i cambiamenti  che avverranno saranno, a mio avviso, più lenti e si svilupperanno con una certa cautela. Uno di cambiamenti prevedibili riguarderà un ripensamento delle relazioni interarabe in funzione di una maggiore collaborazione al fine di ripristinare un qualche ruolo sulla scena mondiale e acquisire un peso politico rispetto alcuni temi caldi e sensibili come per esempio la questione del popolo palestinese, la situazione della Somalia e i rapporti con l’Iran. In oltre si cercherà di smarcarsi da alcune scelte della politica statunitense e di trovare una voce autonoma, senza doversi appiattire su scelte già decisa a Washington com’è avvenuto negli ultimi decenni (per esempio la partecipazione alla guerra contro l’Iraq, l’appoggio alla guerra contro l’Afganistan e l’adesione ad un eventuale attacco contro l’Iran).
Quello che è certo e lo dimostrano gli accadimenti in atto, è che le genti arabe hanno già conquistato un ruolo determinante nell’agenda politica sia nazionale che internazionale, avendo oggi una perfetta consapevolezza del proprio ruolo, dei propri diritti e della propria dignità.

*Sociologo e saggista.
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La dignità Araba di Adel Jabbar*

Quello che sta succedendo nel mondo arabo e in particolare in Tunisia e in Egitto, come in Yemen, Giordania, in Algeria, sta a dimostrare che è terminato un periodo nel quale quasi tutti i paesi arabi hanno convissuto con la paura. Hanno convissuto con la repressione, spesso feroce, con sistemi assolutamente  autoritari, dittatoriali, dispotici, con una componente di corruzione molto evidente, con dei regimi che hanno escluso per anni buona parte  della popolazione dalla partecipazione alla vita pubblica e politica, non solo impaurendo ma anche impoverendo. In conseguenza di tutto questo le manifestazioni di oggi sono caratterizzate da due elementi: da una parte la rivendicazione della libertà e dall'altra parte la richiesta di giustizia sociale e soprattutto la richiesta di dignità.
 Dopo la caduta del muro di Berlino nell''89 il mondo arabo è rimasto fuori da qualsiasi dialettica di cambiamento; le manifestazioni di oggi dimostrano che il clima di paura e di terrore è terminato e siamo di fronte all'avvio di un nuovo processo. Quali saranno le fasi, i traguardi, le interpretazioni della vita pubblica è tutto da vedere, ma intanto queste manifestazioni danno un segnale molto preciso: le popolazioni dei paesi arabi non sono più disposte a sopportare né le condizioni economiche né le condizioni politiche in cui vivevano da anni.
 Vorrei  utilizzare un’immagine per esplicitare meglio   le condizione in cui si sono trovati questi popoli, ossia quella di un triangolo, che ha funzionato in tutti questi anni come un recinto di repressione e  di dispotismo assoluto. Un triangolo composto, per un lato, dall'ondata di un certo integralismo religioso che era privo di una progettualità e chiarezza, di una reale interpretazione dei bisogni e delle esigenze delle popolazioni; per un altro lato dai sistemi di governi secolari, dispostici, familistici e spesso corrotti; come terzo lato infine l'ingerenza di potenze straniere che hanno sorretto i  regimi,  un appoggio che certamente ha giocato un ruolo determinante nel favorire per lunghi decenni l’operato di combriccole autoritarie e violente. Le  potenze straniere che hanno sostenuto questi regimi spesso sono rimaste in silenzio rispetto alle violazioni di diritti elementari delle popolazioni.
Oggi tutti questi elementi che hanno sorretto i regimi dell'area si trovano in crisi di fronte a quello che è avvenuto, ai movimenti di base che si sono ribellati alla loro condizione. Sia nel caso egiziano sia in quello tunisino i partiti detti di opposizione ufficile- ma  un'opposizione spesso meno che decorativa- sono stati scavalcati, ma anche la stessa opposizione, quella reale, quella che ha vissuto per decenni in una situazione di repressione quasi totale, è stata scavalcata da queste forze popolari che ora stanno rivendicando - pagando anche un alto prezzo- un accesso alla partecipazione politica e un nuovo ruolo dello stato come garante delle esigenze di larga parte della popolazione.
 Quel triangolo su cui si basavano questi regimi è ora in frantumi: sia i regimi, sia gli stessi  movimenti  integralisti, sia le potenze straniere si trovano in forte difficoltà di fronte agli avvenimenti attuali. C'é da dire che questi movimenti non nascono dal nulla, non nascono come mera sollevazione spontanea per rivendicare il pane; stiamo parlando di popoli che hanno una storia millenaria, hanno una coscienza e un senso di sé come tanti altri popoli nel mondo, soprattutto hanno una storia di lotta di liberazione dal giogo del potere colonialista. In alcuni periodi le popolazioni si sono mosse in termini di rivolta, di ribellioni, anche se, essendo popolazioni disarmate senza aiuti esterni, spesso sono state represse nel sangue. Molti degli attivisti sono stati torturati, incarcerati, esiliati, però attualmente sembra che la paura e la repressione non siano sufficienti per arginare questo flusso “rivoluzionario” di rivendicazioni che chiedono la fine di regimi impopolari, della corruzione, del marciume, per ottenere giustizia sociale, libertà e dignità, evidenziando una consapevolezza politica  molto matura.
 
Ritengo elementi determinanti la mancanza di libertà e l'insicurezza dei cittadini. Il sentirsi perseguitati (perfino in casa propria) come persona umana, ha avuto un peso notevole e importante. Ricordiamoci inoltre che, se negli anni '60 e ' 70 questi stati hanno avuto un percorso economico che ha  garantito una redistribuzione del reddito e la creazione di un minimo di Welfare, oggi questo è venuto meno, molte proprietà dello stato sono state privatizzate, anzi in molti casi accaparrate, “familizzate” dai parenti di chi gestiva il potere, che agli occhi della gente è strapotere assoluto.

In regimi così repressivi non ci sono neppure luoghi dove la gente può ritrovarsi; spesso non ci sono né spazi né riferimenti per le organizzazioni della società civile. Per questo strumenti come Twitter, facebook, cellulari, sms sono diventati sussidi per scambiare informazioni, per far sapere cosa sta accadendo nei vari luoghi, nelle varie situazioni. Oggi le connessioni sul piano telematico sono fortissime, sono connessioni che accorciano le distanze, anche popolazioni lontani dai luoghi del potere sono in grado di connettersi, accedere alle informazioni, acquisire conoscenze.
Da decenni assistiamo anche all'evolversi di una società civile mondiale dove avviene uno scambio di linguaggi, di temi come la giustizia, la libertà. Negli ultimi decenni questi processi sono divenuti più celeri. La televisione Al Jazeera ad esempio è diventata un luogo virtuale dove le persone possono partecipare, riconoscersi in una serie di contenitori culturali e politici, dove avvengono continuamente svolto  dibattiti su temi sensibili, delicati in cui vengono presentati punti di vista completamente diversi.  Nel caso di quello che è avvenuto in Tunisia, di fatto, da metà dicembre AJ è stata censurata nel momento in cui il regime ha capito l'importanza delle capacità di questa televisione di seguire le rivolte nei diversi luoghi del Paese, il luogo dove i tunisini si informano sui loro accadimenti e sulle manifestazioni di sostegno delle altre popolazioni arabe. Durante una trasmissione un cittadino tunisino  intervistato ha detto che il 70% di quello che è avvenuto, il successo della rivolta è stato reso  possibile grazie ad AJ, ma non perché AJ fomentava o sosteneva, ma perché documentava, faceva vedere quello che avveniva, mentre la televisione di stato nascondeva tutto.
Le date del 14 ed 25 gennaio 2011  saranno incise nella profondità dell'immaginario delle genti arabe. Popolazioni che da lunghi anni sono in attesa di riscatto per scrollarsi di dosso un orribile cumulo di fallimenti e di sconfitte sui tutti piani e  specialmente il perpetuarsi delle sofferenze dei palestinesi e la drammatica situazione delI’Iraq.
Questa rivoluzione è nata dal basso, senza alcun sostegno esterno, a differenza  delle “rivoluzioni a colori” sostenute da potenze straniere. Sono manifestazioni  non funzionali a nessun progetto di potenza grande, media o piccola, sono manifestazioni di disobbedienza civile, disarmate, quindi non violente e questo confuta il fatto che da anni si va sostenendo in Europa, che la società musulmana si identifica con la violenza. La seconda questione è che con queste manifestazioni  non ci si muove per questioni religiose, per difendere chissà quale astratta sacralità, ma per difendere la  dignità di quei cittadini. Sono manifestazioni povere, non hanno neanche molti striscioni, sono manifestazioni dove si scrivono cartelli a mano, dove le parole d'ordine sono la libertà, la dignità, la democrazia, no al dispotismo (Istibdad),  no alla corruzione (Fasad). La forza di queste manifestazioni è che sono  sostenute da esponenti dei ceti medi, dagli operai , dai contadini, dalle  donne, dagli  uomini, dagli anziani e dai  giovani. Sono movimenti popolari, non particolarmente ideologicizzati.
Questi movimenti non nascono, come si dice in Europa nel gergo politico, perché ci sono delle avanguardie che fomentano, che guidano. Le avanguardie se ci saranno nasceranno da questi movimenti, verranno fuori le persone che hanno partecipato effettivamente. Non è da trascurare la presenza di realtà politiche con un certo radicamento, perché queste manifestazioni non nascono dal nulla, ci sono state in passato  mobilitazioni, rivolte e rivendicazioni che rappresentano dei riferimenti significativi per gli attivisti di oggi.
Oltre alle forze politiche a favore di un radicale cambiamento ci sono dei gruppi che hanno molti legami con  vecchie e nuove potenze coloniali, ci sono personaggi che possono riciclarsi, possono rivendicare un linguaggio liberale, possono fare delle aperture di un certo tipo, molto moderate, con aggiustamenti di facciata, ma stanno attendendo l'occasione per inserirsi nel gioco e controllarne gli effetti. Certo che le potenze esterne proveranno a trovare delle strategie per impedire, far abortire, stroncare, nei migliori dei casi, trovare un compromesso per aggiustamenti timidamente liberali sul piano politico e sul piano economico. Ma non credo che siano sufficienti per dare risposte a esigenze di società dove circa il 60% della  popolazione è giovane, con livelli di istruzione molto alti, aspettative molto alte, diverse dai loro genitori. Si ha a che fare con una nuova fascia della popolazione molto estesa che si sente totalmente esclusa, per cui gli  aggiustamenti di facciata non potranno reggere a lungo, ma ci sarà bisogno di riforme radicali sul piano sia politico che economico, perché la gente è stanca di vivere in condizioni inaccettabili e di accettare il servilismo come ricetta per accedere a un nuovo progresso.

* Sociologo e saggista.

 

  

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