Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 16.32

No, non siamo in guerra con la cultura russa

| Scritto da Redazione
No, non siamo in guerra con la cultura russa

La guerra scatenata dal Cremlino contro l’Ucraina è un dramma, un orrore, una violenza ingiustificata e l’Europa ha risposto, unita, alla minaccia di Mosca. Anche il nostro paese, pur con qualche iniziale reticenza, ha riconosciuto nell’aggressione russa un pericolo per la sicurezza e la libertà di tutti, non solo del popolo ucraino. C’è un conflitto che ci oppone alla Russia. Ma non siamo in guerra con la cultura russa.

Non siamo in guerra con Gogol’, con Pasternak, con Ivan Bunin o Turgenev, e nemmeno con Ivan Kireevskij e Aleksej Chomjakov siamo guerra. E con Dostoevskij, neanche con Dostoevskij siamo in guerra. La cultura russa non è un nemico e la lingua russa non è la lingua del nemico. Русская кулÑŒÑ‚ÑƒÑ€а – не вÑ€аг Русский язÑ‹к – это не язÑ‹к вÑ€ага.

La demonizzazione del nemico, la volontà di cancellarlo e privarlo di qualsiasi caratteristica umana, è uno dei primi esiti di una guerra. Un esito naturale, persino comprensibile, se il nemico lancia bombe sulla tua casa e uccide i tuoi cari. Ma qui nessuno corre simili rischi. La Russia è in mano a un autocrate, a un guerrafondaio, a un uomo senza scrupoli. A cosa serva accanirsi contro scrittori morti e intellettuali vivi, quando non implicati con il regime, rimane poco chiaro e non si spiega se non con la volontà di negare al nemico qualsiasi dignità morale. Se il nemico è una bestia, è più facile dire che è giusto combatterlo. Le ragioni per combattere Putin tuttavia non mancano e non c’è bisogno di ricorrere alla degradazione di un intero popolo e di un’intera cultura.

Alexander Gronsky è un fotografo russo, è stato arrestato per aver manifestato contro la guerra, era stato invitato a Reggio Emilia per l’annuale Festival della Fotografia ma l’invito è stato annullato. Perché è russo. Paolo Nori è uno scrittore e traduttore dal russo, autore di “Sanguina ancora” (Mondadori 2021) sulla vita di Fëdor Dostoevskij, autore oggetto di una serie di lezioni gratuite e aperte previste all’Università Bicocca di Milano. Lezioni che non ci saranno, cancellate. Perché è un autore russo. “Per evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna, in un periodo di forte tensione” ha spiegato l’università prima di scegliere una repentina marcia indietro a fronte delle numerose critiche ricevute. Ma il dato è tratto, e quello toccato a Dostoevskij è un esempio dello strabismo con cui, in questo paese, si interviene nelle grandi questioni: per anni abbiamo avuto politici che andavano in giro la maglietta di Putin, giornalisti pronti a fare da grancassa alla retorica del Cremlino, e adesso iniziamo una caccia alle streghe contro la cultura russa?

La cultura russa non appartiene a Putin, censurare la lingua, la letteratura e cultura russa non ci rende migliori del nemico che pretendiamo di combattere. In un momento come questo leggere Dostoevskij è ancora più necessario in quanto autore profondamente anti-europeo, espressione di quel sentimento di alterità che nella cultura russa si manifesta periodicamente, e che il putinismo ha abilmente strumentalizzato. Negare l’autocrazia come sistema politico significa in primo luogo difendere il diritto di critica, che è cosa diversa dal consentire la disinformazione delle reti di propaganda del Cremlino. Avere paura di Dostoevskij è avere paura di una cultura, della sua prospettiva verso il mondo, e verso di noi. Non dobbiamo avere paura di Dostoevskij, non è lui ad avere il dito sul bottone dell’arma nucleare.

(Matteo Zola via East Journal cc by nc nd)

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