Per comprendere la collera divampata dopo la decisione dell´agenzia di rating Standard & Poor´s di declassare il debito pubblico Italiano, si devono tener presenti due concetti all'apparenza simili, ma che di fatto non lo sono. Il primo è che l´Italia non è più il Paese stabile e affidabile di un tempo. Il secondo è che la stessa S&P ha minore credibilità, ed è l'ultimo degli istituti ai quali rivolgersi per ottenere un parere sulle prospettive della nostra nazione.
Iniziamo proprio dalla mancanza di credibilità di S&P: se mai esistesse un'unica parola per descrivere al meglio il provvedimento dell´agenzia di rating di declassare l´Italia sarebbe "chutzpah", sfacciataggine, esemplificata al meglio dal caso del giovanotto che uccide i suoi genitori per poi appellarsi alla clemenza altrui perché è orfano.
L´enorme deficit di bilancio dell´Italia è prima di ogni altra cosa il prodotto della recessione economica che si è aggiunta alla crisi finanziaria e fondi tossici del 2008. Con le sue consorelle - le altre agenzie di rating - S&P ha rivestito un ruolo determinante nell´innescare tale crisi, assegnando un rating AAA ad asset garantiti da mutui ipotecari rivelatisi in seguito tossica spazzatura.
Ma le sue valutazioni errate non si fermano qui. È notorio che S&P dette un rating A a Lehman Brothers - il cui fallimento innescò il panico a livello globale - fino al mese stesso del suo tracollo. E come reagì l'agenzia di rating quando fallì questa società alla quale aveva assegnato il rating AA?
In particolare è che S&P’s, come Moody’s e altre agenzie è di proprietà di gruppi di conservatori del Partito Repubblicano che direttamente o indirettamente gestiscono fondi di investimento e che proteggono Wall Street (il padrone di S&P, McGrawHill ha una piccola parte dedicata al credito, ma ha tra gli azionisti BlacRock, prima società di investimento al mondo e Hataway, di proprietà di Warren Buffet) e che sono ferrei conservatori del Partito Repubblicano. Altri gruppi hanno azionisti simili. Ovvero, i controllori danno i voti ai pacchetti azionari detenuti e piazzati dai loro proprietari.
Sergio Denti
