Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 08.18

Philadelphia. Pennsylvania. Terra grata.|M.Cazzaniga

| Scritto da Redazione
Philadelphia. Pennsylvania. Terra grata.|M.Cazzaniga

Philadelphia. Pennsylvania. Terra grata.|M.Cazzaniga
Una immagine ancora nella testa. Non se ne vuole andare. Una carrozzina spinta da una madre, durante l’ultima festa di Punto a Capo, per formare il trenino con musica. Indimenticabile brand.

Il volo e’ stato leggero. Galleggio nell’aria dopo essermi perso nel labirinto di Heathrow. All’arrivo all’aeroporto di Philadelphia il vuoto. Nessuno ad aspettarmi. Brutta sensazione. Risolta con  un “Maurizio” pronunciato all’americana  “Morisio” con un sorriso smagliante e sconosciuto, after 42 minutes.

La casa dove vivo e’ sobria. Forse troppo. Cucina. Nessuna stoviglia. Frigo. Un letto. Tre sedie. Armadio a muro. Bagno con sapone liquido. Lenzuola e due asciugamani. Teneramente in frigo una vaschetta con pezzi di pizza pane uva letteralmente congelati.

Il giorno seguente subito in pista. Ormai sono abituato. Faticoso ma necessario. Numero di telefono americano,  alimenti basici, ricerca di un mezzo di trasporto o informazioni sui trasporti pubblici, orientamento con mappe, ricerca di internet o wi-fi, localizzazione bar e ristoranti a portata di pancia, eventuali edicole con giornali leggibili. Compro il mancante. Camminare, guardarsi attorno. Cercare di capire le famose cinque W: who what where why when. Tirare in lungo la giornata per fregare il jet lag e mangiare adeguandosi ai cicli di  sole e luna.

Prima sera: alternativo piccolo teatro jazz incontrato casualmente. Sax a manetta. Trombe veloci. Corpi avvitati agli strumenti e con movenze fisiche ispirate dal sound. Mix di suoni e voci. Prevalenza quasi totale di persone di pelle nera. Clienti che si improvvisano cantanti. Una donna simil Whitney con altalene di toni da brividi. E un altro caso pietoso di attempata pseudo intellettuale con ugola canina.

La notte passa dormiente ma alle sette di mattina ho voglia di una pasta. Freno. Vado in uno Starbucks, ormai disseminati nella globalizzazione. Caffelatte con croissant gigante. A pranzo con Marziale, originario della Calabria e uomo di fiducia di Filitalia, provo la specialita’ di Philadelphia: cheesesteak. Ovvero una bistecca tagliuzzata su una piastra a velocita’ impressionante da un semi indiano con paletta affilata che ad un certo punto della cottura copre il tutto con sottilette di formaggio. Una bella mescolata, due panini aperti e dentro il tutto. Buono.

Sono qui per Filitalia, Associazione di italo americani di Philadelphia, il cui fondatore e’ Pasquale Nestico, medico cardiologo e eminenza grigia, con laurea in ingegneria e in medicina. Cercano con impegno di tenere uniti gli italiani che sono immigrati in nome dell’italianita’ e del motto “umilta’ onesta’ giustizia”, valori che condivido con qualche dubbio sull’umilta’. Ma il discorso sarebbe lungo.

http://www.filitaliainternational.com/

Fondata nel 1987 Filitalia vive di molte iniziative, tra le quali le lezioni di italiano. Vi partecipo. Livello buono dell’insegnante. Possibili miglioramenti nella didattica. Differenze marcate nel livello degli alunni. La Sede e’ nella parte South Philadelphia  in Passyunk Street, una via che  mi piace molto, quartiere di immigrazione famiglia cuore prosciutto pasta espresso. Riaffermazione di identita’. Nostalgia. Ovviamente pizza con sudamericani al forno, anche a legna. Vado dal barbiere, segnalatomi, of course. Stanzone lucido con poltrone anni sessanta, specchi, pulito. Una bionda signora d’antan mi lava i capelli. Il taglio e’ di Raffaello, settantenne arzillo. Vero nome scritto su una pergamena premio attaccata al muro: Arnaldo. Si’, il nome persecutorio che lui afferma di odiare da sempre. Non solo lui. My dear marinonese Arnaldo. lol

Mercoledi’ riunione della commissione lingua e cultura. Veloce e concludente. Incontro un ragazzo che si chiama Pio, in onore a Padre Pio. E un Mazzoleni che non puo’ essere che originario di Lecco. Vado al Seven Eleven aperto 24 su 24. Non so ancora adesso cosa ho poi mangiato: rotolini di pasta fritta con all’interno della carne di vacca, o magari dinosauro. Il tempo e’ magnifico. Cielo azzurro. Macchine nuove. Gente dalla pelle diversa  in un misto multirazziale interessante. Povero Senatur, ta se propi pirla. Ul mund l’e’ insci’ adess.

Vado a Williamstown, paesino senza centro identita’ riferimenti, a 2 ore di bus da Philly, vezzeggiativo della citta’ che mi ospita. I bus pubblici sono la mia passione. Vedo facce vestiti popolo. Tutti i giovani hanno gli auricolari. Passo da Camden, luogo tra i piu’ pericolosi degli States per violenza tra gangs. Abbandono. Case incerte. Saracinesche abbassate e semi distrutte. Arrivo: Sandy, presidente del Chapter di Filitalia mi aspetta a bordo strada. Bocce pasta salame. Palleggio alla Maradona, ue’ sono ancora bravo!!. Parlo di “Altrove” e mi capiscono. Alla sera Sandy e Donna mi riportano a Broad Street dove abito. All’improvviso il ponte illuminato con il downtown. Magnifico skyline.

Mattina presto prendo la metro, destinazione finale New York. Fisso insistentemente la cartina delle fermate. Ma non mi rendo conto che seduto proprio sotto c’e’ un nero dalla faccia incazzosa. Ad un certo punto mi sento dire: “ What do u want, man“. Nothing, I’ m looking for a Locust Station”. E tra le molte parole masticate sento qualche fucking sparso. Incoscientemente, guardando io  in quella direzione, ha pensato che ce l’avessi con lui. Ma se seduto ci fosse stato un bianco si sarebbe comportato allo stesso modo? Per fortuna scende, altrimenti ci sarebbe stato bisogno di Charles Bronson nel Giustiziere, non della Notte, ma della Mattina.

Due ore e 20 dollari in Megabus e sono a NYC, con un compagno di viaggio coetaneo che mi parla per tutto il tragitto in buon inglese. Mi disegna cartine per il mio prossimo viaggio a Washington. Mi chiede se sono appassionato di giardini fiori farfalle, ah la butterfly, e mi parla del Diamante Blu in un museo a Washington. Blue Diamond?  Yes, al Smithsonian Natural History Museum. Lo vedro’ prima della Casa Bianca, of course. La purezza blu. Il mio colore preferito, in uno dei punti del mio esagono. Mi affascina.

New York. Unica. Irripetibile. Caotica. Manhattan: un ristorante a cielo aperto. Dormo vicino al Madison Square Garden e Times Square in un hotel centrale e  costoso; New York e’ New York, guys. Apple shop, I-Pad. Central Park, concerto di Alicia Keys - Stevie Wonder per la Global Citizen, come Volontario, si’, sembra impossibile, ma l’amico Fabio, con la FIFA come me in Sudafrica, mi introduce nello staff. Mangio nel ristorante Olio e Piu’ dove lavora e passiamo la giornata assieme. Eataly, 5th Avenue, qualita’ dello stivale. Graund Zero, le grandi vasche e i nomi dei deceduti l’11 settembre 2001. Commozione. Il Caffe’ Reggio, dove nel 1981 ho preso un espresso con Lorena Giuliano Paolo e Renato nel mitico primo travel to USA. Aria cosmopolita, luci. La Statua della Liberta’ all’orizzonte in una mattina scheggiata dal sole. Il Ponte di Brooklin. My God, wonderful.

Ritornare a Philadelphia e’ come tornare a Cabiate dopo essere stati en la  Piaza del Dom de Milan. Piu’ tranquilla.

Ma la novita’ e’ la bicicletta. Benny, che incontro nella Sede di Filitalia perche’ lavora come carpentiere nella impresa edile del figlio di Nestico, me la presta. E cosi’ inizio il girovagare per Philly. Il mercato all’aperto, molto italo-sudamericano. La statua di Penn, fondatore della citta’, issata in alto al City Hall ( Municipio). Costeggio, singing in the sun e con una temperatura primaverile, il fiume Shuylkill e vedo dall’esterno il Philadelphia Museum of Art, famoso per un film mai visto perche’ non mi piaceva il personaggio, Rocky – Stallone

Alla fine della giornata 20 km. Non male, misurati con il braccialetto Fitbit, cult ora negli States. Per recuperare le calorie perdute, anche queste misurate, mangio a un tipico ristorante americano una pietanza americana ( carne di vacca e suino macinata, con una buona salsa e pure’) suggeritami da Antonio Colavita, medico che abita da anni a Philadelphia e che trovo d’istinto amico. La bellezza delle menti italiane non possono avere paragoni; il Rinascimento l’abbiamo avuto noi e continua con queste persone che non possono che inorgoglirci.

Armeggio per aprire scatolette, buste di plastica, astucci. Discover America. Inondato, per una perdita da una tubatura nella strada, il seminterrato della Sede di Filitalia. Tre giorni e tutto ok. La temperatura e’ sempre primaverile. Le foglie sono verdi tendenti al poco giallo. Al Bar Italia vedo le partite della Juventus e bevo caffe’ dal sapore di caffe’ insieme a italiani, tutti del sud, che parlano un inglese comprensibile. La canzone di Domenico Modugno, bellissima, mi torna alla mente. Amara terra mia. Struggente. La vedo nelle loro mani incallite, che hanno creduto e avuto speranza nel dream USA.  E nei loro occhi, che hanno visto l’oceano.
Hanno trovato una terra grata.

http://www.youtube.com/watch?v=GLYcgQUv7GM

Per ora vi abbraccio.

See you soon.

Maurizio Cazzaniga

2013-10-12

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