“Tamoil fin dall'autodenuncia del 2001 sapeva d'inquinare e qual'era l'area del sito più impattato, ma non predispone alcun intervento di contenimento o di bonifica”. “Tamoil fa sempre quello che vuole, quando vuole, come vuole. Ha operato con dolo, malafede, prendendo in giro gli Enti”.
Queste affermazioni non sono mie e nemmeno di qualche avvocato di parte civile. Le ha pronunciate il pm Fabio Saponara nel corso della sua requisitoria nei confronti dei 5 manager Tamoil, accusati di avvelenamento delle acque.
Alla luce delle risultanze processuali si può quindi ben dire che Tamoil, prima ancora di avvelenare l'acqua, ha avvelenato la verità. Ma all'occultamento della verità hanno contribuito anche i soggetti istituzionali preposti. Nonostante dal 2001 al 2007 si tengono tavoli di lavoro e conferenze di servizio tra Tamoil-Arpa-enti locali non emerge nulla di preoccupante, anche se le analisi su terreni e falda, dentro e fuori la raffineria, vengono svolte. Tutti hanno la bocca cucita. E i cittadini, espropriati del diritto di cononoscere, non hanno ovviamente niente da dire.
Ora che la ricerca della verità è iniziata e troverà una prima, parziale verifica con l'esito del procedimento giudiziario in corso, è tempo che la comunità cremonese e chi oggi la rappresenta rialzino la testa per rivendicare i giusti risarcimenti per l'enorme danno ambientale arrecato ad una delle più belle aree verdi della città e per la gravissima lesione del diritto della comunità di vivere in un ambiente salubre, ma anche per i danni all'identità storica, sociale, culturale costituzionalmente protetta, al diritto soggettivo all'immagine e allo sviluppo turistico ed economico della città provocato dal disastro ambientale dovuto all'avvelenamento delle acque ed all'inquinamento cagionato dalla Tamoil.
Cremona, 26.6.2014
Sergio Ravelli
