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Alcuni cenni storici del comune di Cingia del Botti

Cingia de' Botti, comune della provincia di Cremona, sorge lungo la napoleonica strada Giuseppina (SP 87) che collega Cremona a Casalmaggiore, all'incirca a pari distanza tra i due centri, in una zona agricola della pianura lombarda a sinistra del Po. Il comune conta attualmente 1229 abitanti e comprende la frazione di Pieve Gurata, Vidiceto, Gurata, Ca' de' Corti, Casaletto di sotto.

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Il nome deriva probabilmente dal latino cingula (=cintura, qui nel significato di striscia sottile di terra), mentre la seconda parte del toponimo rimanda, come per molti borghi vicini, al nome di un casato, nella fattispecie quello dei Botti (D. OLIVIERI, Dizionario di toponomastica lombarda, Milano 1961, p. 177; P. BOSELLI, Dizionario di toponomastica bergamasca e cremonese, Firenze 1990, p. 103).

"Cingla" è la denominazione attribuita alla località dal primo documento che ne fa esplicita menzione, risalente all' XI secolo. Si tratta di un atto del 23 Marzo 1013, con il quale Lanfranco di Scandolara e i suoi figli donavano al vescovo di Cremona Landolfo terre e beni situati «in plebe sancti Petri in locis Cingle [...], non longe a castro Videxeto» (L. ASTEGIANO, Codice diplomatico cremonese, vol. I, Torino 1898, p. 51, doc. 20). Il documento nomina, come facente parte del territorio di Cingia, le località di Pieve Gurata e di Vidiceto, i due principali nuclei che formano l'attuale comune di Cingia de' Botti e le cui vicende si intrecciano alla sua storia e ne costituiscono parte integrante. Dei tre insediamenti, Vidiceto e Pieve Gurata vantano più antiche origini.

Se Vidiceto è di probabile origine romana, come pare suggerire il toponimo (da vitex = vetrice o anche salice, albero di cui era diffusa in particolare una specie, dai virgulti molto flessibili, usata per legare le viti, coltivate fino al secolo scorso, oltre che per cerchiare le botti ed intrecciare cesti), una tradizione, non documentata, fa risalire la fondazione di Pieve Gurata all'anno 876 (F. ROBOLOTTI, Cremona e sua provincia, Milano 1859, p. 550). Il primo documento, tuttavia, che ne attesta l'esistenza è un atto, datato Piacenza 1° Luglio 1009, con il quale la monaca Berlinda, vedova di Adalberto, e i suoi figli vendevano al diacono Donnnino di Borgo San Donnino terreni ed edifici posti in Vidiceto (dove è menzionato un castello cinto da un fossato), presso la chiesa di San Pietro (di Pieve Guarata) e in altri luoghi vicini (E. FALCONI, Le carte cremonesi dei secoli VIII-XII, vol. I, Cremona 1979, pp. 304-308, docc. 113-114; ASTEGIANO, I, p. 45, doc. 10, con data 1° Giugno). Questi medesimi beni passarono, con successivi atti di vendita stipulati nel 1012, dal diacono Donnino ad Azzone ed Ugo, figli di Oberto Pallavicino, e alla contessa Adele, moglie di Azzone; quindi furono da costoro donati, in quello stesso anno, al vescovo di Cremona Landolfo (FALCONI, I, pp.320-321, docc. 119, 120, 122, 123).

Grazie ad ulteriori donazioni, come quella già ricordata di Lanfranco di Scandolara a favore del vescovo Landolfo nel 1013, o quella di un certo Martino «de loco Videxeto» a favore del vescovo Ubaldo nel 1034 (FALCONI, I, pp. 419-421, doc. 161), la Chiesa cremonese ampliava le sue proprietà e rafforzava la sua presenza nel territorio.

Nel clima turbolento che accompagnò, nella prima metà del XII secolo, la nascita ed il consolidarsi, a Cremona, dell'autonomia comunale, il potere politico del vescovo subì un duro colpo ed anche la sua autorità sulle pievi rurali conobbe una fase di declino. Così, di fronte al pericolo di sopprusi e di vessazioni favorito dalla situzione di incertezza e di instabilità politica, Pieve Gurata fece ricorso, nel 1116, all' imperatore Enrico V, invocandone la protezione. Questi, con un proclama del 29 Maggio 1116, Confermato dal successore Lotario III nel 1136, concedeva, senza fare accenno alle prerogative vescovili, la propria protezione alla chiesa di San Pietro, a tutti i suoi beni e all'intera comunità (FALCONI, vol. II, Cremona 1984, pp. 97-98, doc. 267).

Sempre al XII secolo risale la costruzione della torre campanaria, eretta, come attesta un'iscrizione sul lato esterno meridionale, nel 1164, a fianco dell'antica chiesa. Mentre la chiesa attuale, radicalmente rimaneggiata, conserva ben poche tracce della costruizione originaria (ricostruibile attraverso gli atti della visita del vescovo Speciano nel 1599, conservati nell'Archivio storico diocesano di Cremona), la torre, se si eccettua l'aggiunta della cuspide, ha mantenuto inalterata la sua struttura e rappresenta oggi uno dei più antichi esempi di arte gotica nella diocesi di Cremona. La sua sagoma agile e severa e il rosso vivo del cotto si stagliano sul verde e sulle basse costruzioni che costeggiano la via Giuseppina all'imbocco del paese, per chi la percorre in direzione di Casalmaggiore, così da assumere quasi l'evidenza di un emblema.

Pieve Gurata divenne ben presto una delle più importanti della zona. All'epoca del vescovo Sicardo, essa confinava con la plebania di Pieve S. Maurizio e con quella di S. Stefano di Casalmaggiore e si spingeva fino al Po, come risulta dalla delimitazione dei confini compiuta dal medesimo vescovo nel 1213 (doc. conservato nella Biblioteca di Hall-Wuttemberg, collezione Morbio, e, in copia, nell'Archivio parrocchiale di Cingia de' Botti). A metà Cinquecento il suo terriotrio contava 2820 pertiche, per lo più a campi e vigne (I. N. JACOPETTI, Il territorio agrario forestale di Cremona nel catasto di Carlo V. 1551-1561, Cremona 1984, p. 105). Retta da un arciprete, la chiesa di S. Pietro era una collegiata, formata cioè da un collegio di sacerdoti che conducevano vita comune, godendo delle prebende della pieve. All'epoca della visita del vescovo Speciano (1599) nella collegiata di Pieve Gurata erano costituiti tre benefici canonicali, oltre quello di cui era titolare l'arciprete.

Un importante ruolo ricoprì la Pieve anche in quanto la sede di vicariato foraneo fungendo, come tale, da strumento di raccardo tra il vescovo e le parrocchie della diocesi e da polo aggregativo della vita religiosa. Nelle Costituzioni del secondo sinodo del vescovo Speciano (1603), Pieve Gurata figurava come uno dei 23 vicariati foranei della diocesi cremonese (Synodus cremonensis secunda sub Caesare Speciano episcopo, Cremonae 1604, p. 200).

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Quanto alle vicende politiche,Pieve Gurata seguì le sorti di Cremona che, dilacerata dalle lotte con le potenze vicine e da aspri conflitti interni, vide l'avvicendarsi di brevi signorie locali e del domino dei duchi di Milano (i Visconti e gli Sforza), dei Veneziani, di nuovo degli Sforza, quindi, dal 1535 al 1712, degli Spagnoli e d infine degli Austriaci. La stessa sorte condivisero Cingia de' Botti e Vidiceto. Di quest'ultimo si ricorda il particolare sostegno accordato al partito guelfo, rappresentato dalla famiglia degli Amati che, agli inizi del '400, era proprietaria del castello, dove trovò rifugio, nel 1416, Cabrino Fondulo, inseguito dalle milizie del duca di Milano Filippo Maria Visconti .

Non mancarono famiglie cospicue che, in vario modo, illustrarono la storia di queste comunità. Innanzitutto quella dei Botti, il cui nome venne ad aggiungersi al toponimo Cingia in un periodo compreso tra la fine del '200 e la metà del '400. Infatti, mentre ancora nel 1298 la località èm denominat «cengla» (ASTEGIANO, I. p. 395, doc. 1156), il nome «Cingla de Bottis» compare per la prima volta nel 1453, in un documento del 25 Agosto attestante la vendita alla Carità di S. Michele di una pezza di terra situata in quel territorio (Archivio di Stato di Cremona, Istituto elemosiniere, cass. 778, fasc. 10). In questi stessi anni è documentata la presenza di nuclei della famiglia Botti nella zona di Cingia, come si ricava da un contratto di locazione stipulato il 16 Novembre 1467 dalla Carità di S. Michele vecchio di tutti i possessi di questo luogo pio nella zona di Cingia de' Botti, di Casaletto (= Casaletto di sotto) e dintorni a favore dei fratelli Alariolo e Cristoforo Botti (Archivio di Stato di Cremona, Istituto elemosiniere, cass. 778, fasc. 20). Sempre all'epoca sforzesca è databile una petizione rivolta al duca di Milano da alcuni abitanti di Pieve Gurata per ottenere la nomina ad arciprete della chiesa di S. Pietro di un sacerdote a loro gradito. Tra i firmatari spiccano, numerosi, i Botti, evidentemente una delle famiglie più rappresentative della zona (Archivio di Stato di Milano, fondo Comuni, cart.37).

Anche se non esercitarono diritti feudali, nè ricoprirono cariche politiche, nè si distinsero per l'entità delle proprietà terriere, i Botti occuopaano un posto di rilievo, come si evince dai registri parrocchiali che ne documentano la presenza ragguardevole sia per il numero dei componenti, sia per la fitta rete di relazioni e di parentele che li legava alla comunità (Archivio parrocchiale di Cingia de' Botti, registri dei battesimi e dei matrimoni a partire dal 1564, egistro dei morti a partire dal 1658, stati d'anime a partire dal 1686). Mentre il periodo di maggior fortuna della famiglia Botti si colloca tra il XV e il XVII secolo, il Settecento assiste ormai al suo declino. Tra fine Seicento e prima metà del Settecento i Botti figurano in atti di compravendita e di permuta di appezzamenti di scarsa entità (Archivio parr. di Cingia de' Botti); nel catasto teresiano all'unico membro della famiglia compare come proprietario, Giovanni Battista, è attribuito il possesso si sole 22 tavole (Archivio di Stato di Cremona). Nel 1895, secondo una testimonianza locale, la casa già dei Botti, attigua al municipio di Cingia de' Botti, di proprietà dei Sigg. Cè, veniva acquistata dall'arciprete Ettore Albini per ospitarvi delle religiose preposte all'Oratorio femminile (C. BRUNELLI, Cenni storici della parrocchia di Pieve Gurata - Cingia de' Botti dalla sua origine, Cremona 1952, p. 37).

Quanto alle origini, non è improbabile che i Botti di Cingia costituissero un ramo periferico della nobile famiglia cremonese dei Botta/Botti, che contò tra i suoi membri decurioni e personalità illustri, come Leonardo (1431-1513), consigliere degli Sforza ed ambasciatore ducale presso i Veneziani (voce di Dizionario biografico degli italiani, vol. XIII, pp. 374-379). Pur non essendosi rinvenute testimonianze di un legame tra i Botti di Cingia e il nobile casato cremonese, non si può escluderne l'esistenza, considerata la dispersione documentaria: sia le carte dell'Archivio Botta confluite nell'Archivio di Stato di Cremona, sia quelle del fondo Famiglie dell'Archivio di Stato di Milano (cart.28) non riportano documenti anteriori al XV secolo, benchè le origini della famiglia risalgono almeno all'XI secolo (V. LANCETTI, Biografia cremonese, vol. II, Milano 1820, pp. 513-526); lo stesso dicasi della letteratura araldico-nobiliare. Lo stemma dei Botta/i è d'azzurro con una fascia scaccata di argento e di rosso e tre stelle d'oro a otto raggi; al capo è caricato di un'aquila nera coronata (Archivio di Stato di Cremona, fondo Albertoni, b. 86 e Raccolta araldica Sommi Picenardi, vol. I, f. 50). Un'altra famiglia nobile, quella cremonese dei Grandi, ebbe un posto rilevante nella storia di Cingia de' Bottie, particolarmente, di Pieve Gurata. A tale famiglia appartennero tre arcipreti che, consecutivamente, dal 1667 al 1736, ressero la plebania di S. Pietro. Soprattutto il secondo, don Giulio Grandi, nei 38 anni di governo della Pieve (1680-1718), lasciò durevole traccia di sè, istituendo legati e dotando la chiesa di pregevoli opere ed arredi. I Grandi possedevano fondi e case nel territorio di Cingia de' Botti, tanto che nel catasto teresiano figuravano come i principali proprietari, seguiti dai conti Offredi e dai conti Tinti.

A quest'epoca Cingia de' Botti era ormai il borgo più popoloso rispetto ai centri vicini e questa sua preminenza veniva sancita, a livello amministrativo, nel 1757 con l'aggrgazione di Pieve Gurata (Archivio di Stato di Cremona, Pieve Gurata. Allegati catasto 1722, cart. 17) nel 1868 con l'accorpamento di Vidiceto e di Ca' de' Corti nell'unico comune di Cingia de' Botti (regio decreto 24 Maggio 1868). A Cingia, dove l'ampiezza del territorio e la prevalenza della piccola e media proprietà favorivano l'insediamento della popolazione e delle attività produttiva, si era spostato ormai l'asse della vita economica e sociale. Di qui l'esigenza di sostituire alla chiesa di S. Pietro, troppo angusta e decentrata, una nuova parrocchiale, eretta nel cuore del centro abitato e consacrata, sotto il titolo dei SS. Apostoli Pietro e Giovanni, nel 1906.

Fonte: Comune di Cingia dé Botti 

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