«Aprite le porte e concedete alla mia gente i visti per emigrare e andarsene da questo Paese orribile». La stragrande maggioranza dei 120000 cristiani rifugiati nel Kurdistan iracheno vogliono andarsene dall’inferno che si sono lasciati alle spalle con l’avanzata dello Stato islamico, che li ha cacciati dalle loro case a Mosul e nella piana di Ninive. La chiesa caldea di Sant’Elia si trova ad Ainkawa, il sobborgo cristiano di Erbil, la capitale della regione autonoma dei curdi, dove si è riversata una fiumana di profughi cristiani. Nell’ampio giardino, in mezzo alle case, padre Douglas Bazi organizza come può la tendopoli, che ospita 522 anime. Hana Petros è scappata da Karakosh, a piedi, in mezzo ai combattimenti fra i peshmerga curdi e i tagliagole dello Stato islamico. Ci fa vedere la tenda dove vivono in sette, compresi i bambini che dormono sui letti a castello. «Vorrei tanto tornare a casa nostra, ma se non sarà possibile accoglieteci voi». sussurra a denti stretti con un piccolo crocefisso di legno in mano. «In Iraq, per noi cristiani, non c’è speranza». I cristiani in fuga vivono nel centro commerciale in costruzione di Ainkawa, dove gli “alloggi” sono dei loculi con teloni azzurri al posto del soffitto. Il girone dantesco assomiglia molto ai miseri campi per i profughi istriani, che fuggivano dalle foibe di Tito alla fine della seconda guerra mondiale. Nel centro commerciale sono stipati 1650 rifugiati: nel loculo A 203, quattro metri per quattro, sopravvive la famiglia di Cristina Khader Ebada, una bimba di tre anni. Il padre, cieco, si fa il segno della croce quando entriamo. La madre Aida è disperata: «Sono arrivati a Karakosh urlando che i cristiani dovevano andarsene. Il 22 agosto ci hanno caricato su degli autobus. Prima siamo stati derubati e poi un uomo vestito di nero, lo sguardo da diavolo e i capelli bianchi, si è preso la mia bambina, senza spiegazioni. Non l’ho più vista e non so dove sia». La chiesa di San Giuseppe è il quartier generale del vescovo caldeo di Mosul, Amil Nuna, costretto alla fuga con i suoi fedeli. «L’Occidente ci ha dimenticati», denuncia il prelato, che parla italiano. «Abbiamo bisogno di case per l’inverno, ma il progetto di 5000 abitazioni presentato all’Unione europea è rimasto lettera morta».
Cristiani in Iraq, il ‘prete in trincea’ Douglas Bazi: ‘Europei, svegliatevi!’
La maggioranza dei 120000 cristiani fuggiti nel Kurdistan iracheno vuole andarsene. Esorta padre Douglas Bazi: «I vostri fratelli cristiani in Iraq stanno morendo»
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