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Da Gramsci a Bergoglio RAR

Nell’ultimo ventennio trascorso venne ripreso con vigore l’anticomunismo, come unico argomento per istillare un timore sopito e dare un contenuto alla mancanza di ideologie positive. La storia moderna dell’Italia è stata scandita dal riproporsi di “ventenni”, sempre nefasti per la nazione ma produttive per i pochi al potere. Dal ventennio fascista, dopo

| Scritto da Redazione
Da Gramsci a  Bergoglio   RAR

Il decennio liberal-democratico che servì a ricostruire la nazione dal precedente ventennio fascista, arrivò tumultuosamente il ventennio di Craxi, che si identificò per la dilatazione abnorme del debito pubblico, vanamente contrastato da “mani pulite”.

Scomparso dalla scena politica Craxi ne raccolse l’eredità Berlusconi, per un altro lungo e disastrato ventennio nel quale l’anticomunismo fu la sola proposta politica, come se un’antica maledizione avesse potuto far risorgere, novella Araba Fenice”, il comunismo marxista dalle sue ceneri.

Negli ultimi due ventenni lo sfondo internazionale esibiva una “guerra fredda” tra le due maggiori potenze del pianeta. Per soddisfare la sua smania di “grandezza” fu Berlusconi ad affermare pubblicamente di essere stato, lui e lui solo, l’artefice della fine della guerra fredda, affermazione spavalda che fece sorridere tutti gli storici della politica; dichiarò trattarsi di un successo personale materializzatosi a Pratica di Mare, per il quale, con la modestia che lo ha sempre distinto (!), si riteneva meritevole del Premio Nobel per la Pace. Anche il ventennio berlusconiano è giunto al capolinea, relegando l’inventore al ruolo di “spalla senza battute”, di un bulletto padano che si illude di poter incarnare il ventennio che inizia.

Ma un  chiarimento risulta doveroso, proprio a proposito della guerra fredda e della sua interruzione.

Fu nel 1962 che scoppiò la crisi di Cuba, quando il mondo ebbe a sfiorare la guerra nucleare se i due leader non avessero preso la decisione di fidarsi l’un l’altro, anche contro il parere dei rispettivi consiglieri politici.

Fu un gesto coraggioso, da ambo le parti, ma viene da porre una serie di quesiti:

-Da dove trassero ispirazione, Kennedy e Krusciov, per una decisione tanto coraggiosa ?

-Quale influenza ebbe Giovanni XXIII e il suo messaggio di pace e di rinnovamento codificato nell’enciclica “Pacem in Terris ?

-E quali legami possiamo rintracciare tra quella decisione di pace e il successivo assassinio di Kennedy?

In momenti cruciali, critici,  una singola persona può fare la differenza, ma non senza accettare di farsi carico delle conseguenze delle proprie scelte, che per Kennedy furono letali.

In quei due ultimi ventenni ci furono personaggi che seppero gestire il ruolo di chi è chiamato a “fare la differenza”, ma si sono eclissati perché incapaci di adattarsi alla logica consolidata del “Bene Proprio”, alla faccia del Bene Comune. Uno di questi uomini fu, indubbiamente, Giovanni Battista Montini, divenuto pontefice con il nome di Paolo VI.

Fin dagli ultimi giorni da cardinale di Milano e fin dai primissimi giorni del pontificato, la visione economicistica, ormai consolidata, valse a Paolo VI l’appellativo di “Papa Comunista”.

Quando si ignora lo spessore morale delle persone, è,  ormai, consuetudine elargire loro l’appellativo “comunista”, nel tentativo di esorcizzare le accuse rivolte al capitalismo egoista, scaturito da un liberismo che ha travolto anche il termine “liberale”, al quale dice di ispirarsi.

Berlusconi ha cavalcato l’anticomunismo convinto di essere in groppa ad una nobile destriero, ma non si è accorto di montare un somaro vecchio, stanco, riottoso, recalcitrante; in molti hanno cercato di spingerlo avanti (sempre per interesse della propria bottega, come dimostrano le fughe attuali dal carro del perdente), pretendendo anche dal somaro il “passo dell’oca”, ma somaro rimane e il cavaliere che lo monta diventa un cavallerizzo dei fine-settimana in un modesto agriturismo.

Il punto fermo di distinzione tra marxismo e cattolicesimo sociale è sancito nelle Populorum Progressio di Paolo VI: una enciclica che si è voluto, oggi, reinterpretare e, non potendo, si è cercato di dimenticare.

In quest’ultimo ventennio targato Berlusconi, l’anticomunismo ha ripreso vigore (dialettico) alla ricerca di dare un contenuto alla mancanza totale di ideologie, diventò, così, sempre più difficile sperare in una rilettura della PP per trarne ispirazioni programmatiche. Non avendo assolutamente nulla da offrire, in termini di contenuti ideologici e concettuali, si è supplito con la ripresa delle ammuffite tematiche anticomuniste, ritornando alle apocalittiche affermazioni di “bollitura” dei bambini nei regimi comunisti cinesi.

Altro che meriti reconditi per aver posto fine alla guerra fredda !

Fu un ritorno alla guerra fredda quello che si  cercò di riproporre, ma senza un avversario che contrasti e da contrastare; non fu più una partita a due, ma, molto più miseramente, un solitario  giocato davanti ad attoniti spettatori con la pretesa anche di barare; non c’è nulla di più stupido e di più inconsistente che barare al solitario; Berlusconi è stato l’emblema principe del baro.

L’Enciclica Populorum Progressio di Paolo VI,  non entrò ( e non entra, stante la sua attualità) in discussione con il marxismo, rappresentò (e ancora oggi rappresenta), invece, una esposizione positiva della dottrina cattolica più avanzata nelle tematiche sociali, in aderenza ai tempi, in questo modo ha risposto alle istanze puntualizzate dal marxismo, di cui superava le soluzioni, intuendo, con grande lucidità, che la dottrina sociale marxista aveva fatto il suo tempo e non avrebbe più avuto ragione di porsi come alternativa.

Alla luce del materialismo storico la dottrina sociale marxista ha sostenuto che la proprietà privata dei mezzi di produzione era la causa dell’esistenza delle classi antagoniste e la ragione profonda di tutti i mali sociali.

Il progresso tecnico, cominciando con il passaggio dagli strumenti di pietra a quelli di metallo fino a giungere alla raffinata tecnologia moderna, con la creazione del “plus prodotto” ha reso possibile la sua appropriazione da parte degli uni con l’esclusione degli altri, in modo massiccio ed esclusivo, tant’è che  nella nostra Italia il 15% della popolazione possiede ben oltre il 60% dell’intera ricchezza nazionale

E’ questo l’amaro frutto dello sfruttamento, che ha generato le classi antagoniste diventate da una parte la classe degli sfruttatori avente come fine l’accumulazione del capitale mediante l’appropriazione del ’plus-valore’, cioè di quella parte del lavoro che non viene restituita all’operaio sotto forma di salario e dall’altra quella degli sfruttati, diventata il ventre molle della nazione, perennemente sotto il ricatto della precarietà del posto di lavoro.

Non c’era nulla di sconcertante nelle parole di Paolo VI o di rivoluzionario, si trattò di un concetto assimilabile all’esigenza di riconoscere a tutti parità di diritti, perché il ’plus-valore’, di cui si appropria il capitalista, è un extra a quanto legittimamente gli spetta per l’attività che svolge.

Secondo il marxismo questo stato di cose dipende dalla natura stessa di un regime fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, oggi rappresentato dal capitalismo.

L’interesse della classe sfruttata, al contrario, è l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, delle classi e della società divisa in classi.

Dai fondatori agli autori marxisti si è voluto dimostrare l’esistenza dello sfruttamento a tutti i livelli, individuale, sia tra privati, sia tra diverse nazioni; il linguaggio usato insisteva sul capitale, sul capitalista, sul capitalismo, sul colonialismo e, quindi, sull’imperialismo, che si sostiene con il militarismo e con il ricorso alla forza.

 

Il confronto tra gli interessi opposti delle classi antagoniste è lo scontro, la lotta di classe che, necessariamente si intensifica e sfocia nella rivoluzione, il cui scopo è il rovesciamento del potere delle vecchie classi e l’ascesa del proletariato. E’ questo il contenuto reale della lotta di classe e della lotta politica, alla quale non si deve sostituire la lotta economica e sociale per il miglioramento della qualità della vita. L’ideologia e la lotta ideologica devono mettere bene in luce che non è possibile la conciliazione delle classi antagoniste e la composizione dei lori interessi in un solo interesse comune, e che non è possibile tentare alcune via tendente al riformismo.

(Cfr. Osnovj marksistskoj filosofi – Principi della filosofia marxista- del PCUS; sta in Komsomolskaja Pravda, 2 novembre 1961, pag. 3)

L’Enciclica di Paolo VI non entra in polemica con il marxismo. Lo scopo di un documento universale non può essere quello di dimostrare la falsità di una determinata visione del mondo, ma deve presentare, come di fatto presentò, una soluzione positiva della questione sociale, valida per tutti, indistintamente.

Si impone la sicurezza e l’autorevolezza con cui il Pontefice presentò la sua ipotesi di lavoro, parlando di problemi così urgenti, che riflettono valori veri, umani e quindi universali e cattolici; da ciò deriva l’indipendenza e la libertà della Lettera di fronte a qualunque ideologia, perché non si pone al di fuori delle ideologie, ma al di sopra, trattando problematiche che non possono essere racchiusi all’interno di una dialettica di parte.

Se l’analisi limitata all’Italia dovessimo dilatarla al mondo intero, si scoprirebbero le ragioni profonde di tutti i terrorismi, degli integralismi e dei nazionalismi, assistendo, impotenti allo scontro, ormai dichiarato, tra le nazioni più povere e più sfruttate contro le nazioni del capitalismo, che sfocia nell’imperialismo dello scontro armato.

Adesso al soglio di Pietro c’è papa Francesco, che ha dimostrato di poter essere l’Uomo che fa la differenza, anche se minacciato dalle barricate multicolori da dove partono strali di quanti mal si adattano alla rinuncia di privilegi molto lontani dalle parole di Cristo.

Ecco il regalo che chiederei a Babbo Natale: l’indicazione di un uomo di Stato degno di tale nome, capace anche lui di “fare la differenza”, affinchè unendo le loro forze possano condurre la nazione e il mondo, nell’alveo di una crescita in umanità, pur senza dimenticare lo Stato laico e i doveri verso tutti i cittadini.

Rosario Amico Roxas

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