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Dalla Teologia alla Fede. RAR

| Scritto da Redazione
Dalla  Teologia  alla Fede. RAR

Una telefonata, che questo giornale ha giustamente evidenziato in prima pagina, ci offre lo spunto per una serie di riflessioni a conclusione delle festività natalizie e dell’esordio del nuovo anno.

Si tratta della telefonata che Papa Francesco ha fatto alla parrocchia S. Alfonso Maria de’   Liguori, nel quartiere periferico della Giustiniana in Roma, gestita dal nisseno  don  Dario Criscuoli. In questa telefonata il Santo Padre annunciava la Sua visita al presepe vivente organizzato dai giovani della parrocchia.

La riflessione che ci offre riguarda l’incontro tra Fede e Teologia, la prima, che si sviluppa nelle parrocchie, e la seconda, che ha dominato nelle aule intellettuali.  Detto più semplicemente, l’incontro tra il discorso della Montagna di Gesù  con le Beatitudini, che segnarono la più grande rivoluzione sociale di tutti i tempi, e le elaborazioni teologiche, che ebbero il momento più alto nelle Summae medievali. E’ tutto l’attuale pontificato di Francesco che ci obbliga a ripescare nella memoria momenti passati che tornano prepotentemente alla ribalta.

Come non ricordare Giovanni XXIII, universalmente riconosciuto come “Papa Buono”, che nella Sua semplicità (… Quando ritornate a casa, fate una carezza ai vostri figli e dite loro che è la carezza del Papa) volle gettare le basi per quella pietra miliare che fu il Concilio Ecumenico Vaticano II, che possiamo riassumere nella esortazione secondo cui la religione deve porsi al servizio dell’uomo, considerato nella gerarchia delle sue necessità materiali, spirituali e religiose:

“d’ogni uomo, d’ogni gruppo di uomini, senza distinzioni di razza, di continente, di cultura o di religione”. (Gaudium et Spes” parte II, cap. III).

Come non ricordare quella baracca, trasformata in Chiesa, dove l’allora Arcivescovo di Milano, mons. Montini, successivamente Papa Paolo VI, celebrò la Messa di Natale il 25 dicembre del 1955; quel giorno documentò al mondo che la Chiesa è nata tra i poveri ed è destinata ai poveri, ed è la sola voce che può e deve levarsi forte per sostenere i diritti dei più deboli e dei più fragili, di quelli che non hanno voce per farsi sentire.
Come Arcivescovo mons. Montini visitò l’America Latina e l’Africa, ma non si fermò ad ammirare i superbi reperti archeologici dei conquistadores, ma guardò la realtà dell’indio e del negro, come realtà di uomini sofferenti in mezzo ad altri uomini opulenti ed egoisti; lì dovette maturare la convinzione del nuovo peccato commesso ogni giorno da quanti non vedono nel prossimo bisognoso la presenza di quell’Uomo che portò una Croce non Sua, appesantita dall’egoismo di tanti uomini, in una Via Crucis dove si rinnova, stazione dopo stazione, il peccato sociale
Ricordando la pastorale del Natale 1955, in quel gelido tugurio dove il Cristo era presente nei derelitti di una Milano occupatissima a celebrare non il rinnovarsi del mistero della Natività, ma il rito del cenone, e la successiva  lettera Enciclica Populorum Progressio, ritroviamo tutto l’itinerario dell’uomo Montini e la dilatazione degli orizzonti operata dall’assunzione della paternità universale.

Si tratta di orme possenti lasciate nel cammino della Chiesa, che oggi tornano ad echeggiare nella testimonianza di Papa Francesco.

Sulla scia di Giovanni XXIII e di Paolo VI, Giovanni Paolo II ha testimoniato la teologia della Croce per continuare l’opera di Cristo, "il quale è venuto nel mondo per servire e non per essere servito".

E’ questa la continuità nello sviluppo del pensiero sociale della Chiesa, l’affermazione che i segni del tempo sono nelle competenze e nei compiti della Chiesa; solo che, quando prende in esame l’uomo nella sua condizione storica, essa abbandona l’ambito canonico del carisma dell’infallibilità e deve parlare con umiltà  come Colei "che cerca insieme agli uomini che cercano".

Voci vecchie e antistoriche dei sociologi del capitalismo americano coniarono per Paolo VI il soprannome di “Papa comunista”, perché aveva voluto andare oltre l’interpretazione di un Vangelo consolatorio e aveva voluto calare nell’attualità il Verbo della universalità e della uguaglianza di tutti gli uomini non solo davanti a Dio, (sarebbe stato un discorso limitato al mondo dei credenti), ma identificando tale uguaglianza nell’intima natura dell’uomo, senza distinzione di razza, cultura, qualità della vita, sviluppo tecnologico o religione: un discorso cattolico e, quindi, universale, sulle orme conciliari.
Nel rigurgito di un anticomunismo antistorico e di propaganda che ci sta martellando in questi anni, che hanno superato il 2000, risulta molto evidente la ragione per la quale Paolo VI, con la Sua Populorum Progressio, sia stato oscurato nel messaggio di uguaglianza, con la segreta speranza che fosse anche dimenticato.

L’elemento di maggior rilievo che oggi colpisce e condanna il metodo socio-politico dell’Occidente è rappresentato dalla condanna esplicita dei principi del liberismo economico.

• I diritti di proprietà e di libero commercio non sono assoluti, ma “subordinati” alla “regola della giustizia, che è inseparabile dalla solidarietà” (PP n. 22, 23, 58). 
• E’ un’esigenza la espropriazione dei beni non utilizzati con sufficiente socialità (PP n. 24). 
• Non sarà mai sufficiente la condanna del capitalismo “senza freno” , della “concorrenza come legge suprema dell’economia”,  del “profitto come motore essenziale del progresso economico” (PP n. 26).

Papa Francesco ha lanciato l’ancora della salvezza alla Chiesa cattolica e cristiana, ripercorrendo le tappe dimenticate o contraddette, come se l’itinerario dovesse ricominciare da dove è stato interrotto, pur senza generare lacerazioni contraddittorie, per questo non si serve di parole o di concetti che il popolo della Fede  non riuscirebbe a seguire, ma si  serve della testimonianza diretta e personale,  che riavvicina i credenti alle parrocchie.

Rosario Amico Roxas

2014-01-06

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