Martedì, 23 aprile 2024 - ore 23.41

GRAMSCI NELLE MEMORIE DEL PIADENESE NINO ARIENTI (*) | G.Azzoni

| Scritto da Redazione
GRAMSCI NELLE MEMORIE DEL PIADENESE NINO ARIENTI (*) | G.Azzoni

Credo sopravvivano ben poche delle  già poche copie dello scritto di Nino Francesco Arienti, “Piadena Rossa, memorie di un operaio comunista”, che furono tirate a ciclostile in tre fascicoli dal PCI della zona casalasco-piadenese a partire dal 1971. Arienti, piadenese classe 1905, giovane socialista appena sedicenne quando nel 1921 partecipò alla nascita del PCI cremonese. Fu quindi tra gli antifascisti più impegnati nel primo dopoguerra e durante il regime, subì processi e carcere, fu costretto a riparare in Francia dal 1933. Tornò in Italia subito dopo la Liberazione, poi fu di nuovo a lungo a Parigi fino al definitivo ritorno alla terra di origine, a Piadena, dove morì nel 1998. Le memorie furono scritte da lui stesso attorno al 1970, su richiesta del PCI di Cremona nell’ambito del 50° della fondazione del partito e raccontano, sul filo del ricordo e di qualche documentazione perigliosamente conservata, di vicende, personaggi, scontri politici e sociali del piadenese e del cremonese dal 1919 al 1932. Si tratta di un periodo di estremo interesse, sul quale testimonianze come questa sono rare e  davvero preziose. Queste di Arienti, poi, cioè di un protagonista che ha pagato di persona per le sue idee antifasciste, pur chiaramente di parte sono piene di notizie appassionanti e meritevoli di essere conosciute.
Per esempio vi si trovano due notevoli riferimenti ad Antonio Gramsci. Il primo riguarda l’influenza dello stesso sulla appena nata Federazione comunista di Cremona. Il secondo riferisce di un fugace incontro e colloquio di Arienti con Gramsci nel carcere di S. Vittore.
Ad un certo punto del suo manoscritto Arienti parla dei riflessi a Cremona delle due tendenze fondamentali presenti nel PCd’I : “Le due tendenze nella Federazione facevano capo a due dirigenti: Pozzoli – bordighista convinto e conseguente sino alla morte (avvenuta nel 1926 -ndr) – e Bernamonti. Non si può dire che fra questi due compagni vi siano stati degli urti violenti e tantomeno delle rivalità di predominio. Quello che era evidente è che alle riunioni di una certa importanza, dove erano presenti diversi compagni di base, Bernamonti difendeva appassionatamente le vedute di Gramsci che arrivavano a mezzo del giornale “Ordine Nuovo”. E’ interessante notare che a sostegno di Pozzoli vi era quasi al completo il gruppo degli intellettuali, mentre gli operai erano più numerosi con Bernamonti. Nel giornale federale “L’eco dei comunisti” (diretto da Bernamonti – ndr) prevalevano gli articoli di tendenza gramsciana...”. Arienti illustra poi alcuni dei più significativi momenti di questo confronto.
“Sarà bene ricordare la controversia pro o contro un articolo importante redatto da Pozzoli sugli “Arditi del popolo”. Questo articolo è stato molto discusso e criticato anche nelle sezioni più importanti della provincia, che non erano d’accordo con le tendenze settarie nel campo della difesa armata contro i fascisti”. In proposito è noto che i bordighiani contestavano ogni possibilità di lotta comune con questo movimento, presente pur se debole anche in qualche zona della provincia, e difendevano la purezza assoluta della propria linea politica. Altra divergenza rilevante “tra le due tendenze si è verificata sull’opportunità di collaborare coi socialisti di sinistra (“terzini”) e sulla loro eventuale ammissione nel Partito. A Cremona questo problema prendeva una certa acutezza poichè numerosi erano i seguaci di Costantino Lazzari; si sa che questo pioniere del socialismo, deputato della Provincia, dirigeva il gruppo di “Pagine rosse” con Maffi e Riboldi. L’entrata dei “terzini” nel Partito, nel 1923, è la prima grande vittoria di Gramsci su Bordiga. Su questo tema avvenne la più importante battaglia interna fra il gruppo Pozzoli e quello di Bernamonti. Pozzoli considerava i socialisti cremonesi in blocco come responsabili del tracollo politico della sinistra e sosteneva che l’entrata di alcuni elementi più a sinistra avrebbe provocato nuovamente la tendenza politica che il Partito aveva definitivamente condannato a Livorno”.
Arienti sottolinea che questi anche duri confronti a Cremona “non provocarono vere e proprie rotture profonde fra i dirigenti e fra gli aderenti in generale” del partito comunista, del resto “l’avanzata precoce e violenta del fascismo farinacciano ha contribuito a suggerire ai comunisti cremonesi che la lotta contro questo pericolo mortale doveva prevalere sulle polemiche di tendenza”.
Egli ricorda anche un curioso (ma non per questo insignificante) altro oggetto di polemica: Pozzoli critica il fatto che “L’eco dei comunisti” abbia pubblicato un articolo “di cronaca in occasione della elezione della Reginetta di Cremona, la più bella ragazza della città”. L’articolo significa propagare idee piccolo borghesi, dice Pozzoli, al che Bernamonti risponde che “le grandi manifestazioni popolari interessano il Partito che su di esse ha una parola da dire”. 

1928: QUANDO IL PIADENESE ARIENTI INCONTRO’ GRAMSCI.
Nei fascicoli ciclostilati con le memorie di Nino Francesco Arienti leggiamo poi il suo racconto  di un incontro fugace quanto significativo ed emozionante con Antonio Gramsci, avvenuto nel carcere milanese di S. Vittore.
Arienti nel 1927 si trovava a Milano dove era riuscito a trovare un precario lavoro (ormai impossibile nella sua Piadena), ospite degli zii. E’ un “vero comunista”, non molla e diffonde l’Unità clandestina, entra a far parte di un gruppo di giovani  antifascisti. Una spiata ne causa l’arresto, con altri nove del gruppo. “Portati alla Polizia centrale di S. Fedele – scrive Arienti – fummo interrogati per tre o quattro giorni con metodi talmente barbari che è difficile oggi immaginare. Non solo non ci davano quasi niente da mangiare e ci facevano dormire su tavolacci pieni di cimici e di pidocchi, ma gli interrogatori fatti quasi sempre di notte erano a base di legnate pugni e pedate che ci lasciavano mezzo tramortiti. Desideravamo solo che gli interrogatori ed i verbali finissero e che fossimo inviati in carcere, almeno là le violenze insopportabili sarebbero cessate, anche se restava l’imputazione di appartenere al partito comunista, vietato dalle leggi eccezionali in vigore.” Così, in effetti, avviene ed Arienti viene assegnato al sesto braccio del carcere di S. Vittore. “Con mia grande sorpresa – racconta – nel cortiletto triangolare dove si passava un’ora d’aria, mi trovai in compagnia di dirigenti del “Centro” del Partito: Fabrizio Maffi, Aladino Bibolotti, Orsello Tordolo ed altri responsabili agli scaglioni intermedi: Giuseppe Schiavon, Giovanni Brambilla, Pietro Comodo, Carlo Marabini, Albino Colombo...”. Nomi magari oggi del tutto dimenticati, allora “mitici” di persone che rischiavano tutto in nome di un ideale. A S. Vittore Arienti rimane fino al luglio 1928, quando verrà trasferito a Roma, al “Regina Coeli” (cella 230, precisa) per essere sottoposto al Tribunale Speciale nell’ambito del famigerato “processone” ai dirigenti comunisti italiani dell’epoca.
Ed ecco come Francesco Arienti descrive il suo incontro con Antonio Gramsci.
Avevo saputo che al secondo raggio del carcere era stato tradotto “Gramsci, il nostro Capo, e che con lui c’era anche Scoccimarro. Quanto desideravo conoscere Gramsci personalmente, sentirlo parlare, domandargli tante cose che mi stavano a cuore... Ma questo grande desiderio come poteva essere soddisfatto in quel carcere medioevale tutto inferriate, cancelli, catenacci, regolamenti e guardie? ... la speranza di poterlo un giorno vedere era ormai svanita quando, per puro caso si è prodotto l’inaspettato miracolo. Era il gennaio 1928 (lieve imprecisione, Gramsci in effetti sta a S. Vittore dal 7 febbraio al 11 maggio del ’28 – ndr), il Giudice istruttore del Tribunale Speciale (...) mi aveva fatto convocare: gli uffici dei Giudici istruttori si trovavano ai limiti dei cancelli che chiudono i raggi del carcere. E’ una guardia che è incaricata di condurre il detenuto dalla sua cella fino al locale adiacente a questi uffici, dove i detenuti attendono di essere chiamati. E’ in questo locale che ho incontrato Gramsci: anch’egli doveva essere una volta di più interrogato nel famoso “processone” dove erano coinvolti molti dirigenti, alcuni latitanti come Togliatti, Grieco, Longo e Di Vittorio. A tanti anni di distanza mi è difficile dire quale fu il mio stato d’animo, l’emozionante sorpresa di poter parlare con Gramsci. Ricordo perfettamente la sua fraterna accoglienza, la sua modestia che mi hanno rassicurato nel dialogo con lui. (...) Dopo avermi chiesto come ero stato arrestato, a quale gruppo appartenevo e come si erano comportati i miei coimputati nell’interrogatorio, Gramsci mi spiegava come il mio comportamento davanti al Tribunale Speciale fosse errato. Infatti io gi avevo detto: “il giorno che mi troverò al processo dichiarerò che, essendo il Tribunale Speciale il prodotto illegale di un colpo di stato fascista il suo verdetto non poteva essere valido...”. Col tuo comportamento, mi spiegava Gramsci, cosa porterai di concreto al Partito?... In una sala del Tribunale dove i cittadini non possono ascoltare e saranno presenti solo poliziotti fascisti... Sei incensurato, non hanno trovato materiale compromettente, i coimputati hanno attenuato le tue responsabilità, te la puoi cavare con due anni di carcere, col tuo atteggiamento potresti prenderne molti di più. Il posto dei comunisti non è in carcere ma fuori, per continuare la lotta contro il fascismo” (...) Intanto una guardia “era entrata nel locale per annunciare a Gramsci che il giudice lo attendeva... La lezione di quel breve colloquio mi servì tutta la vita. Quando nel mese di settembre fui processato mi difesi senza settarie spavalderie e me la cavai con 18 mesi di carcere.”

 

 

2260 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria