Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 02.46

Quale Federalismo?

| Scritto da Redazione
Quale Federalismo?

FEDERALISMO FISCALE  CONSIDERAZIONI, RIFLESSIONI E PROPOSTE
Ma non è che a forza di raddrizzarlo l’albero si spezza?
Il dilemma sull’attuazione del federalismo fiscale sta tutta qui.
Non c’è alcun dubbio che nel nostro Paese il fisco abbia bisogno di un
riequilibrio, far pagare più tasse ai berlusconiani(Cichitto, Brunetta
Tremonti
La Russa Frattini -S. Craxi .. Ecc..Ecc..)  e MENO a Lavoratori/ci e
Pensionati, d’altronde quando oggi i Governi locali hanno grandi poteri di
spesa e zero (o quasi) responsabilità fiscali, cioè decidono molto ma sono
altri a pagare è evidente che occorre cambiare il senso di marcia.

Una riforma però, che sappia coniugare efficienza, responsabilità equità
gustizia sociale e riequilibrio territoriale.

La svolta impressa dalla politica ci preoccupa e non poco, perché si è ad un
passo dall’emanazione di quasi tutti i Decreti attuativi, senza che ad oggici
sia una analisi vera e compiuta dei reali costi del fisco federale ed il
loro impatto sui standard dei servizi nei diversi territori.

Si pensi ad esempio al calcolo dei costi standard di cui ancora non si
conoscono nè i numeri nè tanto meno i criteri per definire le Regioni di
riferimento per la misurazione (le cosiddette Regioni Benchmark).

E se per la sanità è molto più semplice parlare di costi standard, quando si
prendono in esame i costi standard su cui misurare l’istruzione ed l’
assistenza ( funzioni che devono essere perequate al 100%), il discorso si fa ancora
più complicato.

Per non parlare poi delle funzioni i cui costi sono soltanto perequati
parzialmente, quali ad esempio il trasporto pubblico locale.

La ricetta che sembra delinearsi, che fa capolino, è la più semplice: dare
la facoltà di aumentare l’addizionale irpef.

Si fa un gran parlare di federalismo equo e solidale e allora una domanda
sorge spontanea: è equo che i cittadini paghino tre volte i servizi
attraverso tasse, disservizi e addizionali prima che si siano tagliati sprechi,
inefficienze e duplicazioni di enti?

Perché si inizia dalle imposte e non dal concetto racchiuso da “chi fa che e
cosa tra Stato ed Enti territoriali”?

Che fine ha fatto, ad esempio, l’abolizione delle Province tanto conclamata
dalla LEGA NORD che dalla riforma sembrano uscire ancora più rafforzate?

Che fine ha fatto  l’istituzione delle Città Metropolitane, la cui parola è
citata ben 39 volte nel testo della Legge delega,  prevista da una Legge
dello Stato di 30 anni fa?

La responsabilità degli amministratori può essere soltanto racchiusa nello
slogan “vedo, pago, voto”, oppure si possono delineare sanzioni quali l’
ineleggibilità (non solo dove si “è fatto il danno”)?

Il sistema dei controllo e dei poteri sostitutivi possono essere ancora gli
attuali se la  nomina del “Commissario di Governo” coincide con colui che
giuda l’Ente?

Sono questi alcuni concetti che dovrebbero essere alla base dell’attuazione
del federalismo fiscale, insieme ad altri due  principi fondamentali: la
progressività delle imposte e della perequazione.

Sul  concetto di progressività, sul quale  lasciamo discettare i
costituzionalisti o fiscalisti, noi poniamo soltanto una domanda: l’aliquota
unica delle addizionali, seppur applicata sull’intero imponibile, racchiude
il criterio della progressività previsto dalla Costituzione?

L’annunciata compartecipazione al gettito IRPEF nazionale da parte delle
Regioni non rischierà di far venir meno, anche se parzialmente,  la
progressività dell’imposta?

Perché limitare la manovrabilità dei tributi, sia essi propri che
compartecipati, in direzione soltanto delle detrazioni dei carichi
familiari?

Molta attenzione andrà posta, inoltre, sul sistema della perequazione e non
soltanto per l’individuazione dei costi standard dei servizi rispetto alla
spesa storica, ma anche  per il sistema infrastrutture, materiali ed
immateriali,  delle diverse realtà del Paese.

Da questo punto di vista è da escludersi la tentazione di far entrare in
tale meccanismo la spesa derivante dalla programmazione dei Fondi Comunitari che
dovrebbe rimanere aggiuntiva alla spesa ordinaria.  
          
In sintesi l’attuazione del federalismo fiscale, per la UIL, non deve in
alcun modo comportare un aumento della pressione fiscale complessiva.

Deve invece essere la grande occasione per il nostro Paese per riuscire a
rendere trasparenti, chiari e semplici i rapporti tra cittadino e fisco, tra
contribuenti e amministrazione finanziaria. Semplificando, quindi, ed
alleggerendo il funzionamento del sistema rendendo al tempo stesso più
agevole l’azione di contrasto all’evasione.

Un occasione per rivedere e razionalizzare l’assetto istituzionale centrale
e decentrato dello Stato con l’abolizione e/o  la “manutenzione” di tutti gli
enti inutili o sovrappeso ( senza funzioni chiare e proprie) , in modo tale
da evitare duplicazioni di strutture che sono causa  della lievitazione dei
centri di riscossione e di spesa.

E’ sempre più  necessario che per la fiscalità locale sia previsto, oltre al
principio della progressività, la manovrabilità dei tributi sia essi
compartecipati che propri, con le detrazioni per carichi familiari e,
soprattutto,  con interventi a sostegno dei  per i redditi fissi, ed è per
questo l’attuazione del federalismo fiscale deve essere inquadrata in modo
armonico  e contestuale con la riforma più complessiva del fisco.

Avremmo preferito, in un certo senso che invece di raddrizzare l’albero si
fosse proceduto ad impiantarne uno nuovo partendo dal “tronco”, perché se la base è solida
anche i rami diventano , a loro volta,  solidi e armonici.

Perché non è indifferente  come si modulano le imposte nazionali con il
funzionamento della finanza locale.

Questo processo riformatore deve contribuire a garantire più trasparenza e
una migliore responsabilizzazione nella gestione della spesa pubblica a livello
centrale e periferico, rafforzando gli attuali sistemi di controllo “in
itinere”, che sono attualmente insufficienti, in quanto il controllato nomina
i controllori.

Una occasione per armonizzare ed omogeneizzare la compilazione dei Bilanci
di tutte le istituzioni secondo un schema omogeneo, soprattutto per le Regioni.
Sarebbe auspicabile che su tutti questi temi si apra nel Paese un processo
di confronto e consultazione, che ad oggi è mancato, con tutte le forze sociali
ed imprenditoriali, perché il fisco federale è una riforma che tocca da vicino
la vita vera dei cittadini.

Sarebbe un segnale positivo l’ apertura di un dialogo anche da parte della
“Commissione Bicamerale per l’attuazione per il federalismo fiscale”
prevedendo  all’interno della sua attività una “sessione permanente e
continua” di consultazione e confronto delle forze sociali ed economiche. La
Commissione, nell’esprimere il proprio parere formale al Governo,  potrebbe integrare
tale  parere con il punto di vista delle  parti sociali.

ALCUNE PROPOSTE E RIFLESSIONI

Per le ragioni dette in premessa è necessario: che le spese condominiali siano dettraibile dal 730 o
unico, escludendo le spese di acqua luce e gas, comunque le spese
condominiali devono essere detratte a millesimi dalla propria denuncia dei redditi perche
il condominio è una persona giuridica composta dai condomi; 
· che le nuove Addizionali Regionali IRPEF devono essere improntate al
criterio della progressività e che sulla base imponibile siano applicate le
detrazioni e le deduzioni per la produzione del reddito, esattamente come per
l’IRPEF nazionale;
· prevedere espressamente che le Regioni possono diminuire l’Addizionale
Regionale IRPEF prevedendo gli stessi automatismi delle maggiorazioni, anche
per tipologie di reddito; 
· la facoltà di prevedere maggiori detrazioni dal calcolo dell’Addizionale
regionale IRPEF non deve esaurirsi soltanto con maggiori detrazioni per
carichi
familiari, ma bensì prevedere delle deduzioni e detrazioni per la produzione
del reddito;
· prevedere la compartecipazione delle Regioni al gettito dell’IRES;
· la facoltà di ridurre o azzerare l’IRAP dovrebbe essere legata a scopi
precisi ad esempio incrementi della base occupazionale.
Non convince, inoltre, affatto la facoltà delle Regioni di istituire
ulteriori tributi propri e locali, su basi imponibili non assoggettate dallo Stato,
dal momento che ad oggi è stato già “tassato il tassabile”.

In ogni caso, se questi tributi dovessero essere istituiti, essi dovrebbero
connotarsi come “imposte di scopo”. 

Si pone, poi, con tutta la sua drammacità, al di là della normativa dei
costi standard, il problema delle Regioni alle prese con l’extradeficit sanitario,
per lo più concentrate ne Mezzogiorno, in cui la facoltà di ridurre o
azzerare l’IRAP, o di diminuire il peso delle Addizionali è “virtuale”, anzi si corre
il rischio di un ulteriore inasprimento della pressione fiscale, istituendo di
fatto una “fiscalità di svantaggio”. 

Per questo va previsto un percorso più flessibile per il passaggio dalla
spesa storica ai costi standard per le Regioni commissariate, che abbiano
registrato nel 2011 un deficit annuale al di sotto del 5%, prevedendo il finanziamento
della sanità adeguato al costo storico per i primi 4 anni; un’operazione
trasparenza, da effettuarsi nel 2011, sui conti della sanità in tutte le
Regioni.

Dal punto di vista della razionalizzazione e responsabilizzazione della
spesa pubblica è condivisibile il superamento della spesa storica attraverso la
determinazione del fabbisogno e costo standard.

Ma l’adozione del criterio “costo standard” da una parte può assicurare la
risposta ad un’esigenza di responsabilizzazione degli Amministratori Locali,
di efficienza ed efficacia del servizio, dall’altra, potrebbe avere riflessi
negativi nei territori a “minore capacità fiscale” mettendo in difficoltà
soprattutto il Mezzogiorno.

Per questo è fondamentale:
· la fissazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli
essenziali
delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale;
· definire i criteri per la determinazione dei fabbisogni standard e dei
costi
standard   per l’istruzione, l’assistenza e trasporto pubblico locale;
· concordare i criteri per l’individuazione dei fabbisogni standard degli
Enti
Locali a cui la SOSE e l’IFEL dovranno attenersi, anche alla luce dei
processi
di esternalizzazione dei servizi e della liberalizzazione dei servizi
pubblici
locali;
· rivedere i tempi di transizione a cui dovranno attenersi le Regioni e gli
Enti Locali per adeguarsi ai costi standard;
· definire in modo più preciso e puntuale i criteri di perequazione delle
funzioni non essenziali di Regioni ed Enti Locali, soprattutto, per quanto
riguarda il trasporto pubblico locale;
· prevedere espressamente il  “fondo di coesione” necessario per ridurre i
divari tra i diversi territori, previsto dall’art. 119 della Costituzione;
· l’analisi, anche attraverso uno studio con il concorso delle parti
sociali, sulle sperequazioni infrastrutturali materiali ed immateriali, che
riguardano soprattutto il Sud del Paese, istituendo a tal fine un “fondo di
perequazione infrastrutturale”. 

E’ necessario, rivedere il sistema delle sanzioni, dei poteri sostitutivi e
dei controlli contabili, in quanto non si può far svolgere questo
delicatissimo compito di “controllo” da chi è stato designato per essere “controllato”.

In tale direzione è opportuno chiediamo:
· la sanzione per chi produce alti deficit non può esaurirsi soltanto con l’
ineleggibilità nell’Ente che ha governato ma, con l’ineleggibilità, diciamo
per 5 anni in tutte le istituzioni;
· il potere sostitutivo dello Stato non può consistere dal nominare
commissario colui che è responsabile del deficit;
· vanno ricercate nuove modalità per la certificazione dei Bilanci degli
Enti Territoriali, con controlli preventivi annuali, e, non solo negli ultimi 6
mesi di mandato, per il rispetto e la veridicità delle poste iscritte in
Bilancio, rafforzando il ruolo ed i poteri della Corte dei Conti.

Così come va posto, e il dibattito di questi giorni lo conferma, come all’
interno di questa riforma andasse superato gradualmente l’attuale sistema
delle Regioni a Statuto Speciale e delle Province Autonome.

Non convince il rafforzamento di tutto l’impianto dei tributi e
compartecipazioni destinato alle Province, soprattutto per quanto riguarda i
tributi collegati al trasporto su gomma; l’impressione è che, da Ente che
doveva essere soppresso o rivisto, la Provincia vedrà rafforzato il proprio
ruolo.

Un ulteriore approfondimento merita la “partita” legata al fisco dei Comuni,
in quanto se è condivisibile l’istituzione di una imposta comunale basata
sul possesso degli immobili, al pari della cedolare secca sugli affitti, non
sono altrettanti chiari i criteri di applicazione “dell’Imposta municipale unica”.

E’ fortemente negativa l’ipotesi di confermare l’Addizionale Comunale IRPEF,
per il futuro e, soprattutto intollerabile un aumento delle aliquote a
partire dal 2011. 

Così come per la compartecipazione al gettito IRPEF nazionale è necessario
oltrechè opportuno che si rispettino le detrazioni e le deduzioni per la
produzione del reddito e la progressività del gettito.

L’aliquota unica della cedolare, pur non racchiudendo il principio della
progressività, è condivisibile solo nell’ottica di una leva fiscale mirata
alla
calmierizzazione degli affitti e all’emersione del nero.

A fianco a ciò sarebbe indispensabile prevedere forme di sostegno al reddito
per le famiglie affittuarie che, ricordiamo, non hanno usufruito dei
vantaggi dell’esclusione dell’ICI sulla prima casa.

Tra l’altro, così come costruito, il futuro “fisco municipale” penalizza
quei Comuni in cui il mercato immobiliare e quello degli affitti è meno dinamico
o più “virtuoso”.

Inoltre sarebbe opportuno rivedere le rendite catastali attualizzandone il
loro valore. 

Molta attenzione andrà posta al sistema tariffario locale, alla luce, tra l’
altro, dei processi di esternalizzazione e di liberalizzazione dei servizi,
collegandolo in relazione al prelievo tributario, soprattutto per quanto
riguarda la Tassa/Tariffa sui rifiuti.

di miguel1947@libero.it

1439 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria