Nell’economia ecologica si rappresenta l’interazione tra sistema economico e sistema ecologico, spesso in termini di impatto dell’ecologia sull’economia. Si pensi al meritorio Rapporto Stern (2006): un modello che quantificava la perdita mondiale annua del Pil se non s’interveniva per mitigare lo sconvolgimento climatico – quattro mesi dopo il Consiglio d’Europa decise i tre obiettivi 20% al 2020 –, che però non era inteso a leggere l’evoluzione di un unico sistema “ecologico-economico”, come richiederebbe il riconoscimento, tante volte sottolineato, che le due drammatiche crisi sono due facce della stessa medaglia.
L’andare al di là dell’enunciazione di criteri generali e di pratiche virtuose richiede la quantificazione (l’associazione delle grandezze in gioco ai numeri che rappresentano i loro valori nel corso del tempo) che solo un modello matematico può conseguire. Viene in soccorso il modello “predatore-preda”, che Vito Volterra, un grande fisico-matematico italiano, propose negli anni ’20 per un problema specifico di pesca in Adriatico, ma adeguato a descrivere un incredibile quantità di fenomeni in varie discipline, economia inclusa. Richard Goodwin, ad esempio, propose cinquant’anni fa il modello della “lotta di classe” con la coppia lavoro salariato/occupazione.
Partendo dal modello di Volterra, generalizzato a più coppie del tipo predatore-preda, è possibile costruire un modello globale per l’evoluzione nel tempo di un unico sistema dinamico ecologico-economico. Ciò si consegue, matematicamente, ricorrendo alle equazioni di Hamilton e al loro formalismo, che consente di “coniugare” le variabili del modello in coppie, ognuna che, nel nostro caso, associa una variabile economica a una ecologica.
Già, ma quali sono queste variabili che si comportano come una coppia predatore-preda? Partiamo dalle due prime coppie: Consumi d’energia/Pil, Emissioni di CO2/Complexity, dove quest’ultima è una grandezza introdotta per misurare quanto sono “sofisticati” i beni prodotti da un sistema. I consumi d’energia non sono sempre stati indicati come il “motore” dell’economia? Pertanto, per la sua crescita il Pil “mangia” energia. Analogamente, a basse emissioni carboniose corrisponde un sistema economico in grado di produrre beni più sofisticati, cioè di più elevata “Complexity” (le vecchie economie, meno sofisticate, hanno maggiori emissioni di carbonio). Quindi, la Complexity “mangia” le emissioni di CO2.
L’applicazione del modello a queste due fondamentali coppie di variabili porta a una suggestiva rappresentazione geometrica. Il variare nel tempo delle variabili, oscillatorio, produce un ciclo, cioè una curva chiusa, in ognuno dei due piani in cui si rappresenta il “moto” della coppia; nello “spazio delle fasi” del modello, le traiettorie sono curve che si avvolgono sulla superficie di una “ciambella”- matematicamente, un toro: il loro insieme – l’infinità di curve che si ottiene al variare sul toro del punto di partenza della traiettoria – è lo stato stazionario del sistema ecologico-economico che si cercava, assai più ricco che non il punto o l’insieme di punti fissi della tradizionale descrizione di uno steady state.
Una ricchezza legata al carattere stazionario dello stato, perché con tale termine si indica un fenomeno non statico (steady) che si ripete nel tempo sempre con le stesse modalità; come, in prima ma buona approssimazione, la rivoluzione della terra attorno al sole. È possibile poi una definizione più generale, seppure più astratta, dello “stato stazionario” grazie alla stabilità delle soluzioni delle equazioni di Hamilton, proprietà che viene dimostrata proprio per questo modello.
Usando i dati mondiali disponibili nei manuali dedicati il modello assume il carattere globale annunciato, ma esso è ugualmente applicabile a vaste aree geopolitiche, a patto che nei parametri del modello si inseriscano come valori i dati relativi a quelle aree.
Le traiettorie sulle ciambelle sono “moti quasi-periodici”, caratterizzati da due frequenze per il valore delle quali si può dare una buona stima tramite l’approssimazione delle “piccole oscillazioni”. È questo un altro carattere interessante del modello, che esemplifica come il percorso verso uno scenario di sostenibilità possa essere corredato anche di indicazioni predittive analoghe a quelle della dinamica newtoniana.
Valeva la pena, tutta questa matematica? E che contributo potrebbe mai dare questo “stato stazionario globale”, almeno nella sua versione più concreta a 4 variabili? Rispetto al secondo interrogativo è evidente che la gravità delle due crisi pone in secondo piano modelli e teorie e richiede, oggi prioritariamente, coraggio e determinazione ai decisori politici, crescita di consapevolezza e di volontà di agire alle amministrazioni, alle istituzioni e ai singoli cittadini.
Riguardo al primo interrogativo la risposta è “sì”, perché gli scienziati devono svolgere il proprio ruolo, pena l’essere responsabili, per la loro parte, delle conseguenze per tutta l’umanità. Come ha insegnato lo strabiliante fallimento del mainstream degli economisti, le cui teorie e i cui modelli, seguiti o presi a giustificazione dai governi dei più importanti Paesi del mondo, non hanno saputo prevedere la grave crisi economica mondiale del 2008. Così com’è stato grave aver costantemente ignorato, salvo isolate eccezioni, la questione ambientale e la conseguente urgenza dell’economia “spaceshipearth” proposta oltre 50 anni fa da Kenneth Boulding – oggi tutti si sbrodolano invocando “l’economia circolare” – o, un decennio dopo, la necessità di una profonda riconversione ecologica dell’economia e della società per muoversi verso uno stato stazionario globale. La “sordità” dimostrata dall’economia richiede anche una risposta scientifica, per sottolineare che altre concezioni, altri modelli sono possibili, differenti da quelli dominanti che hanno dimostrato di essere così gravemente inadeguati.
FONTE Massimo Scalia per greenreport.it