Sabato, 20 aprile 2024 - ore 08.35

Un vaccino per Coronavirus efficace? Tra 2-3 anni

I test non danno patenti di immunità

| Scritto da Redazione
Un vaccino per Coronavirus efficace? Tra 2-3 anni

«Per avere un vaccino efficace serviranno 2-3 anni». Sergio Abrignani è immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi». Conosce bene l’iter dei vaccini, perché ha lavorato per anni come ricercatore in una multinazionale americana che li produce.

Professore, a che punto siamo con i test?

«Facciamo una premessa. Mettere a punto un nuovo vaccino richiede un percorso lungo e laborioso per garantirne sicurezza ed efficacia. La comunità scientifica mondiale sta facendo uno sforzo enorme per accelerare al massimo, ma parliamo comunque di anni, non di mesi. I gruppi di ricerca più avanzati sono ancora alla fase 1, che consiste nelle verifiche su sicurezza e capacità di indurre risposta immunitaria».

 E dopo?

«Superati questi step si passa alla fase 2, in cui vengono stabilite dosi e schedule di somministrazione, e infine alla fase 3, ovvero lo studio di efficacia su persone a rischio di infezione. Si possono stringere i tempi, ma i passaggi sono obbligati. Tutti i vaccini che conosciamo hanno richiesto un minimo di 8 anni tra ideazione e immissione sul mercato. Nel caso di Sars-CoV-2 le prospettive sono di 2-3 anni, grazie a un impegno senza precedenti».

Su che cosa si stanno concentrando le ricerche?

«Il primo vaccino, già in fase 1 sull’uomo, è basato su acidi nucleici: si inietta Rna che entra nelle nostre cellule dove viene tradotto nella proteina spike, la chiave grazie alla quale il virus si propaga. Questa proteina dovrebbe indurre una risposta immunitaria protettiva. È una scommessa, perché finora i vaccini composti da acidi nucleici si sono rivelati poco efficaci nell’uomo: si è iniziato con questo perché lo sviluppo è più semplice e veloce, ma si lavora anche al metodo classico, con proteine ricombinanti o virus inattivato».

Ha senso parlare di «patentino di immunità» per coloro che hanno sviluppato gli anticorpi?

«No, perché la presenza di IgG e IgM dimostra solo che il soggetto ha incontrato il virus, non che è protetto da ulteriori contagi. Per dare un patentino di immunità occorre avere a disposizione un test che identifichi gli anticorpi neutralizzanti, quelli efficaci nel bloccare l’infezione. Infatti una persona potrebbe avere tanti anticorpi ma non essere protetta, come avviene per esempio nell’infezione da Hiv o nell’epatite C, in cui la risposta immunitaria c’è ma è inutile. I test sierologici che misurano IgG e IgM sono importanti per mappare la storia di Sars-CoV-2 dal punto di vista epidemiologico e capire qual è la durata della memoria immunitaria. Inoltre servono a sapere quanti sono i soggetti infettati per stabilire il tasso di mortalità, che oggi in Lombardia si attesta al 17-18%».

 

FONTE AGI.IT

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