Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 01.07

Aldo Morto di e con Daniele Timpano al Teatro Ponchielli di Cremona

Lo spettacolo “Aldo morto. Tragedia” non racconta il “Sequestro di Aldo Moro” né tantomeno tenta di ricostruire la fitta nebulosa di ipotesi più o meno probabili

| Scritto da Redazione
Aldo Morto di e con Daniele Timpano al Teatro Ponchielli di Cremona

Stagione di Prosa 2014-15 Partendo dalla vicenda del tragico sequestro di Aldo Moro, trauma epocale che ha segnato la storia della Repubblica Italiana, Daniele Timpano attore nato negli anni ’70 e che di quegli anni non ha alcun ricordo o memoria personale, si confronta con l’impatto che questo evento ha avuto nell’immaginario collettivo.

In scena, al Teatro Ponchielli martedi 17 febbraio (ore 20.30), assieme al suo corpo e a pochi oggetti, solo la volontà di affrontare una vicenda spinosa e delicata senza alcuna retorica o pietismo.

I biglietti sono in vendita da sabato 22 novembre alla biglietteria del Teatro, aperta tutti i giorni feriali dalle 10.30 alle 13.30 e dalle 16.30 alle 19.30 (tel 0372 022001/02).

Questi i prezzi dei biglietti: platea e palchi € 18,00 – galleria € 13,00 - loggione € 10,00

Dialoghi con aperitivo intorno al Teatro

Curiosità relative allo spettacolo ALDO MORTO potranno essere scoperte grazie all’incontro, che si terrà presso il Caffè del Teatro Ponchielli (Corso Vittorio Emanuele 52) martedi 17 febbraio (ore 18.00), dove l’attore e regista DANIELE TIMPANO dialogherà con il poeta e drammaturgo IGOR ESPOSITO.

Ingresso libero.

martedi 17 febbario ore 20.30

COMPAGNIA FROSINI / TIMPANO

Aldo morto

Tragedia

di e con Daniele Timpano

collaborazione artistica Elvira Frosini

aiuto regia Alessandra Di Lernia

oggetti di scena Francesco Givone

disegno luci Dario Aggioli e Marco Fumarola

registrazioni audio Marco Fumarola

editing audio Marzio Venuti Mazzi

elaborazioni fotografiche Stefano Cenci

progetto grafico Antonello Santarelli

drammaturgia, regia, interpretazione

Daniele Timpano

produzione amnesiA vivacE con il sostegno di Area06, Accademia degli Artefatti

in collaborazione con Cité Internationale des Arts, Comune di Parigi

si ringrazia Cantinelle Festival di Biella

Spettacolo vincitore Premio RETE CRITICA 2012

Segnalazione speciale Premio IN – BOX 2012                                   

Spettacolo finalista Premio Ubu 2012 come“migliore novità italiana”

«Desolato, io non c'ero quando è morto Moro. Aldo è morto senza il mio conforto. Era il 9 maggio 1978. Non avevo ancora quattro anni. Quando Moro è morto, non me ne sono accorto. Ma dov'ero io quel 9 maggio? E cosa facevo? A che pensavo? E soprattutto a voi che ve ne importa? È una cosa importante cosa facevo e che pensavo io a tre anni e mezzo? Aldo è morto, poveraccio. Aldo Moro, lo statista. Che un certo Moro fosse morto l'ho scoperto alla televisione una decina di anni dopo, grazie a un film con Volontè. Un film con Aldo morto. Ci ho messo un po' a capire fosse tratto da una storia vera. Oh, mio Dio! Hanno ammazzato Moro? E quando? Perché? E come? Lo hanno trovato nel bagagliaio di Renault 4 rossa, undici colpi sparati a bruciapelo addosso. Oh, mio Dio! Hanno ammazzato Moro! Brutti bastardi. E vabbè, pazienza. Niente di importante. Cose che capitavano negli anni '70. Bisognava fare la rivoluzione. Chi? Brigate rosse. Era il 9 maggio del 1978. Non avevo ancora quattro anni. Brigate rosse, sì. Ma rosse in che senso? »

Un attore nato negli anni '70, che di quegli anni non ha alcun ricordo o memoria personale, partendo dalla vicenda del tragico sequestro di Aldo Moro, trauma epocale che ha segnato la storia della Repubblica italiana, si confronta con l'impatto che questo evento ha avuto nell'immaginario collettivo. In scena, assieme al suo corpo e a pochi oggetti, solo la volontà di affondare fino al collo in una materia spinosa e delicata senza alcuna retorica o pietismo.

Note di regia di Daniele Timpano

Lo spettacolo “Aldo morto. Tragedia” non racconta il “Sequestro di Aldo Moro” né tantomeno tenta di ricostruire la fitta nebulosa di ipotesi più o meno probabili o improbabili che sono andate ad innalzare, in oltre 30 anni, la discutibile fortezza denominata “Il caso Moro”. Fortezza inespugnabile fatta di ipotesi, interpretazioni, prove inoppugnabili o oppugnabili, articoli e inchieste giornalistiche, testimonianze attendibili e testimonianze inattendibili, prese di posizione, arroccamenti o accanimenti ideologici. Tutto ciò non ci interessa, se non come sfondo del problema. Ci interessa non l'evento in sé, ma l'impatto che questo evento ha avuto nell'immaginario collettivo di una generazione che non è quella di chi scrive e realizza lo spettacolo: Daniele Timpano è nato nel 1974.

Ci interessa tentare di confrontarci con un'epoca che non abbiamo vissuto personalmente e il cui raffronto con l'epoca presente si impone di continuo. Non fosse altro che perché gli ex giovani di allora (gli ex movimentisti, extraparlamentari, ex terroristi di sinistra e destra, ma anche gli ex fascisti, ex democristiani, ex comunisti e persino gli ex cantautori “impegnati” di una volta e le ex femministe che “non tremate non tremate le streghe son scappate”) sono spesso le stesse persone che ci troviamo davanti oggi nelle redazioni dei giornali, in televisione, sugli scaffali in libreria, nelle direzioni artistiche e organizzative dei teatri, in famiglia e - naturalmente - in Parlamento.

Ma ci interessa anche, e forse soprattutto, indagare un filo tematico molto chiaro (e legato più all'immaginario prodotto da questa storia che alla storia in sé): la lacerazione drammatica tra “immagine” e “verità”, viste naturalmente come polarità opposte. In particolare ci interessa la persistenza dell’immagine a scapito della verità. Per “verità” intendiamo qui quella verità umana che è la propria esperienza, sempre parziale, imprecisa e soggettiva, sempre destinata a restare nascosta nelle pieghe intime della vita di ognuno, la verità fallibile, ma autentica, del ricordo misto all’emozione. In questo caso, ad esempio, i ricordi familiari del Moro privato, che portava i figli al mare a Terracina e sbucciava le arance tutto calmo con cui si apre lo spettacolo. E, al lato opposto, ci interessa l’immagine con la sua forza e la sua carica di verità oggettiva, anche se del tutto illusoria (visto che porta con sé elementi di dubbio e di distorsione del senso: chi ha mai detto infatti che una fotografia, ad esempio, solo perché riproduce fedelmente il reale, non sia in grado di mentire?). Nel caso dello spettacolo il riferimento è all'immagine di Aldo Moro nelle famose polaroid scattate dalle Br durante il Sequestro o alle ancora più famose immagini del corpo di Moro raggomitolato nel bagagliaio di una Reanault 4 rossa, che sono pressoché le prime (se non le uniche) immagini che si affacciano alla testa di qualunque italiano oggi senta nominare Aldo Moro. Senz'altro sono le prime che appaiono cercandolo su Google. Il racconto della dimensione intima dell’uomo, si scontra con l’immagine al quale questa inconoscibile individualità, l’uomo Aldo Moro, è rimasta legata ormai per sempre: l’Aldo moro sequestrato e poi ucciso dalle Brigate Rosse.

Snodo centrale del lavoro è il discorso sulla morte. La morte in generale, non quella specifica di Moro. Questo discorso sull’immagine e la verità è direttamente legato al tema della morte: la distruzione dell’umano nel suo diventare immagine è il lavoro della morte esibita e indagata dai mass media, la tragedia di una morte pubblica.

Ufficio stampa Fondazione Teatro A. Ponchielli

Corso Vittorio Emanuele, 52 - 26100 CREMONA

Tel. 0372.02.2010 - 0372.02.2011    Fax 0372.02.2099

2842 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria