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Cremona e le sue strade.Via Altobello Melone di Laura Bosio.

| Scritto da Redazione
Cremona e le sue strade.Via Altobello Melone di Laura Bosio.

Via Altobello Melone è vicina al cuore della città, proprio dietro piazza Marconi. Si snoda da piazza Sant’Angelo fino a sfociare in via Giordano. Il nome attuale le fu dato nel 1871, quando il consiglio comunale deliberò di riunire sotto lo stesso nome tre tratti di strada: la contrada San Geroldo, la piazza San Pantaleone, la Stretta di San Pantaleone. I nomi dei santi che prima definivano alcuni tratti della via derivano dalle omonime chiese: all’inizio della strada, affacciata con un lato su piazza Sant’Angelo, stava la chiesa di San Vitale, che ora è utilizzata come sala riunioni ed eventi. L’altra chiesa, sulla piazzetta di San Pantaleone, era dedicata all’omonimo santo, e fu chiusa nel 1772.
Su via Melone si affaccia, a sinistra, l’alto muro di cinta del palazzo Mina Bolzesi, mentre a destra vediamo via Larga e piazzetta San Pantaleone.

Passiamo ora a qualche notizia su Altobello Melone. Nacque a Cremona, nel 1491, e si distinse come artista, anche se la documentazione che lo riguarda è di scarsa entità, così come sono poche le notizie certe sulla sua vita.
Certo è che la sua formazione avvenne proprio nella nostra città, che all'epoca si distingueva per essere una città di frontiera, e che in quegli anni era caratterizzata da un'arte di tipo nordico, influenzata dalla produzione tedesca. L'arte del Melone, però, non fu esente neppure da contaminazioni della pittura veneziana, nonché della pittura ferrarese, di Ludovico Mazzolini e del Garofalo.

Le opere
Una delle primissime opere attribuite al Melone è la «Madonna col Bambino e s. Giovannino» dell’Accademia Carrara di Bergamo.
Viene inoltre attribuita al Melone la piccola «Adorazione del Bambino» della Galleria del Palazzo ducale di Mantova, già nota sotto il nome del cremasco Vincenzo Civerchio (Moro), nonché due pannelli di polittico con S. Giovanni Battista e un Santo vescovo in una collezione privata. In questi ultimi due si ravvisa per la prima volta l’influenza dello stile del Romanino. Proprio la questione della conoscenza e della frequentazione tra i due artisti è uno dei nodi cruciali e più intricati della vicenda artistica lombarda di inizio Cinquecento. In effetti, Melone venne spesso in contatto con il Romanino, artisticamente parlando, anche se non sono note le circostanze del loro incontro.
Nel febbraio del 1512, dopo la sconfitta inflitta ai Veneziani dalle truppe francesi di Gaston de Foix duca di Nemours, Brescia fu sottoposta a un tragico saccheggio. Fu forse in quella occasione che i due artisti, il Melone e il Romanino, fuggirono dalla città e cercarono riparo nei paesi delle montagne che dividono le valli dell’Oglio e del Mella. Sembra infatti possibile riconoscere entrambe le loro mani negli affreschi del piccolo eremo di S. Onofrio a Bovezzo nella Val Trompia.

Il lavoro in Cattedrale
Da un documento del 5 novembre 1513 si evince che l’artista cremonese Camillo Boccaccino aveva assunto come socio il giovane Melone, il quale, in base all’accordo, avrebbe dovuto aiutarlo nei lavori della cattedrale di Cremona per un periodo di due anni. Il contratto fu però ricusato dal Melone stesso. Quattro giorni dopo, i due stabilirono nuove condizioni, molto più vantaggiose per Melone: l’impegno sarebbe durato infatti un solo anno, con uno stipendio giornaliero. La società doveva servire al Boccaccino per impegnare il Melone come aiuto nell’impresa decorativa della cattedrale cremonese, che sarebbe stata iniziata infatti subito dopo, nella primavera del 1514, con la serie di affreschi sulla parete sinistra della navata centrale raffiguranti le “Storie di Maria”. Tuttavia risulta difficile riscontrare in queste scene una mano diversa da quella del Boccaccino e, tanto meno, una mano avvicinabile a quella del Melone.
Si può datare intorno al 1513 il cosiddetto “Cesare Borgia” dell’Accademia Carrara di Bergamo, sempre a firma di Altobello Melone. In questo breve giro di anni (1513-15) è possibile datare anche il «Cristo portacroce» della National Gallery di Londra (già collezione Philip Pouncey), il «S. Gerolamo» del Museo civico di Verona, il “S. Prospero» di collezione privata inglese, il «Compianto» dell’arcivescovado di Milano, la «Madonna col Bambino e s. Giovannino» del Fitzwilliam Museum di Cambridge e la «Coppia di amanti» della Gemäldegalerie di Dresda (Gregori, 1955; Frangi, 1985).
Nel 1516 si aprì per Melone la breve ma intensa stagione della decorazione della cattedrale cremonese. L’11 dicembre 1516, infatti, mentre erano ancora attivi il Boccaccino e Giovan Francesco Bembo, i massari della cattedrale presero accordi con il Melone per gli affreschi del settimo arcone a sinistra della navata maggiore, che avrebbero dovuto raffigurare la ”Fuga in Egitto” e la “Strage degli innocenti”. Secondo quanto indicato dal dettagliato contratto, il Melone era obbligato a rifarsi, sia per la composizione sia come termine di paragone qualitativo, agli affreschi eseguiti dal Boccaccino nelle campate precedenti. Non solo, ma il contratto prescriveva anche il senso e il tipo della narrazione, i dettagli e i motivi simbolici, l’adesione a tradizioni e formule visive appropriate ai temi iconografici. Il risultato sarebbe poi stato sottoposto al giudizio concorde di due giudici, uno scelto dalla committenza e l’altro dall’artista, per verificarne la superiorità o la non inferiorità rispetto agli affreschi del Boccaccino, pena il raschiamento, a proprie spese, dell’affresco stesso. Le scene erano sicuramente finite per il 15 agosto 1517, come richiesto dai committenti, e il primo ottobre il Romanino, probabilmente chiamato dal Melone, insieme con due giudici scelti dai massari era presente in duomo per dare una valutazione sugli affreschi. Il giudizio fu favorevole, tanto che, pochi mesi dopo, il 13 marzo 1518, i massari rinnovarono l’accordo col Melone per gli affreschi con “Storie della Passione”, da eseguirsi sulla parete destra della navata maggiore entro il settembre di quell’anno: «l’Ultima Cena», «la Lavanda dei piedi», «l’Orazione nell’orto», «la Cattura di Cristo» e «Cristo davanti a Caifa». Questi lavori sono, non c’è dubbio, il punto più alto della carriera del Melone; ma in un certo senso ne rappresentano anche il punto di arrivo, dopo il quale non solo non si conoscono altre committenze pubbliche di pari o di minore importanza, ma nemmeno altre opere documentate.

Gli anni di “buio”
Negli anni successivi all’impresa della cattedrale il nome del Melone diventa praticamente introvabile nei documenti: si sa soltanto che nel dicembre del 1523 era a Cremona, in cattedrale, come testimone, il che induce a credere che in quegli anni il pittore gravitasse ancora nella città natale. Dopo di che non si hanno più notizie sicure né opere firmate. Solo su stretta base stilistica è infatti possibile assegnare al Melone una serie di opere databili a cavallo tra secondo e terzo decennio. Tra queste si segnala il «Trittico» di Torre de’ Picenardi, degli anni 1518-20. Non si conosce la data di morte del M., certamente anteriore al 3 maggio 1543.

 


<P><HR></P>Via Altobello Melone è vicina al cuore della città, proprio dietro piazza Marconi. Si snoda da piazza Sant’Angelo fino a sfociare in via Giordano. Il nome attuale le fu dato nel 1871, quando il consiglio comunale deliberò di riunire sotto lo stesso nome tre tratti di strada: la contrada San Geroldo, la piazza San Pantaleone, la Stretta di San Pantaleone. I nomi dei santi che prima definivano alcuni tratti della via derivano dalle omonime chiese: all’inizio della strada, affacciata con un lato su piazza Sant’Angelo, stava la chiesa di San Vitale, che ora è utilizzata come sala riunioni ed eventi. L’altra chiesa, sulla piazzetta di San Pantaleone, era dedicata all’omonimo santo, e fu chiusa nel 1772.
Su via Melone si affaccia, a sinistra, l’alto muro di cinta del palazzo Mina Bolzesi, mentre a destra vediamo via Larga e piazzetta San Pantaleone.


Passiamo ora a qualche notizia su Altobello Melone. Nacque a Cremona, nel 1491, e si distinse come artista, anche se la documentazione che lo riguarda è di scarsa entità, così come sono poche le notizie certe sulla sua vita.
Certo è che la sua formazione avvenne proprio nella nostra città, che all'epoca si distingueva per essere una città di frontiera, e che in quegli anni era caratterizzata da un'arte di tipo nordico, influenzata dalla produzione tedesca. L'arte del Melone, però, non fu esente neppure da contaminazioni della pittura veneziana, nonché della pittura ferrarese, di Ludovico Mazzolini e del Garofalo.


Le opere
Una delle primissime opere attribuite al Melone è la «Madonna col Bambino e s. Giovannino» dell’Accademia Carrara di Bergamo.
Viene inoltre attribuita al Melone la piccola «Adorazione del Bambino» della Galleria del Palazzo ducale di Mantova, già nota sotto il nome del cremasco Vincenzo Civerchio (Moro), nonché due pannelli di polittico con S. Giovanni Battista e un Santo vescovo in una collezione privata. In questi ultimi due si ravvisa per la prima volta l’influenza dello stile del Romanino. Proprio la questione della conoscenza e della frequentazione tra i due artisti è uno dei nodi cruciali e più intricati della vicenda artistica lombarda di inizio Cinquecento. In effetti, Melone venne spesso in contatto con il Romanino, artisticamente parlando, anche se non sono note le circostanze del loro incontro.
Nel febbraio del 1512, dopo la sconfitta inflitta ai Veneziani dalle truppe francesi di Gaston de Foix duca di Nemours, Brescia fu sottoposta a un tragico saccheggio. Fu forse in quella occasione che i due artisti, il Melone e il Romanino, fuggirono dalla città e cercarono riparo nei paesi delle montagne che dividono le valli dell’Oglio e del Mella. Sembra infatti possibile riconoscere entrambe le loro mani negli affreschi del piccolo eremo di S. Onofrio a Bovezzo nella Val Trompia.


Il lavoro in Cattedrale
Da un documento del 5 novembre 1513 si evince che l’artista cremonese Camillo Boccaccino aveva assunto come socio il giovane Melone, il quale, in base all’accordo, avrebbe dovuto aiutarlo nei lavori della cattedrale di Cremona per un periodo di due anni. Il contratto fu però ricusato dal Melone stesso. Quattro giorni dopo, i due stabilirono nuove condizioni, molto più vantaggiose per Melone: l’impegno sarebbe durato infatti un solo anno, con uno stipendio giornaliero. La società doveva servire al Boccaccino per impegnare il Melone come aiuto nell’impresa decorativa della cattedrale cremonese, che sarebbe stata iniziata infatti subito dopo, nella primavera del 1514, con la serie di affreschi sulla parete sinistra della navata centrale raffiguranti le “Storie di Maria”. Tuttavia risulta difficile riscontrare in queste scene una mano diversa da quella del Boccaccino e, tanto meno, una mano avvicinabile a quella del Melone.
Si può datare intorno al 1513 il cosiddetto “Cesare Borgia” dell’Accademia Carrara di Bergamo, sempre a firma di Altobello Melone. In questo breve giro di anni (1513-15) è possibile datare anche il «Cristo portacroce» della National Gallery di Londra (già collezione Philip Pouncey), il «S. Gerolamo» del Museo civico di Verona, il “S. Prospero» di collezione privata inglese, il «Compianto» dell’arcivescovado di Milano, la «Madonna col Bambino e s. Giovannino» del Fitzwilliam Museum di Cambridge e la «Coppia di amanti» della Gemäldegalerie di Dresda (Gregori, 1955; Frangi, 1985).
Nel 1516 si aprì per Melone la breve ma intensa stagione della decorazione della cattedrale cremonese. L’11 dicembre 1516, infatti, mentre erano ancora attivi il Boccaccino e Giovan Francesco Bembo, i massari della cattedrale presero accordi con il Melone per gli affreschi del settimo arcone a sinistra della navata maggiore, che avrebbero dovuto raffigurare la ”Fuga in Egitto” e la “Strage degli innocenti”. Secondo quanto indicato dal dettagliato contratto, il Melone era obbligato a rifarsi, sia per la composizione sia come termine di paragone qualitativo, agli affreschi eseguiti dal Boccaccino nelle campate precedenti. Non solo, ma il contratto prescriveva anche il senso e il tipo della narrazione, i dettagli e i motivi simbolici, l’adesione a tradizioni e formule visive appropriate ai temi iconografici. Il risultato sarebbe poi stato sottoposto al giudizio concorde di due giudici, uno scelto dalla committenza e l’altro dall’artista, per verificarne la superiorità o la non inferiorità rispetto agli affreschi del Boccaccino, pena il raschiamento, a proprie spese, dell’affresco stesso. Le scene erano sicuramente finite per il 15 agosto 1517, come richiesto dai committenti, e il primo ottobre il Romanino, probabilmente chiamato dal Melone, insieme con due giudici scelti dai massari era presente in duomo per dare una valutazione sugli affreschi. Il giudizio fu favorevole, tanto che, pochi mesi dopo, il 13 marzo 1518, i massari rinnovarono l’accordo col Melone per gli affreschi con “Storie della Passione”, da eseguirsi sulla parete destra della navata maggiore entro il settembre di quell’anno: «l’Ultima Cena», «la Lavanda dei piedi», «l’Orazione nell’orto», «la Cattura di Cristo» e «Cristo davanti a Caifa». Questi lavori sono, non c’è dubbio, il punto più alto della carriera del Melone; ma in un certo senso ne rappresentano anche il punto di arrivo, dopo il quale non solo non si conoscono altre committenze pubbliche di pari o di minore importanza, ma nemmeno altre opere documentate.


Gli anni di “buio”
Negli anni successivi all’impresa della cattedrale il nome del Melone diventa praticamente introvabile nei documenti: si sa soltanto che nel dicembre del 1523 era a Cremona, in cattedrale, come testimone, il che induce a credere che in quegli anni il pittore gravitasse ancora nella città natale. Dopo di che non si hanno più notizie sicure né opere firmate. Solo su stretta base stilistica è infatti possibile assegnare al Melone una serie di opere databili a cavallo tra secondo e terzo decennio. Tra queste si segnala il «Trittico» di Torre de’ Picenardi, degli anni 1518-20. Non si conosce la data di morte del M., certamente anteriore al 3 maggio 1543.
Laura Bosio


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Si ringrazia il giornale Il Piccolo di Cremona per l'autorizzazzione alla pubblicazione

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