Mercoledì, 24 aprile 2024 - ore 19.22

TUBERCOLOSI E COVID MINACCIANO L’AFRICA

MEDICI CON L’AFRICA CUAMM SI UNISCE ALL’APPELLO DELL’OMS

| Scritto da Redazione
TUBERCOLOSI E COVID MINACCIANO L’AFRICA

Con 10 milioni di malati nel mondo e 1,4 milioni di morti solo nel 2019, la Tubercolosi è ancora oggi una delle malattie più letali. Il 25% dei nuovi casi registrati ogni anno è in Africa e l’arrivo del Covid-19 nell’ultimo anno ha messo a dura prova i sistemi sanitari anche in questo continente. Per questo la lotta alla Tubercolosi rischia una grave battuta d’arresto. In occasione della Giornata Mondiale contro la Tubercolosi, il 24 marzo, Medici con l’Africa Cuamm si unisce all’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per cui “Il tempo sta scadendo” se vogliamo porre fine alla Tubercolosi.

Dall’Uganda, dove in Karamoja Medici con l’Africa Cuamm porta avanti due progetti di lotta alla Tubercolosi finanziati da Fondation Assistance International (FAI) e dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), proprio nell’anno del Covid-19 arrivano segnali di speranza, che dimostrano come con la giusta determinazione la lotta contro la “malattia della povertà” si possa ancora vincere.

Simone Cadorin, capo progetto di Medici con l’Africa Cuamm a Moroto, racconta: “Con il Covid-19 abbiamo temuto di vedere il lavoro di anni rovinato per sempre. Il governo infatti un anno fa ha bloccato i trasporti pubblici, imposto un coprifuoco, e vietato gli spostamenti: il timore era che le persone non venissero più in ospedale per le visite mensili e per ritirare i farmaci. In accordo con le autorità locali quindi abbiamo sviluppato, nel pieno dell’emergenza, un supporto di home based care per i pazienti, visitandoli e distribuendo i farmaci a domicilio, in un’area rurale, con popolazioni semi nomadi. Non solo abbiamo mantenuto i pazienti in trattamento, ma abbiamo anche migliorato di molto i risultati, passando dal 36% di terapie concluse con successo nel 2019 all’85% nel 2020 e portando il tasso di abbandono dal 42% all’11%. Negli ultimi mesi le misure di lockdown sono state allentate in Uganda e i pazienti ora vengono da soli ai centri di salute, ma continuiamo a mantenere un contatto con ciascuno di loro attraverso i “village health team”, che seguono i pazienti a casa, si assicurino che prendano regolarmente i medicinali e forniscono aiuto psicologico e supporto sociale a famiglie e pazienti”.

Proprio dalla comunità partono spesso i problemi legati alla lotta a virus e malattie infettive. Come racconta Paul Okala, un paziente seguito da Medici con l’Africa Cuamm che ha dovuto subire le conseguenze dello stigma e dei pregiudizi sul Covid-19.

“Per colpa del Covid-19 – racconta – in Karamoja purtroppo la gente non vede bene chi usa la mascherina. Ho scoperto di soffrire di Tubercolosi resistente ai farmaci prima dell’arrivo del virus. Mi hanno curato a Matany e poi avrei dovuto continuare a prendere le medicine a casa per un anno, usando la mascherina quando incontravo altre persone. Tutto è andato bene fino a quando non è arrivato il Covid-19. La gente ha cominciato a trattarmi male perché mettevo la mascherina: pensavano avessi il virus e che volessi infettarli. Nessuno si voleva avvicinare a me e il mio padrone di casa era quasi pronto a cacciarmi. È stato orrendo, non sapevo come uscirne e ho persino pensato di farla finita. Per fortuna il team di Medici con l’Africa Cuamm è intervenuto, mi ha aiutato a dimostrare a tutti che non ero malato di Covid-19, a spiegare le differenze tra le due malattie e i diversi modi per affrontarle anche nel villaggio. Per fortuna adesso nessuno ce l’ha con me e sono riuscito a completare la mia terapia”.

Combattere le false notizie legate al Covid-19 con attività di formazione per il personale sanitario e di sensibilizzazione nei villaggi è stato uno dei maggiori sforzi di Medici con l’Africa Cuamm in Uganda, come negli altri sette paesi in cui è presente. Molte persone hanno smesso di andare in ospedale per il timore di essere contagiate, con il risultato che molte donne rischiano la vita partorendo a casa, o molti bambini non vengono vaccinati contro le malattie più comuni. L’approccio home based sviluppato in Karamoja dimostra invece che spingendosi all’ultimo miglio, parlando con le comunità e ascoltando i loro bisogni e le loro paure si può dare continuità ai progetti e fornire assistenza sanitaria a chi ha più bisogno. (aise) 

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