Giovedì, 25 aprile 2024 - ore 00.58

Come la guerra in Ucraina ha cambiato il nostro mondo

Dall’Istituto ISPI uno spaccato in 10 punti su come l’attuale conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina ha cambiato molti dei paradigmi che fino ad oggi davamo per scontati

| Scritto da Redazione
Come la guerra in Ucraina ha cambiato il nostro mondo

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin è uno spartiacque. In sole due settimane ha prodotto una serie di conseguenze impensabili fino a pochi giorni prima: e non solo per le parti in causa, ma anche per il resto del mondo. Dal ricompattamento degli Stati membri dell’Unione Europea alla decisione storica della Germania di riarmarsi; da un flusso migratorio senza precedenti alla messa in discussione della transizione energetica, dalla rivitalizzazione della NATO al possibile “raffreddamento” delle relazioni tra Mosca e Pechino, questa guerra sembra essere un vero game-changer. Comunque vada a finire il conflitto, il mondo di domani potrebbe non essere più lo stesso.

Dalla guerra (contro la pandemia) alla guerra (quella vera)

Due anni fa l’inizio della pandemia ha cambiato il volto del mondo, portando i paesi ad adottare misure da tempi di guerra, dalla chiusura dei confini ai lockdown; quella che è stata spesso chiamata “la guerra contro il virus” ha portato l’Europa a uno sforzo di coordinamento e di solidarietà al suo interno talvolta difficile, tra chiusura delle frontiere e politiche vaccinali diverse. Mentre l’UE si abitua alla “nuova normalità”, la guerra ai suoi confini pone ora una minaccia esistenziale che ne ha compattato la risposta: in tempi da record, l’UE ha mobilitato aiuti militari per 500milioni di euro, facendo la scelta storica di usare il budget dei paesi membri per finanziare la consegna di armi letali. L’attenzione si sposta dalla guerra al virus alla guerra sul campo, mentre nelle zone di maggiore flusso di rifugiati, si teme un allarme Covid-19: due guerre diverse che hanno cambiato il volto del mondo, insieme? Nel frattempo, la reintroduzione del Patto di Stabilità può attendere. È il caso di parlare di una nuova “variante Kiev”?

 

 

 

Germania, Europa: aiuti militari “da 0 a 100 (miliardi)” 

Da domenica 27 febbraio, l’UE per la prima volta nella sua storia ha iniziato a esportare armi. Non era mai accaduto: i Trattati impediscono a Bruxelles di utilizzare il budget comunitario per motivi bellici. Ma i Ministri dell’UE hanno aggirato il divieto attivando uno strumento esterno al budget, la European Peace Facility, che può mobilitare fino a 5 miliardi di euro per aiuti militari. 500 milioni sono stati immediatamente utilizzati per inviare armi sul fronte ucraino. Questa svolta riflette l’eccezionalità per l’UE e i suoi Stati Membri della crisi ucraina, che il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito “un momento storico per il nostro continente”. 

Proprio la Germania ha iniziato lo scorso 26 febbraio un nuovo capitolo della propria storia. Negli ultimi settant’anni il governo tedesco non ha mai esportato armi verso territori di conflitto, un impegno durato fino a qualche giorno fa: il Paese si è adesso riposizionato a livello internazionale dando sostegno militare (attraverso l’esportazione di armi) al governo di Kiev. Su questa scia, 24 ore dopo, Berlino ha anche annunciato un aumento della spesa militare (attualmente all’1,5% del Pil) tale da raggiungere l’obiettivo interno alla NATO del 2% del Pil. A questo contribuirà uno stanziamento di 100 miliardi di euro per spese militari. 

 

 

 

Da Trump a Biden, se l’Atlantico torna a restringersi

Durante la Presidenza Trump le relazioni transatlantiche erano giunte ai minimi termini: sia a livello economico, a causa dei dazi imposti dagli USA sui prodotti europei, che a livello strategico-militare, con Trump che criticava i membri europei della NATO per non spendere abbastanza per la Difesa. Con Biden alla Casa Bianca, nel 2021 le frizioni commerciali sono state parzialmente risolte (sia la controversia Airbus-Boeing che quella sull’acciaio/alluminio) ed è stato lanciato un nuovo “Trade and Technology Council”. Oggi, la guerra in Ucraina ha riavvicinato ulteriormente le due sponde dell’Atlantico anche dal punto di vista geopolitico, con una convergenza pressoché totale sulle misure da prendere contro la Russia (vedi il coordinamento sulle sanzioni) e in sostegno dell’Ucraina.

 

Migranti: Da "aiutiamoli a casa loro" a "accogliamoli tutti"

La guerra in Ucraina ha generato un flusso di rifugiati rapido e massiccio. Di fronte a questo fenomeno senza precedenti, i leader europei hanno risposto con solidarietà, aprendo i confini e facilitando le procedure di ingresso. L’UE ha approvato l’utilizzo della Direttiva di Protezione Temporanea, che darà alle persone provenienti dall’Ucraina (salvo alcune categorie) il diritto di essere accolti nell’UE con procedure semplificate. Questa direttiva viene usata per la prima volta e dà ai rifugiati di guerra una protezione senza precedenti per la semplicità delle procedure, particolarmente snelle e veloci, con accesso al sistema educativo, al mercato del lavoro, alloggio e assistenza sociale, con un rinnovo automatico di un anno. Questa solidarietà si differenzia rispetto alla gestione di “crisi migratorie” del passato, come quello del 2015 nel Mediterraneo, la chiusura dei confini da parte dell’Ungheria, o il recente trattamento dei migranti e richiedenti asilo al confine tra la Bielorussia con Polonia e Lituania: si è passati da una politica di chiusura a una di benvenuto, un’accelerazione virtuosa di fronte all’emergenza in corso, ma che ha fatto parlare di doppio standard nel trattamento dei migranti in base ai paesi di provenienza.

 

 

 

Sanzioni: Da armi spuntate a un “all in”?

Le prime sanzioni alla Russia furono imposte nel 2014, in seguito all’invasione della Crimea e al sostegno dei movimenti separatisti nel Donbass da parte della Russia. Quelle misure, volte soprattutto a colpire singoli individui o settori circoscritti, ebbero un’efficacia limitata portando alla “cristallizzazione” dell’occupazione in Ucraina. Otto anni dopo, la situazione è decisamente diversa: l’esclusione delle principali banche russe dal circuito di pagamenti SWIFT e il blocco delle riserve valutarie della Banca Central Russa in euro e in dollari possono davvero colpire l’economia di Mosca (come dimostra il crollo del rublo – 29% - nella sola giornata del 28 febbraio). Dopo decisioni “timide” dovute anche a visioni divergenti tra gli Stati membri volte a tutelare i propri interessi nazionali (va menzionata anche l’iniziale ritrosia dell’Italia e della Germania), l’invasione dell’Ucraina ha convinto l’UE a varare in maniera compatta sanzioni molto più pesanti. 

 

 

 

Climate change: Dal net zero al "va bene tutto purché scaldi"

Se il 2020 è stato l’anno dei grandi annunci di svolta climatica dei più importanti Paesi del mondo, con Unione Europea, Cina, Giappone e Stati Uniti che annunciavano piani ambiziosi per arrivare alla neutralità climatica entro la metà del secolo, la situazione all’inizio del 2022 è profondamente cambiata. L’Europa sembra riconoscere che la transizione sarà lunga e annuncia l’inserimento del nucleare e del gas tra le fonti “green”, ma anche questo potrebbe non bastare a gestire l’emergenza di breve-medio periodo. Nel frattempo, si parla di riapertura di centrali a carbone, per far fronte a prezzi del gas impazziti e per cercare di ridurre la dipendenza dalla Russia. Non è la sola: Pechino annuncia infatti la riapertura di centrali e miniere di carbone per far fronte all’accresciuta domanda di energia. Si apre ora e più che mai la questione: è il momento della grande accelerazione degli investimenti in rinnovabili, o sarà l’energia “del passato” ad assicurare la sicurezza energetica dei Paesi?

 

 

 

Nato: Da “cerebralmente morta” a “the place to be”

Per Trump era inutile e per Macron era cerebralmente morta. Oggi far parte della Nato torna ad essere appetibileanche per paesi tradizionalmente neutrali come Svezia e Finlandia, mentre le repubbliche baltiche si sentono al sicuro per la loro appartenenza nell’Alleanza Atlantica e comunicano al mondo il loro “te l’avevo detto che la Russia era pericolosa!”. La guerra in Ucraina ha innescato un cambiamento di approccio nella politica estera di attori la cui neutralità sembrava consolidata verso una presa di posizione attiva nei confronti della RussiaSvezia e Finlandia, molto vicine geograficamente alla Russia, sembrano propense a interrompere una neutralità decennale mostrando un interesse crescente a unirsi alla NATO, mentre mandano in Ucraina aiuti militari. Questa dinamica ha coinvolto perfino la Svizzera, paese super partes per antonomasia, la cui neutralità (che dura dal XVI secolo ed è sopravvissuta a due guerre mondiali) è venuta meno quando la Confederazione ha imposto sanzioni alla Russia e inviato aiuti militari. Il ritorno della guerra in Europa sta quindi spostando l’asse di paesi storicamente neutrali verso un coinvolgimento nel fronte comune, mentre la Nato ritrova la propria missione originaria di bastione difensivo contro le attività militari di Mosca: la paura di Putin di una espansione a Est dell’Alleanza Atlantica sembra sempre di più una profezia che si autoavvera.

 

 

 

Rapporto Cina-Russia: Dall’amicizia “senza limiti” all’astensione all’Onu

Fino al 4 febbraio le relazioni tra Cina e Russia avevano toccato il massimo storico tanto da essere definite “senza limiti”. Dopo 10 giorni dall’invasione si moltiplicano i segnali di un mancato pieno supporto cinese all’invasione: l’astensione della Cina all’Onu, la telefonata tra Wang Yi e Kuleba per la mediazione di un cessate il fuoco, il congelamento dei prestiti a Russia e Bielorussia da parte dell’Aiib sostenuta da cinesi. L’avanzata dell’invasione con un crescente numero di vittime civili, l’isolamento russo e il rischio che la Cina possa essere caricata delle responsabilità del conflitto in quanto quasi alleata della Russia sembra aver fissato un limite, almeno parziale, alle relazioni. Che negli ultimi anni, comunque, sono aumentate nettamente: sia dal punto di vista economico (con la Cina che oggi è saldamente il primo partner commerciale di Mosca), che energetico: è stato infatti da poco firmato il contratto per il raddoppio del gasdotto “Power of Siberia”.

 

 

 

Taiwan: Da “attenzione la Cina invaderà” a “attenzione l’Occidente risponderà”

Secondo l’Economist nell’estate 2021 Taiwan era “il posto più pericoloso al mondo” (a causa delle mire espansionistiche di Pechino e degli interessi degli USA nell’area) e prima delle Olimpiadi sembrava che la Cina cercasse di capire fino a dove UE e USA si sarebbero spinti per difendere l’Ucraina, per eventualmente agire di conseguenza con Taiwan. La risposta è arrivata: quando serve l’Occidente c’è e nel XXI secolo fare la guerra è ancora più difficile di prima per la resistenza delle popolazioni locali e per l’incredibile diffusione di informazioni di ogni tipo in tempo reale. Il disimpegno in Afghanistan era stato fatto anche per concentrarsi sul contenimento alla Cina, una politica che non può prescindere dalla difesa di Taiwan. Allo stato attuale Pechino sembra molto meno desiderosa di impegnarsi nell’invasione di Taiwan: un’impresa che, se fallimentare, potrebbe danneggiare la corsa di Xi verso la riconferma al XX Congresso del Pcc del prossimo autunno. Le ricognizioni aeree sembrano solo “normale amministrazione” senza costituire un pericolo reale, anche perché la reazione di Taiwan e del resto del mondo sarà di elevare l’allerta aumentando le difficoltà per un ipotetico attacco cinese.

 

 

 

Valute: Dal dollaro al bitcoin?

Nei mercati emergenti caratterizzati da volatilità finanziaria, detenere valuta straniera considerata più “forte” (soprattutto dollari, ma anche euro) è considerato il migliore modo per proteggere i propri risparmi ricorrendo a beni cosiddetti “rifugio”. Questo era vero anche in Russia fino a pochi giorni fa, ovvero prima che entrassero in vigore le sanzioni economiche che hanno fatto crollare a picco il valore del rublo e reso quasi impossibile accedere a valuta straniera (da qui la corsa agli sportelli bancari dei giorni scorsi). A causa del difficoltoso accesso ai canali “tradizionali” dei mercati finanziari internazionali, in Russia (ma anche in Ucraina) ha ripreso vigore il ricorso al Bitcoin come nuovo bene rifugio. Tanto che si sta cominciando a parlare dei bitcoin (e degli altri cryptoassets) come “valute di guerra”. 

 

 

 
 
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