Domenica, 28 aprile 2024 - ore 21.51

La Via della Seta dopo l’Ucraina

Se fino a ieri sembrava difficile sviluppare accordi commerciali concreti con la Cina, dopo l’invasione russa dell’Ucraina i rapporti con tutti quelli che non sono alleati della Nato sono ancora più difficili.

| Scritto da Redazione
La Via della Seta dopo l’Ucraina

Se fino a ieri sembrava difficile sviluppare accordi commerciali concreti con la Cina, dopo l’invasione russa dell’Ucraina i rapporti con tutti quelli che non sono alleati della Nato sono ancora più difficili. Oltre alle diffidenze che già c’erano nei confronti di Pechino da parte degli USA, si stanno aggiungendo i crescenti timori relativamente ad una possibile intesa con la Russia riguardo la guerra in Europa, e all’occupazione di Taiwan nel Mar Cinese Meridionale. Con l’Occidente in difficoltà, alle prese con la guerra alle porte, i prezzi delle materie prime alle stelle, e il Covid non ancora definitivamente sconfitto, la situazione non è delle migliori. 

 


 

 

I rapporti internazionali di Pechino

Eppure, fino a un mese fa non tutti la pensavano come gli Stati Uniti, anzi, sembrerebbe che la gran parte dei Paesi orientali erano, e continuano ad essere, favorevoli al progetto. Anche Paesi che si sentono minacciati dalle mire espansionistiche di Pechino, come ad esempio il Laos, il Pakistan, la Cambogia, il Nepal, e addirittura il Giappone (da sempre storico rivale cinese), hanno formalmente aderito alla Belt & Road Initiative. Si stima che nonostante la pandemia mondiale nel 2020 abbia provocato una stagnazione dell’economia internazionale, soltanto nella prima metà del 2021 gli investimenti delle aziende cinesi nei Paesi lungo la BRI siano cresciuti dell’8,6%. Nello specifico, i Paesi ostili all’espansionismo cinese come l’India, l’Australia, il Vietnam, la Corea de Sud, le Filippine e, soprattutto Taiwan – sempre più esasperato dalle continue incursioni cinesi nel proprio spazio aereo, – non vedono troppo di buon occhio tale espansionismo commerciale, nonostante la consapevolezza che porterebbe benefici economici non indifferenti anche per loro.

Perché le rotte terresti non costituiscono la soluzione 

Relativamente allo sviluppo delle vie commerciali previste, possiamo individuare tre rotte terrestri e una marittima. Per quanto riguarda le rotte terrestri, queste partono principalmente dalla città cinese nordorientale di Xi’an (meglio nota per essere stata la prima delle quattro antiche capitali Cinesi), per snodarsi poi attraverso tutta l’Asia, attraversando la prima il Kazakhistan e la Russia, la seconda l’Afghanistan, l’Iran e la Turchia. Tuttavia, la criticità delle vie terrestri è determinata dal fatto che i Paesi nei quali la Cina programma di andare a sviluppare nuove infrastrutture, sono storicamente instabili. In pochi mesi abbiamo potuto osservare il crollo dell’Afghanistan prima, capitolato in mano ai talebani, i quali non è del tutto chiaro che intenzioni abbiano nei confronti di Pechino, e successivamente con il conflitto russo-ucraino, che vede ora il mondo diviso in due con l’isolamento internazionale dell’Iran, e la Turchia che non è pienamente affidabile come partner strategico, in quanto Paese dalla politica estera in continua evoluzione. L’attraversare Kazakhstan e Russia prevede invece distanze incalcolabili, in zone dalle condizioni meteorologiche spesso avverse con costi di manutenzione e di trasporto delle infrastrutture piuttosto elevati. L’aumento dei prezzi del greggio, di certo non aiuta. Come osservabile a livello geografico, questa opzione spesso non è spesso nemmeno presa in considerazione dalle compagnie logistiche, costituendo commerci residuali rispetto alle altre due rotte.

Suez e la via marittima 

Quella che invece risulta la via più accreditata negli ultimi anni, è la rotta marittima che dal porto di Fuzhou attraversa l’Oceano Indiano toccando Malesia, Sri Lanka, e passando per il Mar Rosso, Suez, e il Mediterraneo, sbarca infine a Trieste, o prosegue verso Rotterdam attraversando Gibilterra. Andando ad analizzare questa rotta, battuta da migliaia di navi ogni giorno, possiamo riscontrare due problematiche principali: la prima è relativa alla pirateria diffusa nel Corno d’Africa, situazione che spesso costringe le compagnie marittime a dotarsi di contractors privati a bordo per proteggere l’equipaggio; la seconda invece al Canale di Suez, che nel 2020 è stato protagonista di un blocco dalle conseguenze drastiche per gli approvvigionamenti di merci dei Paesi europei. Bloomberg in particolare, afferma che con l’incagliamento della Ever Given, il costo dei viaggi a container è quadruplicato, mandando letteralmente in tilt la supply-chain europea e mondiale. Si stima che nel 2020, nonostante il Covid, siano transitate nel canale di Suez oltre un miliardo di tonnellate di merci, pari a quasi 19.000 transiti navali, di cui un quinto di queste hanno scelto questa rotta per la prima volta, a testimonianza dell’attenzione prestata dalla logistica a questa rotta, considerata più economica e conveniente.

Per l’Italia, il canale di Suez si è dimostrato fondamentale per l’interscambio commerciale con l’Asia che è valso 83 miliardi di euro nel solo 2020, ben il 40% del commercio marittimo del Paese. Per Suez transita il 10% del traffico marittimo mondiale, il 20% del traffico destinato al Mediterraneo, e un terzo delle portacontainer del mondo. L’attenzione europea e di Pechino cade principalmente sulle vie marittime, che dai porti cinesi mirano al Pireo (già in mano cinese), e a Trieste. L’importanza del mediterraneo non risiede tanto nei Paesi che vi si affacciano, quanto alla qualità del corridoio inaggirabile doppiando Buona Speranza, e punteggiato di scali in frenetica espansione. Ormai sarebbe improprio parlare di “mare nostrum”, quando invece sarebbe più corretto guardare al Mediterraneo come a un bacino che fa da tramite tra Mar Cinese e Oceano Atlantico, dove si fa a gara per accaparrarsi risorse (idrocarburi) e zone marittime (Zee, Zes), spesso chiamato “Medioceano” dagli addetti ai lavori, proprio relativamente alla sua funzione di tramite fra oceani.

L’opposizione USA, la B3W. 

L’ostilità americana nei confronti del nuovo progetto commerciale di Xi è tale da aver spinto gli Stati Uniti a proporre un’alternativa che al momento pare abbastanza improvvisata e disorganizzata, senza ancora avere né un progetto solido, né le idee chiare sugli scopi e le modalità. La Belt & Road Initiative, infatti, prevede l’integrazione logistica dei Paesi del Medioriente e dell’Asia Occidentale, con investimenti mirati che favoriscano una crescita economico-sociale dei Paesi che si trovano lungo le rotte commerciali, andando a creare una sinergia che porterebbe benefici a molti. L’evoluzione degli embarghi alla Russia, ci permetteranno di capire dove andrà ad orientarsi la domanda energetica europea, il cui fabbisogno è stato fino ad oggi strettamente dipendente dalle importazioni da Mosca. A giugno 2021, nel G7 in Cornovaglia, Biden ha affermato di voler lanciare il Build Back Better World, (B3W), una sorta di brutta copia del solido progetto cinese. Infatti, mentre in Cina è stato creato ad hoc il Silk Road Fund (un fondo di investimento statale creato appositamente per finanziare il progetto), si è proceduto con il delineare obiettivi chiari e la firma di memorandum bilaterali con i Paesi interessati, quello di Biden altro non sembrava essere che una vaga alternativa di concorrenza alle intenzioni di Pechino.

Ora invece la situazione potrebbe sostanzialmente ribaltarsi, la Cina è sempre più vicina alla Russia e sempre più lontana dal blocco Atlantico, mentre l’Europa ha un’urgente necessità di trovare nuovi partner commerciali, con Biden che invita i Paesi europei a rivedere gli scambi con Mosca, ma che non li obbliga a rinunciarvi, sapendo bene che la strada per l’autosufficienza energetica europea è – a differenza di quella americana – ancora lunga e piena di sorprese dietro l’angolo.

(Riccardo Collini, Geopolitica.info cc by)

563 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria