Trentacinque capi di Stato, 130 miliardari, 300 importanti personaggi politici. Di questi, un re, sette presidenti e quattro primi ministri attualmente nell’esercizio delle loro funzioni. Tutti accomunati dalla pratica riprovevole di aver sfruttato a vario titolo dei paradisi fiscali per nascondere i loro patrimoni. Il risultato della maxi-inchiesta “Pandora Papers” – condotta per un anno dall’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), assieme a 600 giornalisti e 150 media di 117 nazioni – è agghiacciante.
I Pandora Papers confermano le rivelazioni dei Panama Papers
L’indagine, che giunge cinque anni dopo i “Panama Papers”, si basa su 11,9 milioni di documenti confidenziali trasmessi al Consorzio da una fonte anonima. Si tratta di informazioni che arrivano dagli archivi di quattordici studi specializzati nello sfruttamento dei paradisi fiscali. Trident Trust, DadLaw, SFM, Alcogal, Il Shin: nomi pressoché ignoti, ma che rappresentano la chiave per accedere alle British Virgin Islands, a Dubai, a Singapore, a Panama, a Belize, a Cipro o alle Seychelles.
Quello che emerge è un giro del mondo dell’ottimizzazione fiscale che conferma le dimensioni mostruose del fenomeno. Grazie a società offshore e anonimato, di fatto, potenti e ricchi della Terra sembrano aggirare i servizi fiscali di decine e decine di nazioni. Alcune delle quali loro stessi rappresentano. L’ICIJ e i suoi partner, infatti, grazie agli innumerevoli documenti leaked hanno potuto accendere un riflettore nel buio di un mondo parallelo. Fatto di avidità e di iniquità.
I quattordici studi specializzati sono altrettanti anelli di una catena creata su misura per favorire i ricchi e consentire loro di diventare ancora più ricchi. In cambio di qualche migliaio di euro, garantiscono protezione e discrezione.
Tanti i nomi noti
I proprietari delle società offshore sono decine di migliaia. Ma a spiccare sono soprattutto alcune personalità della politica internazionale di altissimo livello. Nell’elenco figurano l’ex primo ministro britannico Tony Blair, il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, il premier libanese Najib Mikati, il re di Giordania Abdallah II. E ancora il primo ministro ceco Andrej Babis, il presidente dell’Ecuador Gullermo Lasso, quello dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. I loro omologhi del Gabon e del Congo, Ali Bongo e Denis Sassou Nguesso. Così come il primo ministro della Costa d’Avorio Patrick Achi. Assieme a faccendieri, bancarottieri, intrallazzatori, narcotrafficanti.
La lista di criminali presenti nei Pandora Papers è impressionante. Tra i tanti, è emerso anche il nome di Raffaele Amato, camorrista già capo del clan degli “scissionisti di Secondigliano”, che nel 2004 avviarono la cosiddetta faida di Scampia. Il mafioso avrebbe utilizzato una società offshore per acquistare dei terreni in Spagna.
Con lui il malese Jho Low, personaggio centrale dello scandalo legato al riciclaggio di denaro proveniente da una divisione del fondo sovrano 1MDB. L’uomo d’affari avrebbe creato una miriade di società offshore per sfruttare il denaro al fine di acquistare hotel di lusso in California.
Nei paradisi fiscali, più si scava più si trova
Più si scava più si trova, nel pianeta offshore. All’epoca dei Panama Papers, fu da un solo studio, quello di Mossack Fonseca, che trapelarono i documenti. Ora le dimensioni che lasciano intravedere i Pandora Papers appaiono ancora più smisurate. D’altra parte, uno studio dell’Ocse del 2020 aveva valutato in 11.300 miliardi di dollari il quantitativo di danaro nascosto nei tax haven di tutto il mondo. Un sistema oliato, nel quale – spiega l’inchiesta – intervengono banche, avvocati e contabili. Anche in Europa.
Tra i documenti trapelati, uno dimostra che grazie un solo studio legale panamense, diretto da un ex ambasciatore negli Stati Uniti, un gruppo di banche internazionali ha creato non meno di 3.926 società offshore. Tale studio si chiama Alcogal ed è presente in dodici Paesi. Secondo le rivelazioni dell’ICIJ, avrebbe creato 312 società nelle sole British Virgin Islands. E lo avrebbe fatto su richiesta del colosso bancario americano Morgan Stanley.
Ma non è tutto: chi non si accontenta di una società offshore, per non più di 25mila dollari può regalarsi un trust, che permette di gestire il denaro facendo credere di non averne il controllo. Ciò al fine di rendere sempre più complesse e fitte le maglie che consentono di nascondere gli affari.
Gli affari del re di Giordania e del primo ministro libanese
Il caso del re giordano Abdallah II appare, tra gli altri, emblematico. Un contabile inglese che opera in Svizzera ha lavorato assieme a degli avvocati alle British Virgin Islands per “aiutarlo”. Obiettivo: acquisire in totale segretezza 14 abitazioni di lusso negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Per un valore complessivo di oltre 106 milioni di dollari. Il tutto grazie a 36 società fittizie create tra il 1995 e il 2017. Senza che neppure le autorità della nazione caraibica ne sapessero nulla.
Il monarca si è difeso, tramite alcuni avvocati inglesi, affermando che non era tenuto a pagare imposte sulla base della legge giordana. E che i beni erano stati nascosti nelle società offshore per ragioni di sicurezza.
Allo stesso modo, in Libano, oltre al premier Mikati, dai documenti trapela anche il suo predecessore Hassan Diab. Ma soprattutto il responsabile delle politiche di lotta alla corruzione Muhammad Baasiri e il governatore della banca centrale Riad Salamé (il primo ha negato all’ICIJ il proprio coinvolgimento, il secondo afferma di non aver violato alcuna legge). Quest’ultimo è già sotto inchiesta per riciclaggio e associazione a delinquere.
L’ex premier inglese Blair e il primo ministro ceco Babiš
Il primo ministro ceco Babiš avrebbe invece nascosto 15 milioni di euro in una serie di società con l’obiettivo di acquistare un castello nei pressi di Cannes, in Francia. Mentre l’ex ministro delle Finanze dei Paesi Bassi Wopke Hoekstra avrebbe investito in una società che organizza safari in Tanzania tramite una società fittizia. Proprio lui che se l’era presa con i Paesi dell’Europa meridionale chiedendo loro maggiore rigore fiscale.
Mentre l’ex premier laburista inglese Blair, nel 2017, sarebbe diventato proprietario a Londra di un immobile vittoriano del valore di 8,8 milioni di dollari. Ciò attraverso l’acquisto di quote di una società delle British Virgin Islands, di proprietà del ministro dell’Industria del Bahrein, Zayed bin Rashid Al Zayani. Così, Blair avrebbe beneficiato di vantaggi fiscali tali da risparmiare oltre 400mila dollari di tasse in Inghilterra.
I miliardari russi e il produttore amico di Vladimir Putin
Nell’elenco, infine, figurano numerosi russi. Ad esempio, nel 2015 uno studio legale di Cipro – Nicos Chr. Anastasiades and Partners – avrebbe aiutato il magnate del petrolio ed ex senatore Leonid Lebedev ha non far figurare la proprietà di quattro società. Similmente, il produttore televisivo Konstantin Ernst, vicino al presidente Vladimir Putin, avrebbe partecipato ad un’operazione estremamente redditizia. Sfruttando ad un’ondata di privatizzazioni e grazie a numerose società offshore, avrebbe potuto acquistare decine di cinema e proprietà di vario genere a Mosca.
Secondo i media che hanno partecipato all’inchiesta sui “Pandora Papers”, in molti casi i fatti non presentano rilievo penale, sulla base delle leggi in vigore.
(Andrea Barolini, via Valori.it cc by nc sa)