Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 06.24

Putin e i risvolti geopolitici del vaccino Sputnik

| Scritto da Redazione
Putin e i risvolti geopolitici del vaccino Sputnik

Le qualità farmaceutiche dello Sputnik V (secondo varie interpretazioni, la V sta per “vaccine”, per “Victory” o per il numero 5, che segnalerebbe la quinta versione della formula) devono ancora venire vagliate dall’Agenzia europea del farmaco (Ema), ma il vaccino russo è già stato vittima della propaganda del Cremlino.

Quella che doveva essere la sua attrattiva principale – essere il primo vaccino brevettato contro il Covid-19 – è diventato il suo tallone d’Achille, in un case study che dovrebbe allarmare i suoi promotori: il 62% dei russi ha dichiarato ai sociologi di Levada-zentr di non volersi vaccinare con lo Sputnik. Un fallimento clamoroso, per un prodotto che nelle intenzioni avrebbe dovuto restituire alla Russia l’immagine di un Paese potente e concorrenziale all’estero, e rinforzare la fiducia nel governo all’interno.

Invece, la quota degli scettici è salita proprio mentre Vladimir Putin ha cominciato a usare il vaccino nella sua diplomazia, più o meno come una decina di anni fa utilizzava il gas, in una serie di telefonate internazionali in cui si è fatto promotore in prima persona dello Sputnik.

I dubbi sul vaccino russo

I motivi di questo sconcertante risultato sono diversi. Il primo è il Covid-scetticismo generale delle autorità russe: all’inizio dell’epidemia, il Cremlino ha tentato di ignorarne i pericoli, un vero lockdown non è mai stato introdotto, anche per non doverne pagare i costi. Le statistiche dei contagiati e delle vittime sono state pesantemente manipolate e, in generale, il coronavirus è stato presentato come un problema che ha messo in ginocchio i nemici in Occidente, mentre la sanità russa – come ha ripetuto più volte Putin – è stata la più efficace al mondo a combattere la pandemia.

Affermazioni che non corrispondevano alla verità in maniera talmente palese da far scattare nei russi il meccanismo di diffidenza ereditato ancora dai tempi sovietici nei confronti di una cosa troppo magnificata dalle autorità. Lo stesso Putin finora non si è vaccinato – criticando anzi Joe Biden e altri politici occidentali che si sono fatti inoculare sotto le telecamere per aver “dato spettacolo” – preferendo rifugiarsi nelle sue dacie, e le sue apparizioni non in video sono ormai talmente rare da aver introdotto nel linguaggio comune il termine “presidente nel bunker”.

Un altro fattore è stata la rapidità con cui si sono svolti i test, e le modalità fin troppo sbrigative della sperimentazione, con l’abolizione a un certo punto anche dei gruppi di controllo cui avrebbero dovuto venire somministrati i placebo, mentre il Cremlino stava già offrendo un vaccino ancora non collaudato ai suoi alleati e amici nel mondo. Come risultato, oggi a Mosca è possibile ricevere lo Sputnik in giornata, prenotandosi online sul portale dei servizi cittadini, praticamente senza coda: le richieste sono pochissime. Le statistiche ufficiali parlano di 4 milioni di vaccinati su 145 milioni di abitanti, nemmeno il 3% della popolazione. Una quota di vaccinati che non raggiunge la metà di quella europea, considerando anche che in Russia è già stato registrato anche un secondo vaccino, e un terzo è in fase di sperimentazione.

La diplomazia sanitaria di Putin

Resta comunque l’impressione che lo Sputnik sia stato creato più come arma di politica estera che come rimedio contro la devastante epidemia in patria. I media ufficiali russi riferiscono di Paesi e governi interessati allo Sputnik, e snocciolano i numeri delle fiale già inviate all’estero, dai quali si capisce che per ora alla maggior parte dei clienti sono stati inviati degli assaggi, partite di qualche centinaio di migliaia di dosi, e che per ora il vaccino russo non è nemmeno nella top 3 di quelli utilizzati in Argentina o in India.

I numeri ufficiali sulle fiale già prodotte sono abbastanza contraddittori, ma dalle dichiarazioni degli stessi responsabili russi sembra abbastanza evidente che Mosca non possiede la capacità produttiva per soddisfare perfino le richieste già esistenti, insieme alla seppure scarsa domanda interna. Kirill Dmitriev, il capo del Fondo Russo per gli investimenti diretti (Rfpi), che commercializza lo Sputnik, ha dichiarato la disponibilità a produrlo negli impianti dei Paesi interessati, il che però farebbe slittare i tempi di diversi mesi, eliminando il vantaggio concorrenziale principale del vaccino russo, quello di un’eventuale pronta consegna che potesse riempire il vuoto dei fornitori occidentali. 

L’opzione della produzione in loco resta interessante per i mercati emergenti, lo Sputnik si trova già adesso in concorrenza con il Sinovac cinese – preferito anche dalla Turchia di Erdogan, dopo che i media russi avevano annunciato che Putin l’avesse persuaso a optare per il vaccino russo – mentre in quello europeo, oltre a dover sfidare marchi più moderni e collaudati, paga il prezzo di una propaganda troppo pesante.

Dalla Bielorussia all’Ungheria

Quella che avrebbe potuto essere l’occasione di proporsi come alleato di fronte a una sfida comune, nonostante le divergenze – come era stato, per esempio, nella guerra contro Al Qaeda dopo l’11 settembre – è diventata invece un terreno di scontro e divisione. Il primo Paese ad accettare lo Sputnik è stata la Bielorussia, con il negazionista Aleksandr Lukashenko che ha di fatto offerto i suoi sudditi come cavie per la sperimentazione.

Il primo a volerlo nell’Ue è stato il premier ungherese Viktor Orbán, imitato dal governo slovacco e ceco (e da San Marino, al di fuori dall’Unione, ndr). L’Ucraina, la Polonia e i Baltici hanno proibito l’utilizzo dello Sputnik, mentre le forze politiche che ne hanno invocato l’importazione in Europa sono stati gli esponenti delle destre sovraniste. Di conseguenza, il dibattito sul vaccino russo – incluse questioni importanti come la sua reale efficacia, la verifica dei dati delle sperimentazioni e della loro compatibilità con gli standard europei, la capacità produttiva quantitativa e qualitativa dei siti di produzione russi e i tempi dell’eventuale cessione del brevetto agli impianti esteri – si è spostato ormai definitivamente su un piano politico che difficilmente ne avvantaggerà la diffusione.

Come ha detto a Politico Peter Liese, europarlamentare tedesco responsabile della sanità nel Partito popolare europeo, “non mi fido di qualcosa che Orbán impone in aperta sfida alle raccomandazioni europee”. Vaccinarsi o meno con lo Sputnik è a questo punto una scelta di schieramento: forse proprio quello che voleva Putin.

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