Venerdì, 06 dicembre 2024 - ore 09.19

Viaggio in Iraq di Papa Francesco

| Scritto da Redazione
Viaggio in Iraq di Papa Francesco

Non c’è alcuna retorica ma nuda verità nel definire storico il viaggio che il Papa intraprende da oggi in Iraq. Una visita fino all’ultimo sub iudice a causa soprattutto dell’emergenza pandemica da Covi-19, al quale è ultimamente risultato positivo il nunzio apostolico Mitja Leskovar. Ma mercoledì, al termine dell’udienza generale, Francesco ha tagliato corto dicendo papale papale: «Il popolo iracheno ci aspetta […] Non si può deludere un popolo per la seconda volta». Già nel 2000, infatti, Giovanni Paolo II aveva pensato di recarsi in Iraq, «ma la visita fu resa impossibile per le allora condizioni politiche e l’opposizione degli Stati Uniti».

A ricordarlo a Linkiesta padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, che sta accompagnando Bergoglio in un viaggio apostolico regolato dalla rigorosa osservanza delle misure sanitarie. Un viaggio, dunque, senza folle né abbracci, la cui stessa messa conclusiva, domenica 7 nello stadio “Franso Hariri” di Erbil, vedrà presenze contingentate.

L’Iraq, che Francesco si accinge a visitare, è quello segnato da decenni di violenze e orrori successivamente commessi durante il regime ba’thista, lo stato di guerriglia a seguito della caduta di Saddam Hussein, il quinquennio di Daesh. Un Iraq che ha visto decimata la popolazione cristiana, passata da 1.500.000 nel 2003 a poco più di 350.000 attuali. Un Iraq che, anche dopo la fine della guerra civile nel 2017, continua a soffrire mali endemici come corruzione e clientelismo.

«È quel tipico paese – spiega padre Spadaro – in cui Francesco va perché è una realtà ferita, che vuole toccare con mano. L’abbiamo visto durante il viaggio nelle Filippine, dove ha toccato con mano una popolazione flagellata dai tifoni. O in Terra Santa, quando a Gerusalemme è voluto scendere dalla papamobile e toccare il Muro occidentale. Il Papa vuole toccare le ferite che sono ancora aperte secondo la sua visione di ospedale da campo». Ma l’Iraq è anche «il luogo in cui s’intrecciano tanti temi forti. A partire da quello della persecuzione dei cristiani e del bisogno della crescita comune sulla base di un’unità nazionale, che metta insieme anche le diverse confessioni religiose». 

In quest’ottica s’inserisce lo storico incontro con AlÄ« al-HusaynÄ« al-SÄ«stānÄ«, che avrà luogo il 6 marzo a Najaf, città santa dello sciismo (come luogo non solo di pellegrinaggio ma anche di formazione del “clero”), già tappezzata di manifesti con le immagini del Papa e del Grande Ayatollah e la scritta: Voi siete un pezzo di noi e noi siamo un pezzo di voi. Parole, queste, di al-Sistani, che «Francesco – spiega sempre padre Spadaro – avrebbe potuto incontrare a Baghdad. Ma che vedrà in una città simbolo per lo sciismo come Najaf, perché sia chiara la volontà di dialogo con le due anime dell’Islam. Volontà, di cui ha già dato prova, in riferimento al sunnitismo, nello storico incontro con il Grande Imam di al-Azhar. Adesso, invece, incontrando una delle massime autorità dello sciismo come al-SÄ«stānÄ«, cui è anche vicino nella visione antiteocratica».

Il Grande Ayatollah, che è una figura chiave dello sciismo iracheno, incarna infatti una corrente molto differente da quella iraniana, rappresentata da Khamenei. Come dichiarato a Linkiesta da Francesco Mazzucotelli, docente di Storia della Turchia e del Vicino Oriente all’Università di Pavia, «al-Sistani, pur avendo una medesima concezione del ruolo della religione all’interno della società, ha sempre avuto una posizione critica rispetto alla teoria khomeinista della Repubblica islamica e dell’intervento diretto del clero in politica: i religiosi devono ispirare ma non gestire direttamente il processo politico. Al-Sistani è riuscito a sopravvivere agli anni di Saddam e delle repressioni ba’thiste proprio per la sua posizione defilata. Quando però nel 2003 è venuto meno il regime ba’thista, ha anche invitato i suoi fedeli a darsi una mossa ed entrare nell’agone politico. La sua è una vera propria autorità morale e religiosa».

Non si sa come Khamenei, i cui rapporti con al-Sistani sono improntati a freddezza, abbia preso la notizia della visita di Francesco a Najaf. Ma padre Spadaro ci tiene a distinguere due piani: «A livello diplomatico, tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Santa Sede intercorrono ottimi rapporti politici. A livello religioso, appare a ognuno che il Papa si fa naturalmente mediatore di un incontro fra l’anima sunnita e quella sciita dell’Islam. Paradossalmente è come se volesse incoraggiare le due parti a dialogare per costruire una società migliore. Sottolinea, come ha fatto nella Fratelli tutti, l’importanza che può avere la religione nel creare una condizione di fratellanza nella gestione della vita politica. È questo il vero significato dell’incontro con al-Sistani».

Significativa poi la tappa alla Piana di Ninive con la visita alla città martire di Qaraqosh (domenica), che, secondo Mazzucotelli, «costituisce un  segnale estremamente forte di fronte alla progressiva erosione cristiana nella regione. Non è un messaggio di riconquista territoriale ma di riaffermazione di quanto detto nei vari Sinodi cattolici del Medio Oriente negli ultimi 15 anni. L’unica via d’uscita per i singoli Paesi, e dunque anche per l’Iraq, è da ravvisarsi nella costituzione di uno Stato basato sulla totale uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione alcuna di tipo religioso ed etnico».

Il momento del viaggio, di cui i media hanno più parlato, avrà invece luogo domani: è l’incontro interreligioso nella Piana di Ur sullo sfondo della celebre ziggurat sumera. Ur dei Caldei è infatti la città da cui proveniva Abramo, il patriarca nella fede per le tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islam. Ma anche per il mandeismo e lo yazidismo, minoranza da secoli perseguitata e vittima di atrocità in Iraq durante il quinquennio di Daesh. Non a caso sarà presente anche una loro rappresentanza all’incontro interreligioso, caratterizzato dalla lettura di passi della Bibbia e del Corano.

Padre Spadaro rivela che «da Ur ci sarà sicuramente un messaggio che valorizzerà molto la dimensione fraterna e il riconoscersi fratelli nella figura di Abramo. Perché, come questo viaggio ha una parola chiave che è fratellanza, ha anche una figura chiave, che è Abramo. Una tale visione, come si può ben capire, proietta il pontificato di Francesco al di là del perimetro cristiano e cattolico. È una visione contrapposta a quella del terrorismo, che abusa della religione e divide nel nome religioso: trovandosi insieme alla luce della figura di Abramo, il messaggio chiave è di riconciliazione e di dialogo perché tutti si riconoscono in questa figura».

Non a caso, quando il Papa ricevette, il 25 gennaio 2020, il presidente iracheno Barham Salih, gli aveva espresso uno specifico desiderio dal forte valore simbolico: il dono di una carta d’identità irachena con la scritta «Jorge Mario Bergoglio, figlio del figlio del figlio del figlio… di Abramo». È dato da credere che sarà esaudito in tale richiesta già oggi.

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