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Albert Camus: filosofia del finito e della rivolta | Alessandro Lucia

| Scritto da Redazione
Albert Camus: filosofia del finito e della rivolta | Alessandro Lucia

Per una volta, questo blog non ospita un articolo sulla politica o sulla società, bensì un mio piccolo articolo filosofico su una figura di estrema importanza, purtroppo poco conosciuta, il cui pensiero meriterebbe molta più gloria di quella che la storia gli ha concesso: Albert Camus.

 

Albert Camus è stato uno scrittore e filosofo franco-algerino, benché i suoi avversari (Jean-Paul Sartre su tutti) lo considerassero un filosofo dilettante, è risultato essere molto più originale e coerente nella sua filosofia, di filosofi “di professione”, come lo stesso Sartre. Camus, soprattutto nei suoi romanzi più importanti (Lo Straniero e La Peste) e nelle sue opere prettamente filosofiche (Il Mito di Sisifo e L’Uomo in Rivolta) delinea la condizione ineffabile dell’Assurdo: esso è quello scarto che esiste tra la richiesta di una volontà di senso da parte dell’uomo e invece la coscienza del fatto che il mondo sia totalmente in-sensato. L’uomo assurdo è l’uomo che capisce la sua condizione e vive e agisce contro di essa. Alla condizione di uomo assurdo è contrapposto l’uomo schiavo dell’abitudine; abitudine con la quale (anche inconsapevolmente) cerca di rifiutare l’assurdo. 
La presa di coscienza dell’assurdo del mondo porta a una grande domanda, l’unica che abbia vera importanza secondo Camus: “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia” (da “Il Mito di Sisifo”). Insomma l’uomo assurdo si trova di fronte al problema del: “ha senso vivere anche se so che la mia vita e il mondo non ha senso?”. La filosofia di Camus vuole essere la definitiva appropriazione della dimensione finita dell'esistenza, perché è questa la prospettiva in cui si muove l’uomo. Intende quindi eliminare ogni elemento trascendente, quale Dio, sul quale basare la propria vita. Anzi, rifugiarsi in Dio è sviare il problema, è un’altra forma di abitudine: rintanarsi in un vivere-per-l’avvenire elimina la possibilità di dare un senso al presente, per il quale (e solo per esso) vive l’uomo.

Cosa significa prendere coscienza dell’Assurdo, e quindi del finito? Significa rifiutare ogni possibilità che nel mondo esista un fine già scritto, che non ci sia un progetto trascendente. E un’esistenza che rifiuta ogni finalismo illusorio non può che essere un’esistenza che si appropria definitivamente del proprio Io: non è più in condizione di passività rispetto all’altro da sé (il mondo), ma è attivo, e quindi giudicante. Si trova in posizione di superiorità ad esso e può decidere cosa possa essere il suo (e il proprio) senso. Si entra quindi nella prospettiva della scelta. Scelta di senso, del mondo e dell’esistenza.

Qua si scorge un problema: se l’uomo può scegliere qualsiasi cosa, può essere legittimato alle peggiori azioni. E’ qua che Camus fa un passo oltre Nietzsche. Non è illimitata volontà di potenza, totale affermazione del proprio io. Camus fissa dei paletti, e la sua risposta è ferma: la rivelazione dell’assurdo non può e non deve ricadere nel nichilismo morale, bensì piuttosto nella rivolta. 
Ma cos’è la rivolta? Ce lo dice Camus stesso nella prima riga de “L’uomo in rivolta”: “l’uomo in rivolta è un uomo che dice no.”. Un no deciso, che pone un limite invalicabile. E ciò che determina questo limite non è intrinseco, ma è deciso dall’uomo in virtù della sua nuova condizione. Dietro a questo no sta un dover essere positivo dell’intera umanità che è nella nozione stessa di rivolta: nessuna rivolta può logicamente esistere senza un implicita volontà di cambiamento, cambiamento che parte da se stessi, appunto dalla rivolta.


Ma è possibile per l’uomo dotarsi di senso e di valori senza ricorrere ad altro che a se stesso? Sì, e lo fa attraverso la massima “solitaire, solidaire”, che è condizione nuova e decisiva dell’uomo: solitario perché adesso l’attenzione si è spostata dal “senso del mondo” al “senso dell’uno”; solidale perché è l’unica garanzia di liberazione e di giustizia. Questa solidarietà è il presupposto per un mondo fatto di valori scelti e non dati. La definitiva determinazione dell’individuo come padrone di senso, attraverso la condivisione della rivolta. E’ quindi la logica della rivolta contrapposta alla logica del “sacro” (come la definisce Camus), dove sacro è inteso sia in senso strettamente religioso-dogmatico, ma anche in tutte quelle forme che in un certo modo tradiscono l’appropriazione del finito, e Camus le delinea in maniera molto precisa. Sono le ipostasi dell’Unico, dell’Istinto e dell’Ideologia.

La prima Camus la riconosce in Stirner e nella sua filosofia: l’uomo vuole sostituirsi a Dio, ma mascherando una distruzione della metafisica, altro non fa che elevare un individuo al rango di divinità, a discapito delle altre singolarità: è la distruzione della molteplicità in favore dell’Uno, che è ora identificato col Tutto e che, dunque, tradisce quell’individuo da cui era partito con la Rivolta. La seconda invece sopravviene quando è l’Istinto, cioè banalmente le pulsioni naturali dell’uomo, il finito per eccellenza, diventa la necessità che governa il mondo, l’unico Dio a cui sottostare. Questa viene identificata nel marchese de Sade. La terza si ritrova nelle ideologie totalitarie, le quali pretendono di creare un mondo nuovo, in base a distorsioni ideologiche, schiacciando ogni aspirazione dell’individuo rispetto all'azione ineluttabile della Storia. La filosofia di Camus quindi, affonda le sue radici in molteplici tradizioni e pensieri. Dall’individualismo di Kierkegaard, all’irrazionalismo di Schopenhauer, al concetto di più vita di Nietzsche, rifiutando inoltre l’idea che le scelte dell'uomo siano inestricabilmente sottomesse alle necessità della Storia, mantenendo però un carattere originale, superando le contraddizioni e le debolezze che pensatori antecedenti non erano riusciti a eliminare. Coerentemente con la sua filosofia del finito, Camus non esclude affatto, anzi sottolinea marcatamente, la necessità di partecipazione politica - questa sì, all'interno della Storia: come in Marx, l'unico modo che ha l'uomo per agire all'interno di essa. Ma il prendere parte alla vita sociale deve essere autonomo dalle grandi ideologie che hanno dominato la prima metà del ‘900, e Camus in particolare vuole staccarsi dal filo-bolscevismo che imperava in certi ambienti culturali (si veda per esempio in Sartre). Bisogna impegnarsi, ma non piegarsi alle logiche autoritarie di partito, che invece fanno un tutt’uno con le ragioni della storia da cui ci si deve staccare. L’impegno politico è affermazione dei valori libertari dell’individuo, sempre e comunque al fianco degli umili, dei lavoratori, di chi non ha voce.

Perché, come scrive Camus: “La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo.“

Alessandro Lucia

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