Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 03.36

Noi non siamo i tweet che postiamo | Alessandro Lucia

| Scritto da Redazione
Noi non siamo i tweet che postiamo | Alessandro Lucia

Michele Serra ha completamente ragione. Nella sua amaca di ieri se la prende con Twitter, il noto social network in cui i messaggi degli utenti sono definiti “tweet” (cinguettii), e hanno la particolare caratteristica di essere brevissimi, inferiori ai 140 caratteri. Serra dice esplicitamente che Twitter gli fa schifo. E subito il popolo della rete si rivolta, con battute, offese, livori. Ma alla fin fine dice una cosa semplicissima: che agli slogan semplicistici ed euforizzanti preferisce il ragionamento lento e ordinato, preferisce un articolo su un blog a uno stato su Facebook, una discussione piuttosto che una gara a chi urla di più. E che i giornali che leggiamo e i siti internet che visitiamo sono un’arma a doppio taglio.

Il problema è che nessuno si è fermato un attimo a riflettere sulle sue parole e anzi, gli utenti di Twitter si sono come immolati a difendere il caro social network, senza sottoporre le parole del giornalista a un esame critico. Ma questa mancanza di analisi è dovuta proprio al fatto che in un social network come Twitter questo è impossibile. Ed è proprio quello che ha scritto Serra! La reazione alle sue parole è stata insomma la conferma della validità della sua tesi.

Ma dalla difficoltà di esaminare ampiamente un argomento cosa deriva? Deriva che, incapace di analizzare tutte le sfaccettature di una questione, l’individuo dei social network (cioè che non solo è ridotto alla dimensione di semplice fruitore di notizie, opinioni, ma è anche illuso di poter esprimerne una propria) si butta nella mischia dei giudizi affrettati, col suo tweet rigorosamente sotto i 140 caratteri. Inspiegabilmente, a difendere Twitter neanche fosse un parente.

Azzarderei un paragone pericoloso: la popolazione di Twitter che si è rivoltata indignata contro Serra è ridotta come i cittadini della Londra orwelliana. Amano il prodotto di cui usufruiscono (o il padrone a cui sono sottoposti) a tal punto da difenderlo a spada tratta. Perché lo sentono come l’unico appiglio a cui aggrapparsi per sopravvivere ed “essere qualcuno”. E’ il paradosso dell’individualismo rovesciato: per sentirci vivi dobbiamo essere uguali agli altri. Anzi, siamo qualcuno solo se siamo come tutti.

Come dice il protagonista dell’adattamento cinematografico del best seller di Palahniuk, Fight Club, “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca”. E non sei nemmeno il social network su cui scrivi. Dovremmo pensare a questo: se ci identifichiamo così tanto con un prodotto, questo finisce per controllarci. E non mi pare una bella cosa.

Alessandro Lucia

“Ma ogni cosa era a posto, ora, tutto era definitivamente sistemato, la lotta era finita. Egli era riuscito vincitore su se stesso. Amava il Gran Fratello.”

(Da “1984”, di George Orwell)

 

A questo LINK potete leggere l'"Amaca" incriminata

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