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26 febbraio 1945 don Giuseppe Rossi, parroco di montagna, viene trucidato dai fascisti

Don Giuseppe Rossi, il parroco trentaduenne di Castiglione d'Ossola, è stato barbaramente trucidato da fascisti

| Scritto da Redazione
26 febbraio 1945 don Giuseppe Rossi, parroco di montagna, viene trucidato dai fascisti

CASTIGLIONE D'OSSOLA - 26 febbraio 1945 – IL PARROCO DI MONTAGNA. Caduto: don Giuseppe Rossi

Dopo SETTANT’ANNI spontaneo ancora ci “deve venire ” il rievocare, ricordare, non dimenticare, fare testimonianza, infine commemorare una vittima delle più atroci barbarie fasciste. Lui era un giovane parroco di campagna, come tanti, come troppi nostri giovani barbaramente trucidati dai fascisti. Ammirato, stimato, ben voluto dalla sua gente. Il comune di Castiglione d’Ossola è costituito da due nuclei urbani, Calasca e Castiglione e conta poco più di mille anime, all’epoca. Ora ne conta si e no 700. Sorto nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola a 650 metri circa di altitudine sul livello del mare, Castiglione è il primo dei due nuclei che si incontra risalendo la valle Anzasca, sulla sponda nord del torrente Anza.

S’ha da saper che nell’anno del Signore 1938, il 30 ottobre, aveva fatto il suo ingresso nella parrocchia di S. Gottardo il nuovo parroco, don Giuseppe Rossi, nato a Varallo Pombia. Mons. Lodigiani ricorda che don Giuseppe, il giorno in cui prese possesso della parrocchia, salì sul pulpito e, rivolto alla sua nuova "famiglia", si presentò così: «Darò tutto quello che ho, anzi darò tutto me stesso per le vostre anime». Dall'ottobre 1944, furono tali e tanti gli attacchi delle formazioni partigiane ai presidi nazifascisti in Valle Anzasca che il nemico venne costretto a raddoppiare i reparti e a dare loro il cambio con maggiore frequenza. Il 26 febbraio 1945, proprio in occasione di un cambio ai presidi di Calasca e di Pestarena, i partigiani di Domenico Pizzi ("Moro"), della formazione garibaldina "Redi", attaccarono due plotoni della II Compagnia della brigata nera "Ravenna-Corrao", in località Vallone di Casa Paita. I partigiani non ebbero perdite e riuscirono ad allontanarsi prima del sopraggiungere di rinforzi al nemico; i fascisti ebbero invece due morti e 14 feriti. I fascisti, come era loro consuetudine, ricorsero alla rappresaglia, modo semplice ma vile di sfogare la propria rabbia.

I rinforzi arrivarono sul luogo dello scontro quando tutto era finito; raggiunsero quindi Calasca e Castiglione, dove si diedero al saccheggio, incendiando numerose abitazioni e prelevando come ostaggi una quarantina di persone; fra queste anche don Giuseppe, parroco di Castiglione. Gli ostaggi vennero riuniti in piazza per essere interrogati. Don Giuseppe fu accusato di avere suonato le campane per avvertire i partigiani dell'arrivo della colonna nera, ma il parroco ribatté che l'orologio del campanile aveva solo suonato le ore. L'interrogatorio di don Giuseppe terminò solo dopo diverse ore, alle 18; il parroco venne rilasciato dopo essere stato minacciato di morte. Molti amici corsero da don Giuseppe per suggerirgli di allontanarsi dal paese almeno per un certo periodo. Ma, ricorda ancora mons. Lodigiani, il giovane parroco rispose a tutti: «Perché fuggire? Mi sento tranquillo in coscienza, il mio dovere di pastore, di parroco è di rimanere qui, tra voi che potete avere molte necessità». Alle 18 e trenta quattro militi si presentarono in parrocchia per imporre a don Giuseppe di seguirli: don Giuseppe viene accompagnato al comando della brigata nera. Alcuni parrocchiani lo videro entrare al comando e, da quel momento, don Giuseppe scomparve. Dopo qualche ora, la sorella del parroco, Maria, si recò al comando fascista per sapere quando don Giuseppe sarebbe stato rilasciato, ma i fascisti si dimostrarono stupiti e dichiararono che il parroco era stato rilasciato da tempo. Alcuni giorni dopo, sui muri di Castiglione e di Calasca venne affisso dai fascisti un manifesto in cui si leggeva: «Questo Comando si unisce al Paese tutto nel sincero rimpianto per la scomparsa del parroco di Castiglione, reputato persona onesta ed animato da puri sentimenti di italianità. Si dichiara pertanto che alle ricerche iniziate per trovare i colpevoli della morte dei nostri camerati, si aggiungeranno quelle per la ricerca dei responsabili della scomparsa del vostro parroco». Il 3 marzo, una giovane del paese, Anna Piffero, ricevette la confidenza di un milite della "Corrao"; il milite rivelò il luogo dove don Giuseppe era stato trucidato. Per evitare gravi conseguenze al milite-confidente, venne fatta correre la voce che una ragazza di Castiglione aveva visto in sogno il corpo del parroco in fondo ad un burrone. La popolazione organizzò la ricerca e il corpo di don Giuseppe venne ritrovato in frazione Colombetti «sepolto ai piedi di una roccia, vicino alle rovine di un antico mulino, coperto con sassi, muschio, rami. Ha la fronte e la testa spaccata, sfondata. Sul corpo crivellato di pallottole sono evidenti segni di dure percosse: ha il braccio destro spaccato, le mani sono tutte graffiate. Sepolto, gli hanno ancora collocato una pesante pietra sulla testa». Don Giuseppe Rossi, il parroco trentaduenne di Castiglione d'Ossola, era quindi stato barbaramente trucidato da fascisti che, per colmo di vigliaccheria, rifiutarono anche di assumere la responsabilità dell'assassinio. Qualche giorno dopo (il 7 marzo), in una frazione di Castiglione d'Ossola, i fascisti catturarono il partigiano Martino Panighetti: lo torturarono, lo seviziarono, lo massacrarono. Quanti ne commemoriamo, e ogni anno…di questi nostri raqazzi?  “SE IL MALE CONTINUA, ANCHE LA RESISTENZA VA CONTINUATA, MA CON AMORE STAVOLTA. CHE I MORTI CI AIUTINO A DIVENIRE VERAMENTE ‘RIBELLI PER AMORE’ “. (don Primo Mazzolari). E tutta la vita!

Giorgio  Carnevali ( Cremona) 

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